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 2023  maggio 14 Domenica calendario

Intervista a Massimo Ranieri

Nel novembre 2021 Massimo Ranieri ha pubblicato Tutti i sogni ancora in volo, la sua seconda autobiografia (la prima, del 2007, si intitolava Mia madre non voleva), un successo che un anno dopo è diventato un disco, poi un tour, e adesso uno show che andrà in onda su Rai1 il 26 maggio e il 2 giugno. Insomma, non si butta via niente. Anche perché trattandosi di una frase tratta da una delle canzoni in assoluto più note d’Italia, Perdere l’amore, il progetto nasce bene. E poi perché Ranieri si racconta finalmente senza filtri.
Porta la sua vita in tv?
«Sì, senza vergogna. Voglio che il mio pubblico lo sappia: a 72 anni sono pieno di cicatrici e non mi imbarazza farlo sapere. Non sono un robot né un alieno. Come tutti, anch’io conosco la sofferenza».
Chi le ha fatto più male?
«Le donne, e quasi sempre è successo per colpa mia. Scrivendo il libro mi sono liberato, e in un certo senso anche divertito, a dire cosa sono state loro per me, e quante volte mi hanno ferito e mollato».
Perché?
«Perché ho sempre messo davanti a tutto l’amore per il mio misterioso e affascinante lavoro, che da una vita mi spinge fuori casa a dare tutto».
Mai sfiorato una sorta di equilibrio?
«Mai. E un po’ mi fa incazzare, ho capito che così non posso combattere contro le mazzate amorose. Un po’ ci si abitua, si va avanti, ma bisogna cambiare».
Con il Napoli campione siamo in tema: che partita sta giocando adesso?
«Rilancio e dico che è quella del cuore. Sono a una svolta: è arrivato il momento di piantare le tende e vivere pienamente l’amore di una donna. La solitudine può essere anche bella, questo lo so, ma in due si sta meglio. Vedere un film insieme, fare una passeggiata, mangiare fuori casa... questo voglio. Prima stavo costruendo la carriera, ma adesso che cosa devo fare? Ho recitato con Strehler, ho vinto Sanremo, ho diretto opere liriche...».
Per caso sta pensando di ritirarsi?
«No, quello mai. Però posso rallentare e vivere meglio. Invece di fare centoventi serate l’anno, posso farne sessanta. Chi dovevo aiutare e sistemare, ora è a posto. Come il grande Charles Aznavour, che ogni mese mandava a sue spese una famiglia armena - residente all’estero - in vacanza in Armenia, non voglio essere il più ricco del cimitero. Sto bene, gli sfizi me li sono tolti. Ora voglio una vita più tranquilla ed equilibrata, che la solitudine non puo darmi. Gli amici sono importanti, ma l’amore lo è di più».
Ce l’ha una compagna o è solo un desiderio?
«Sono solo, ma lo voglio veramente un amore così».
Il 6 maggio 2022 è caduto dal palco del Diana di Napoli e si è rotto quattro costole e si è lesionato la spalla destra. È vero che pensa sia stato un messaggio da lassù?
«Sì. Credo in Dio e sono convinto che mi abbia voluto dire: fermati, stai andando a 300 all’ora e puoi andare massimo a 250. Bene, l’ho capito e voglio rallentare».
Nel libro ha scritto anche che vuole diventare padre: conferma anche oggi?
«Sì. Credo che potrei essere un padre ideale. Ho anche il fuso orario dell’artista: non sono mattiniero, ma prima delle tre di notte non mi addormento... Mia madre diceva che i figli vanno fatti da giovani, perché poi non si ha pazienza. Forse aveva ragione lei, forse no. Comunque sia, non perdo la speranza».
Con sua figlia Cristiana, 52 anni, che ha riconosciuto solo nel 1997, è riuscito a recuperare il tempo perso?
«Sì, abbastanza. Ci vediamo spesso. Lei è diventata anche mamma di Massimino, 12 anni, che mi ha fatto diventare nonno».
Sua figlia per un po’ ha provato a cantare: cosa le ha detto?
