Domenicale, 14 maggio 2023
A me mi piace
Attenti a quei due. Per nostra fortuna ci sono ancora giovani, con un sogno, che non sono lo show televisivo, le stelle o il conto in banca, ma esprimere ciò in cui credono. Matteo, lo chef, Riccardo il regista di Grow Restaurant, costituiscono una delle eccezioni di un panorama attuale di cucinieri, fotocopia l’uno dell’altro. Hanno scelto un borgo, Albiate, di una Brianza avara di ristoranti di livello, sensibile solo alle cucine della vicina metropoli; il locale è l’espressione dell’anima di Grow: minimalista, ricercato nei particolari, quasi a mostrare nei piatti un’arte povera.
La loro è una tendenza culinaria rara perché non segue le mode, ma pratica il ritorno alla selvaggina, alle carni e ai pesci, che non provengono dagli allevamenti, al quinto quarto, alle cotture che non conoscono il sottovuoto, ma solo il fuoco. Matteo ha maturato una conoscenza delle tecniche di cottura e frollatura delle carni e dei pesci di acqua dolce, che gli permette di servire piatti come il filetto di cervo con 120 giorni di conservazione, lepre al miso di nocciola o il capriolo con 55 giorni di frollatura e il grasso ricavato dal suo violino.
Un particolare quest’ultimo che mostra la ricerca dei fratelli Vergine perché risale alla tecnica utilizzata dai norcini della Valchiavenna per la produzione del violino di capra; salumi e insaccati di selvaggina a cui i fratelli Vergine rivolgono particolare attenzione, come la bresaola. Il colombaccio, di cui nel tempo si sono perse tracce nella ristorazione, è riproposto da Matteo: petto laccato al miele, rosa canina, ragù delle sue interiora e la coscia al gel di aceto di rose (sublime). Il filetto di anguilla è trattato con la tecnica assai complicata “ikejime” (tecnica di macellazione del pesce di morire senza agonia) che permette, per mezzo di una riuscita cottura, di gustare un sapore e una consistenza della carne unici.
Nella carta di Grow ci sono comunque tracce brianzole: il Koji (fungo filamentoso) di riso al salto, maionese allo zafferano, bresaola di petto d’anatra e fondo d’anatra e pure nell’insalata di nervetti di ungulati, sale, pepe, aceto alla vaniglia e nocciola. Non manca lo zabaione gelato per un finale goloso: crema di luppolo selvatico in conserva, sfoglia salata. Così è se mi piace!