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 2023  maggio 14 Domenica calendario

Se la pizza debba mangiarsi con le mani o no


IL LIBRO mangiare una pizza come si deve Cultura del cibo. Nella sua storia del più popolare alimento della cucina italiana, Luca Cesari affronta anche il tema se si debbano usare le posate o le mani Luca Cesari Ministero del Turismo Popolare e contestata.  Particolare della campagna «Open to Meraviglia» del ministero del Turismo ideata dall’agenzia Armando Testa

Il primo documento che ci permette di vedere «dal vivo» come si mangia la pizza a Napoli è un film del 1940. Con ogni probabilità è la prima pellicola in cui appare una pizza e si tratta di San Giovanni decollato, terza prova cinematografica della lunga e prolifica carriera del principe Antonio de Curtis, in arte Totò. La pizza, appena sfornata, viene poggiata su un piatto e portata al tavolo già apparecchiato con coltello e forchetta. Prima di poterla assaggiare – cosa che in realtà non avverrà mai – Totò la taglia e la offre ai due ospiti con cui sta dialogando, i quali ne approfittano volentieri prendendo con le mani le singole fette dal lato del cornicione e piegandole in due nel senso della lunghezza, in modo che all’esterno sia esposta la parte inferiore della pizza e la farcitura rimanga racchiusa all’interno della fetta. Un gesto tanto naturale quanto antico.
Altra scena: siamo a New York nel 2014 e il neoeletto sindaco della città, Bill de Blasio, è fotografato all’interno di una pizzeria. Lo scatto fa il giro del mondo e scatena un’ondata di commenti negativi, soprattutto da parte dei suoi concittadini che lo considerano il primo passo falso della carriera del sindaco. Il motivo? Bill de Blasio sta mangiando la pizza con le posate, infrangendo una norma non scritta, ma valida per tutti i newyorkesi. Un «disastro», ha dichiarato uno scrittore del New York Magazine, citando il protocollo cittadino di lunga data che prevede di divorare la pizza, per quanto unta, con le mani e solo con le mani. Un sito web lo ha definito il primo errore di de Blasio come sindaco. L’hashtag del falso scandalo #forkgate è apparso immediatamente su Twitter. Sebbene l’opinione pubblica si sia scagliata contro il sindaco della grande mela, le regole del bon ton parlano chiaro: tutto ciò che è nel piatto va mangiato con coltello e forchetta. A questa regola generale ci sono pochissime eccezioni e valgono per il pane, alcuni tipi di frutta, i pasticcini e i moderni finger food. «Pollo, Pizza e Pani si mangiano con le mani», così recita un proverbio scaturito da una norma popolare, ma i manuali di buone maniere non prendono in considerazione la pizza come dovrebbero, forse perché non è una specialità particolarmente diffusa nell’alta società. Il fatto di essere un cibo nato per le vie di Napoli, a metà tra un pane condito e un piatto più sofisticato, pone la pizza in un interregno poco considerato dal galateo.
Si dovrebbe partire, appunto, dal Galateo di Giovanni della Casa, capostipite di tutti i libri che insegnano l’arte di vivere in società, ma alla metà del Cinquecento, quando è stato scritto, l’uso della forchetta non era affatto comune e nei pochi passaggi dedicati alla tavola è chiaro che i convitati si servono il cibo con le mani. Bisogna attendere oltre un secolo per avere il primo manuale moderno sull’argomento, ovvero il Nouveau traité de la civilité qui se pratique en France scritto da Antoine de Courtin nel 1671. All’epoca era la Francia a dettare le norme di convivenza a tavola e l’uso della forchetta in società: «bisogna tagliare le vivande sopra il suo tondo [il piatto], e poi mettersele alla bocca con la forcina, e non con le dita, come fanno le serve, le quali alle volte hanno più grasso nelle mani, che non ha il piatto».
