Il Messaggero, 14 maggio 2023
Parla il campione italiano di mentalismo Andrea Rizzolini
Sono illusionismo e teatro a dialogare nello spettacolo Incanti che, dopo il grande successo ottenuto a Milano, sarà a Roma, appositamente ripensato, il 16 e 17 maggio alla Sala Umberto. A scriverlo e dirigerlo, il campione italiano di mentalismo Andrea Rizzolini, classe 2000, che, ha conquistato il titolo a diciassette anni, nel 2018 ha preso parte ai Campionati del Mondo di Magia e, lo scorso anno, ai Mondiali si è aggiudicato il terzo premio nella categoria di mentalismo. Tra i più promettenti illusionisti a livello internazionale, Rizzolini ha voluto con sé sul palco cinque pluripremiati illusionisti italiani under30, ossia Dario Adiletta, Francesco Della Bona, Niccolò Fontana, Filiberto Selvi e Piero Venesia. Obiettivo, far riflettere sul desiderio e la capacità di farsi, appunto, "incantare".
Come è nato lo spettacolo?
«L’anno scorso, durante la preparazione per i campionati del mondo di magia in Canada, con un gruppo di amici e colleghi ho deciso di creare un contesto in cui lavorare alle varie performance. Da qui è nata, poi, l’idea di creare una regia, per presentare l’illusionismo in modo inusitato al pubblico italiano. A Roma, proporremo un nuovo allestimento. Sul palco, con più performance e anche testi di grandi autori, da Shakespeare a Pirandello, porteremo avanti una riflessione sui sogni. D’altronde, è stato proprio Shakespeare a dire che siamo fatti della loro stessa sostanza. E l’illusionismo, su questo tema e molti altri, può offrire una prospettiva unica».
Facciamo un passo indietro, chi è il mentalista?
«Di solito, si pensa che sia una persona che legge il linguaggio del corpo per influenzare le azioni. Non è così. Nessuno è capace di farlo fortunatamente, ci sarebbero grandi implicazioni morali. Tale visione nasce dal tentativo di dare una spiegazione plausibile a qualcosa che non riteniamo possibile. In realtà, il mentalismo è una branca dell’illusionismo, il cui strumento sono le parole».
In che modo si crea l’illusione?
«Le parole influenzano il mondo in cui viviamo e la nostra percezione. Io porto all’estremo le tecniche e le modalità di linguaggio per rendere apparentemente reali cose che non lo sono. Il problema sussiste quando queste tecniche vengono usate, senza che le persone lo sappiano. Io rendo apparentemente reali cose palesemente illusorie, il marketing, ad esempio, rende reali cose che potrebbero effettivamente esserlo e diventa difficile distinguere ciò che veramente è reale».
Ma come si diventa mentalista?
«Non c’è un modo preciso, ognuno deve trovare il suo. L’illusionista deve saper recitare, essere capace di fare acrobazie tecniche, senza farle capire. E deve avere competenze di illuminotecnica, drammaturgia, antropologia, psicologia e comunicazione».
Quando ha capito che questo sarebbe stato il suo futuro?
«A nove anni sono rimasto incantato da a uno spettacolo di David Copperfield, registrato da mio nonno nel 1994. Quando ho visto Copperfield volare, realizzando così un mio sogno, ho deciso che volevo far provare ad altri lo stesso tipo di emozione che avevo sentito io. Ed è ciò che mi propongo di fare ogni sera. In Incanti
, chiedo al pubblico di scrivere un sogno recente e tento di farlo diventare realtà».
In Italia, che visione si ha dell’illusionismo?
«Inconsciamente o consciamente, il pubblico sente il divario tra teatro e magia. Da un lato, c’è Amleto, dall’altro la magia. Da un lato, "essere o non essere", dall’altro "questa è la tua carta". Noi tentiamo di colmare la distanza. Il mio obiettivo è mostrare che l’illusionismo è una forma d’arte, capace di parlare in modo profondo dell’essere umano, perché mette in scena l’esperienza di essere illusi, che ci accomuna tutti perché tutti siamo coscienti che le cose sono più di quello che sembrano».
Perché siamo fermi a questa immagine?
«In Italia, si va a teatro per la prosa. Siamo ancora molto legati all’immagine dell’illusionismo associata al varietà, in cui un uomo taglia in due una giovane donna poco vestita. Ora, però, l’illusionismo contemporaneo sta assumendo una forma molto interessante. Ne sto scrivendo il manifesto. L’idea è usare l’illusione per parlare in modo unico di più temi. La grande sfida è far uscire il pubblico dalla sala, non chiedendosi il "trucco" di ciò che ha visto, ma con domande diverse sulla sua vita».