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 2023  maggio 14 Domenica calendario

Biografia di Laura Morante raccontata da lei stessa

Laura Morante è cresciuta in una famiglia di otto figli. Lei ne ha tre, uno per matrimonio. Quando Gabriele Muccino l’ha chiamata per parlarle della seconda stagione di A casa tutti bene (dal 5 maggio su Sky e in streaming su Now), dove lei interpreta Alba, la madre matriarca di una famiglia numerosa e complessa, le ha detto, entusiasta, di aver scritto per lei una bellissima storia d’amore. Non ha condiviso l’entusiasmo. «Gli ho risposto che una storia d’amore proprio non mi andava e gli ho proposto di mettere un cane al posto di un uomo. L’ha fatto», dice a La Stampa.
Con i registi ci sa fare. Una volta, durante un provino, Damiano Damiani le chieste di levarsi i capelli dalla fronte, lei non lo fece, lui le urlò di farlo, allora lei gli disse: «Questo è un provino anche per lei, e io non voglio lavorare con lei». Da regista ha firmato due film, Ciliegine e Assolo. Da attrice è stata diretta, tra gli altri, da Bertolucci, Monicelli, Salvatores, Cristina Comencini, Avati, Francesca Archibugi, Verdone, Resnais. E naturalmente Nanni Moretti. Per lui è stata Bianca nell’indimenticabile Bianca. S’è molto parlato del perché, nella scena finale di Il Sol dell’avvenire, l’ultimo film di Nanni Moretti, dove ci sono tutti gli attori a lui più cari, quelli con cui ha lavorato di più, lei non ci sia. «Nanni me lo ha chiesto ma io non me la sono sentita: purtroppo il nostro rapporto si è guastato dopo La Stanza del figlio. Non siamo in guerra, ci vogliamo bene, ci facciamo gli auguri di compleanno, ma ci sono state troppe cose che mi hanno ferita e non me la sono sentita di fare buon viso a cattivo gioco, non sarebbe stato coerente», dice. Risponde da Ventotene (la linea è un inferno, cade continuamente, è disturbata da un rumore che sembra un atterraggio ufo «e non arrivano i giornali, siamo fuori dal mondo, non è spiacevole»), dove è appena arrivata per girare, 27 anni dopo, il sequel di Ferie d’Agosto di Paolo Virzì. Lei aveva quarant’anni, faceva la parte di Cecilia, insicura, incerta, ma innamoratissima compagna di Silvio Orlando, l’intellettuale di sinistra, naturalmente in crisi, scontento, frustrato, perbene.
Ha sempre detto di non provare nostalgia per i film che ha fatto, tranne che per Ferie d’Agosto.
«Perché si creò, tra tutti noi, un’atmosfera indescrivibile. Unica».
E ora?
«Sono arrivata due giorni fa, non è ancora successo niente. Però ritrovare i compagni di quell’avventura è emozionante. Ed è anche buffo: di quanto tempo sia passato mi dà la misura mia figlia, che allora era una bambina e adesso è una donna. Alcuni non ci sono più e questo aggiunge malinconia».
Aggiunge?
«Ferie d’agosto era un film profondamente malinconico».
Come tutti i film sulla sinistra. Meglio: sull’essere di sinistra.
«Non lo so. Ci sono stati molti momenti in cui le battaglie di sinistra hanno unito le persone, rendendole felici. Ce ne sono stati e ce ne saranno. Ora però la sinistra è disgregata come non mai. Alcuni di noi si sono allontanati dal partito da cui si sentivano rappresentati perché non era più l’espressione di quello in cui credevamo. Io stessa ho smesso di votare Pd a un certo punto. Mi è costato parecchio dolore, ma non credo nelle etichette: credo nella realtà. Un partito che non rappresenta le istanze di sinistra, non è un partito di sinistra, è semplice».
Elly Schlein non la rassicura in questo senso?
«È troppo presto per dirlo. L’ho trovata oscillante sull’invio delle armi: prima di diventare segretario era assolutamente contraria, dopo è parso che si ravvedesse. Questo mi ha delusa, io sono una pacifista convinta».
Il suo ricordo più divertente di Ferie d’Agosto?
«Silvio Orlando se l’è dimenticato e questo mi dispiace, ma io e lui giocammo a scopone, in coppia fissa, durante tutte le riprese: nessuno ci battè mai».
Avere molto vissuto migliora o peggiora la recitazione?
«La dimestichezza con il mestiere può far perdere un po’ di innocenza, che per me è un elemento fondamentale: veicola l’emozione. E quando le intenzioni sono troppo evidenti, l’emozione si perde. Però l’esperienza ha il suo valore, e ci si deve impegnare a fare in modo che non indurisca, non rubi poesia, stupore, ascolto».
Ha raccontato spesso di aver imparato con il tempo ad amare il suo lavoro. Faceva la ballerina, il cinema è arrivato senza che lei lo cercasse. La riottosità aiuta il talento?