«Che di cantanti ce ne sono fin troppi. Sarebbe sicuramente diventata una frustrata. Le ho suggerito di godersi la vita. Cristiana aveva bisogno di qualcosa di grande, e l’ha trovato nell’amore per un figlio».
Per le due serate di "Tutti i sogni ancora in volo" ha scelto come partner femminile Rocío Muñoz Morales: che c’entra con lei?
«La seconda puntata cade il giorno della Repubblica, Rocìo può raccontare come si è integrata da noi e via dicendo».
All’epoca dello spettacolo teatrale "Barnum", nel 1983, quando lei faceva l’equilibrista su un filo, fu allenato dall’acrobata spagnolo Muñoz: sono parenti?
«Gliel’ho chiesto, mi ha risposto di no».
Quel filo era la metafora di una vita che ci può anche far precipitare: per lei qual è stata la caduta più rovinosa?
«Quella che ho causato io stesso: mollare Giorgio Strehler e il suo Piccolo Teatro di Milano. Quando glielo dissi, mi rispose a bruciapelo: "Mi lasci solo, abbandoni tuo padre". Mi sarei buttato dalla finestra. Se ci penso ancora oggi mi viene da piangere. Me ne andai con la promessa che se mi avesse chiamato sarei tornato anche a piedi. Il mio rimpianto più grande è che lo rividi solo tre anni dopo, nel 1997, dentro la bara appoggiata sul palco del Piccolo».
Perché se ne andò?
«Curiosità. Volevo scoprire il nuovo».
Si è mai sentito appagato?
«A volte, ma quella sensazione l’ho sempre distrutta dopo poco. Più o meno come fanno i bambini con i giocattoli».
Strehler era noto anche per l’ossessiva ricerca della perfezione: la sua ossessione qual è?
«Io cerco di non tralasciare niente, me l’ha insegnato proprio lui. Divento un cacacazzi, ma poi quello che faccio, da solo o con gli altri, resta».
Su Rai1 chi ci sarà con lei?
«Nella prima puntata Gianni Morandi, nella seconda Tiziano Ferro. Due amici».
Quest’ultimo si può dire che è il suo erede?
«Direi il mio fratellino. Mi ha raccontato che da bambino mi vide in tv interpretare
Perdere l’amore e subito dopo disse al padre che da grande avrebbe fatto il cantante. In tv ho invitato anche Diodato. È bravissimo. Ha una canna che fa paura, scrive bene, ed è una persona seria. Insieme faremo la sua Fai rumore».
Ogni anno si fa il suo nome per Sanremo: nel 2025, dopo l’ultima edizione targata Amadeus, potrebbe accettare?
«Sì, certo. Me lo chiese il direttore di Rai1 Mauro Mazza nel 2011, ma avevo altri impegni. Da allora il mio nome viene sempre fuori...».
Dopo la performance al Festival di quest’anno con Al Bano e Morandi si è parlato di un tour insieme: c’è mai stato qualcosa di vero?
«No. Abbiamo troppo da fare».
Il produttore Agostino Saccà, già dirigente Rai, tempo fa la definì il Clint Eastwood all’italiana: vorrebbe dirigere film anche lei?
«Non ora, ma un nuovo testo teatrale, sì. Magari un altro Cechov. O Morte di un commesso viaggiatore di Miller. Di sicuro faccio solo quello che mi piace. Come a Caracalla quest’estate (il 24 luglio, ndr), quando mi esibirò con la mia band, un’orchestra di quaranta elementi, e tanti amici».
Perché alla fine tutti i grandi di Napoli - da Eduardo a Pino Daniele, da Totò a lei - l’amano, l’esaltano, ma poi vanno sempre a vivere altrove?
«Napoli è una grande mamma, difficile che ti faccia andar via. Io l’ho fatto che ero un ragazzino. Cercavo altro, volevo scoprire la vita. Però è vero che Napoli ti ama e ti abbraccia, ma a volte un po’ ti soffoca. Tutto qui. Però a Napoli ti sorride sempre. Ed è quello che ti fa tornare».