Corriere della Sera, 14 maggio 2023
La Grande battaglia tra liberali e despoti
La Guerra fredda sembrava essere finita con la vittoria della democrazia liberale sul comunismo che abbiamo salutato e celebrato dopo la Seconda Guerra mondiale. Ma sul New York Times dell’8 maggio leggo un lungo articolo di Paul Sonne e Andrew Kramer: scrivono che gli Stati Uniti sono ormai protagonisti di una crisi che sta diventando un bellicoso confronto tra il presidente Joe Biden e l’ex presidente Donald Trump. Mentre Biden vorrebbe sostenere il governo ucraino, Trump (inquilino della Casa Bianca dal 2017 al 2021), ha detto, con un trasparente compiacimento, che alla fine della partita il vincitore sarà indubbiamente Vladimir Putin. Entrambi, evidentemente, sono convinti che il risultato di questo duello avrà una influenza sulla battaglia politica che ciascuno sta combattendo nel proprio Paese. Sembra di essere ormai in un mondo dove si combatte una colossale battaglia tra due famiglie politiche: quella dei democratico-liberali e quella dei despoti.
L’uomo che ha assunto la guida dei governi dittatoriali è Vladimir Putin. Era già accaduto in passato dopo la fine della Grande Guerra, fra il 1918 e gli anni Venti, quando alcuni uomini politici, fra cui Benito Mussolini in Italia, Adolf Hitler in Germania, Francisco Franco in Spagna e qualche personaggio minore altrove, educarono insieme numerosi seguaci o altri partiti antidemocratici, conquistarono il potere e provocarono una guerra di cui ancora paghiamo le conseguenze. È lecito temere che lo stesso possa nuovamente accadere. Credo che oggi occorra un campanello d’allarme e che le maggiori potenze debbano accordarsi per esaminare insieme, in una grande conferenza della pace, le ragioni di una crisi che è insieme politica e morale. È necessario correre ai ripari. Il primo costretto a sedere sul banco dei testimoni (se non addirittura degli imputati) dovrà essere Vladimir Putin.