Corriere della Sera, 14 maggio 2023
Il decreto sul lavoro piace a un italiano su due
Dopo aver lasciato decantare l’emotività del momento legata alle inedite comunicazioni istituzionali e alle manifestazioni di piazza del primo maggio, abbiamo rivolto il sondaggio odierno al Decreto Lavoro varato dal governo proprio nel giorno della Festa del Lavoro. Dalla rilevazione emerge un complessivo giudizio positivo del 46% degli italiani, con un 14% più convinti e un 32% secondo cui tale direzione dovrà essere confermata anche in futuro con il prosieguo della riduzione del cuneo fiscale, il cui termine come noto è stabilito per la fine del 2023. I contrari (28%) sono del parere che i sostegni sociali siano troppo ridotti rispetto ai bisogni reali e aumenti la precarietà del lavoro. Il giudizio risulta decisamente favorevole per gli elettori del centrodestra, con FDI all’81% e Lega-FI-Noi moderati al 74%.
Ben diversa l’opinione nel centrosinistra, con il Pd fermo al 22% e i pentastellati al 31%. Per il 33% la scelta di varare il decreto proprio in occasione del Primo maggio denota un chiaro intendimento da parte del governo di volere in qualche misura ridimensionare l’iconografia complessiva della Festa della Lavoro, sfidando i sindacati. A conferma della tendenza verso una netta polarizzazione partitica nell’analisi dell’azione di governo, il 31% dichiara che la concomitanza fra il varo del decreto e il primo maggio sia stata quanto mai opportuna per dare ulteriore importanza alla celebrazione del lavoro, con gli elettori FDI al 58%, gli elettori Lega-FI-Noi moderati al 64%, mentre è di questo parere solamente il 13% dei dem e il 21% dei pentastellati.
In merito ai singoli provvedimenti contenuti nel decreto, la riduzione del cuneo fiscale convince il 48%, a fonte di un 18% che esprime un giudizio negativo e di un 34% che sospende il giudizio. Per quanto concerne la nuova disciplina del contratto di lavoro a termine, con l’allungamento della durata oltre i 12 mesi e fino a un massimo di 24 mesi, la contrapposizione tra favorevoli e contrari si posiziona in entrambi i casi al 32%, con anche qui un 36% di coloro che non indicano o non sono a conoscenza di questa modifica. L’estensione della soglia di utilizzo dei Voucher per prestazioni occasionali in alcuni settori incontra il favore del 34% e la contrarietà del 31%, mentre il 36% non si esprime. L’Assegno di inclusione e il Supporto per la formazione e il lavoro dei cosiddetti occupabili sono accolti con favore dal 39% quali strumenti in sostituzione del Reddito di Cittadinanza. In particolare, il 19% è convinto che tali provvedimenti riducano i rischi di abusi e di frodi e il 20% che garantiscano una doverosa differenza fra il sostegno previsto a chi non è occupabile, rispetto a quello previsto per chi invece lo è. Al contrario il 29% si esprime negativamente (67% tra gli elettori del Pd e 65% tra quelli del M5S) perché è del parere che tale cambiamento riduca gli importi erogati (13%) o la platea degli aventi diritto (16%) acuendo i problemi sociali. Anche in questo caso è elevata (32%) la quota di coloro che non si esprimono sull’introduzione delle nuove norme al posto di quelle previste dal Reddito di Cittadinanza.
Nel complesso si registra un atteggiamento di maggiore favore per le misure contenute nel Decreto Lavoro da parte dei ceti produttivi e dei dipendenti del settore privato, mentre tra i disoccupati e i dipendenti occasionali o con contratto a termine prevale nettamente la quota di coloro che non si esprimono, sospendono il giudizio, a conferma del disincanto che li caratterizza.
Nonostante il miglioramento degli indicatori occupazionali (il tasso di occupazione è salito al 60,8% e il tasso di disoccupazione si attesta al 7,9%) il tema del lavoro continua a rappresentare per gli italiani il problema più rilevante del nostro Paese. È dal 2003, anno in cui fu varata la legge che porta il nome del compianto Marco Biagi, che alla domanda su quali siano le priorità del Paese la preoccupazione prevalente degli italiani appare concentrarsi proprio sulle dinamiche del lavoro e sulle sue opache prospettive. Tale legge, infatti, oltre al merito di avere riordinato tutto il tema del lavoro non dipendente, ha allargato il campo occupazionale legittimando di fatto il concetto di precarietà. E oltre alla disoccupazione, in particolare quella giovanile (22,9%), a preoccupare è proprio il lavoro precario. Questo, soprattutto nei giovani, ha spesso impedito la realizzazione di progetti di vita che contemplino l’indipendenza dalla famiglia di provenienza (oltre due giovani su tre tra i 18 e i 34 anni vivono nella famiglia d’origine) e la formazione di un proprio nucleo familiare.
Per favorire i processi di autonomia dei giovani oltre ad un lavoro stabile appaiono necessari interventi sul salario di ingresso e sulle politiche abitative, tenuto conto dell’elevato livello dei canoni d’affitto che spesso impegnano una parte elevata delle entrate mensili, limitando il dinamismo del mercato del lavoro e le opportunità che sono spesso lontane da casa. E tutto ciò ha riflessi drammatici sulla demografia del nostro Paese che, come sappiamo, è il secondo più vecchio al mondo. Insomma, la ripresa economica e quella demografica non possono che ripartire dalla via maestra del lavoro.