Altri manuali sono un po’ più morbidi sull’argomento, come L’uomo incivilito o sia il galateo cristiano del 1838 ad opera di Vincenzo Ruggieri che ammette l’eccezione di reggere il cibo con indice e pollice nel caso si debbano spolpare delle ossa. In ogni caso la pizza rimane fuori dall’orizzonte letterario e nessun manuale interviene a parlarne, comprese le pubblicazioni più recenti e classiche, come quella della celebre Lina Sotis, che si rimettono alle norme più generali secondo le quali è doveroso usare sempre le posate.
Qualche indizio specifico su come veniva mangiata la pizza si può invece trovare nelle fonti storiche napoletane, anche se le informazioni di questo tipo sono piuttosto rare. Uno dei documenti più interessanti è un’illustrazione di una pizzeria del 1882. Nel locale ci sono diversi avventori accomodati ai tavoli e tutti usano la forchetta per portare il cibo alla bocca. Si tratta di una raffigurazione piuttosto fedele alle descrizioni delle pizzerie dell’epoca, anche se non possiamo sapere se lo sia anche in questo particolare. Volendo dare credito a questa stampa, nelle antiche pizzerie napoletane si seguivano alla lettera i dettami del bon ton.
Altro discorso invece per la pizza smerciata in strada. Anche in questo caso aiutano le vecchie incisioni, che ritraggono immancabilmente i venditori ambulanti nella stessa posizione: ritti dietro un semplice banco con un piccolo coltello in mano con cui dividere la pizza in fette triangolari. Si può facilmente dedurre che fossero quelle, e non la pizza intera, destinate ai passanti.
Le dimensioni contenute delle pizze fanno però supporre che si potessero mangiare anche senza tagliarle, semplicemente piegandole a portafoglio, un metodo classico che non è mai scomparso per le vie di Napoli. In questo caso il disco viene piegato in quattro lasciando la parte inferiore all’esterno e quella farcita all’interno, in modo da poter addentare il boccone senza sporcarsi.
Per il periodo più recente esistono almeno due documentari realizzati dalla Rai, il primo del 1967 e il secondo del 1974, che mostrano questo tipo di pizze da passeggio. Nel primo caso le riprese sono effettuate all’esterno della celebre pizzeria di Port’Alba che sembra essere rimasta ancora oggi una delle mete preferite per la pizza a portafoglio.
Questa ambivalenza, cibo da tavola e da passeggio, non è mai scomparsa e la pizza vive ancora oggi a cavallo di due mondi che hanno regole opposte. Come abbiamo visto nel caso del sindaco di New York, gli ambiti si sovrappongono, confondendosi, al punto che non si può stabilire una regola univoca che valga per tutte le situazioni.
Che fare dunque? La scappatoia potrebbe essere quella di appellarsi a un’altra norma del galateo che prevede, nel caso si vada in un ristorante etnico o all’estero, di adeguarsi alle usanze locali. In un ristorante con piatti tipici indiani o marocchini è permesso, anzi consigliato, mangiare usando la punta delle dita e nessuno vi potrebbe rimproverare nemmeno se portaste un tacos messicano alla bocca con le mani. Per togliersi d’impiccio si può sempre invocare tale regola e considerare la pizza un cibo etnico, tradizionalmente mangiato per strada senza usare le posate. Magari non vi salverà in ogni situazione, ma innescherà un dibattito che potrebbe proseguire per tutta la durata della cena, permettendovi di finire indenni la vostra pizza usando le mani.
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Storia della pizza. Da Napoli a Hollywood è il nuovo libro del nostro collaboratore Luca Cesari in uscita il 19 maggio (il Saggiatore, pagg. 350, € 19) di cui pubblichiamo in questa pagina uno stralcio. Il libro verrà presentato al Salone di Torino domenica 21 (dalle 16) al Caffè Letterario (Pad Oval), dall’autore, Fulvio Marino e Antonio Puzzi. Dopo Storia della pasta in dieci piatti tradotto in otto Paesi, vincitore del Premio Bancarella della cucina e del Prix de la littérature gastronomique, Luca Cesari si accosta alla pizza per raccontarne la storia e sfatare le molte leggende che la riguardano.