«Può darsi che abbia preservato le mie qualità di interprete ma di certo so che mi ha tutelata da una certa dipendenza: molti miei colleghi, quando non lavorano, si deprimono o si angosciano. Io no. Io comincio ad angosciarmi quando vedo il conto in banca che si prosciuga. Non ho mai messo al centro della mia vita il lavoro. Mi piace (adesso, all’inizio assai meno), ma se non recito non mi manca, faccio altro e va benissimo».
Una volta Gabriele Lavia, con il quale lei ha lavorato in Ricordati di me di Muccino, ha detto: «Recitare è impossibile».
«Ah sì? Non ho proprio idea di cosa volesse dire. Sono abituata a considerare possibili le cose che vedo succedere».
Qual è la cosa che più le dà tormento?
«L’angoscia per il mondo. Quando cammino per strada, da quando è cominciata la guerra in Ucraina, provo spesso a immaginarmi come dev’essere fare lo stesso in un paese invaso, mi metto nei panni di quelle persone, capisco che fortuna ho e che disastro c’è laggiù».
Qual è la sua qualità migliore, nella relazione con gli altri?
«Non tollero la slealtà, quindi mi impegno a essere leale, a volte fino a diventare ridicola, perché per mantenere una promessa faccio qualsiasi cosa. L’ho raccontato in una parte del mio libro, Brividi immorali (La nave di Teseo)».
Quanto ha pesato essere la nipote di Elsa Morante mentre lo scriveva ?
«Ha pesato prima. Nel senso la sua presenza è stata fortemente inibente, per me come per tutti noi, che in famiglia siamo cresciuti circondati dai libri, innamorati della letteratura. E credo che quella inibizione fosse inevitabile».
Era davvero così difficile, Elsa Morante, come hanno detto sempre tutti?
«Aveva un carattere duro. Io ero una bambina. Ed ero abituata a mia madre, che invece era dolcissima. Per me Elsa aveva una predilezione particolare e una volta mi volle portare con sé a Roma: io ero molto agitata proprio per via di quella sua durezza, e questo fece sì che il mio sonnambulismo si acuisse tanto. Mi rispedì a casa quasi subito».
Fare la mamma le piace?
«Ho desiderato esserlo e sono felice dei miei figli. Ho cercato di lasciarli sempre liberi di scegliere e anche di sbagliare. Quando non fanno qualcosa per paura di fallire, ricordo loro che i fallimenti nella vita sono mai tragici e sempre divertenti. Tragico è non osare fare qualcosa. Le volte in cui non ho osato fare per paura di fallire, me le ricordo tutte. Con grande rimpianto».
Per esempio?
«Non ho dato l’esame di latino e non ho potuto fare il classico perché ero certa che non sarei stata capace di superarlo. Lo ricordo ancora con dolore. Invece, è uno spasso ricordare e raccontare le volte in cui ho fallito».
Lei una volta ha detto: il coraggio lo trovo soltanto se qualcuno mi costringe.
«Ah sì? Che brutta frase. Non mi sembra nemmeno ben detta in italiano. La disconosco!».
Come mai non ha imparato a nuotare?
«È una delle paure che non sono riuscita a superare. Sto a galla ma non vado dove non tocco e mi spiace perché amo il mare moltissimo, non sa che frustrazione».
Ha mai corteggiato un uomo?
«No, sono sempre stata troppo pigra. Un po’ pigra e un po’ timida. Però avrei voluto essere più intraprendente».
Come mai le registe donne fanno fatica in questo Paese? Ai David di quest’anno non ci sono state candidate per il miglior film e la migliore regia, ma nella categoria esordienti, su cinque nomination, tre erano donne .
«La mia figlia più grande ha appena girato il suo primo corto, quindi spero per lei che il futuro sia migliore. Le donne sono poco valorizzate non solo nel nostro cinema, mi sembra sia così in generale. Ma vedo piccoli passi verso il miglioramento».
Che ne pensa del codice Intimacy?
«Sarebbe?».
Una terza figura presente sul set per controllare che, durante le scene intime, non avvengano abusi.
«Gendarmizzare il set non mi sembra una buona idea. Poi magari invece funziona, non lo so. So che il cinema viene raccontato come un luogo di violenza e molestie continue ed è ingiusto. Di certo avvengono ed è inaccettabile, ma né più né meno che altrove. Nel cinema è di certo più difficile estirpare il fenomeno perché è un settore in cui creare un criterio meritocratico è complicato, e questo favorisce, purtroppo, la tendenza a usare potere e compravendita per agevolare una carriera».
Il lavoro la affatica?
«Sono una stacanovista. Posso oziare per giorni senza nessun senso di colpa, come un gatto, e posso lavorare diciotto ore consecutive senza fare una piega. Quando insegno, che è una cosa che mi piace moltissimo fare, c’è sempre qualche studente che mi chiede di fermarmi perché non mi accorgo del tempo che passa».
Cosa le dà più gusto?
«Mangiare il pane, ahimè».
Perché ahimè?
«Perché in Italia è diventato difficilissimo trovarne di buono».