Domenicale, 14 maggio 2023
Biografia di Norman Mailer
l nudo e il morto (1948), il clamoroso esordio letterario di Norman Mailer (1923-2007) venticinquenne, è l’atto fondativo di una fama e di una fortuna che non lo abbandoneranno più fino alla fine dei suoi giorni: settanta anni di carriera, quaranta libri pubblicati, quarantacinquemila lettere, settecento interviste, oggetto di cinque biografie; giornalista a tutto campo, tra i fondatori del «Village Voice», organo di punta della controcultura beat e hippie; inventore, assieme a Capote e Tom Wolfe, del New Journalism (antesignano della Narrative Non-Fiction).
Del suo impegno politico in prima fila si ricorda la marcia sul Pentagono (1967) contro la guerra nel Vietnam, che racconterà ne Le armate della notte (1968), premio Pulitzer e National Book Award. La vocazione di scrittore gli era sorta leggendo Furore di Steinbeck e i primi libri di Dos Passos, a partire da Manhattan Transfer. Il suo modello ideale di scrittore era Hemingway, ma ne soffriva la differenza in termini di stazza, lui mingherlino, appena sopra un metro e settanta, che da ragazzo, a Brooklyn, si sottraeva agli scontri tra bande dei suoi amici ebrei, i duri, con italiani e irlandesi. (Anni dopo, però, poté dare dei buoni consigli a Sergio Leone per il suo C’era una volta in America). A sedici anni, la sua famiglia fu in grado di iscriverlo ad Harvard, dove si laurea in ingegneria aeronautica, per pura passione di modellista, ma passando buona parte del tempo a leggere, senza tante distrazioni, i nobili predecessori Faulkner e Fitzgerald, ma anche Joyce, Dostoevskij e Tolstoj. A vent’anni esce da Harvard senza avere ancora conosciuto donna, e trova il suo primo amore, ben presto moglie (la prima di sei), in Beatrice Silverman, poco prima di essere chiamato alle armi. Grazie al suo curriculum di studi, potrebbe fare subito il corso ufficiali ma preferisce arruolarsi come soldato semplice per poter meglio conoscere i suoi coetanei “gentili”, dopo l’esclusiva frequentazione di ebrei di estrazione borghese, soprattutto di tutte le classi sociali e provenienze regionali. Ne trarrà vantaggio il bagaglio linguistico del futuro scrittore, subito sedotto anche dal colorito turpiloquio di caserma: un profluvio di parole inglesi di quattro lettere, noterà uno storico della lingua. Nei diciassette mesi di servizio militare, tra le Filippine e il Giappone, Norman spedisce ogni giorno una lettera a Beatrice, quattrocento lettere: quasi un diario o, meglio, un canovaccio del romanzo che scriverà, appena tornato, in diciassette mesi.
Consegnato il libro all’editore, se ne va con Bea a Parigi, grazie al G.I. Bill che premia i reduci più meritevoli, per un’immersione nella cultura francese, poi visiterà anche la Spagna e l’Italia. Ha così modo di annusare l’esistenzialismo, che adotterà tra le etichette del suo profilo culturale. La lettura della Condizione umana gli fa scoprire Malraux, che ammira per la perfetta combinazione di intellettuale e uomo politico: chissà quante volte avrà sognato di poter svolgere per i Kennedy il ruolo di Malraux per De Gaulle?
È ancora a Parigi quando gli arriva la notizia che Il nudo e il morto è stato pubblicato ed è numero 1 della classifica dei best seller della NYTBR. Tale vi rimarrà per sessantadue settimane, fino a raggiungere nel corso di un anno un milione di copie vendute. È ora di cambiare vita; anche fisicamente si sente più a suo agio perché il servizio militare l’ha irrobustito e inalbera una folta zazzera, vorrebbe assomigliare un po’ a John Garfield, l’idolo dei cinefili democratici di tutto il mondo. Il successo gli procura inevitabilmente un sacco di amici e altrettanti detrattori, così che il garbato studente di un tempo si trasforma in un combattente rissoso che tira di boxe, si attacca alla bottiglia, non si perita di provare la marijuana, la mescalina, l’Lsd e, soprattutto, conosce una vera ossessione sessuale, propiziata, oltre l’istinto, dall’adesione alle teorie di Wilhelm Reich nel suo The Function of the Orgasm (1942). Un’attitudine che riversa anche nella scrittura narrativa tale da fare impallidire Il Tropico del Cancro, L’amante di Lady Chatterley, Il pasto nudo e le liriche libertine di Allen Ginsberg, che pure avevano avuto guai giudiziari ovunque.
Il quarto romanzo di Mailer, Un sogno americano (1965), ora riproposto nell’eccellente traduzione d’antan di Ettore Capriolo, sembra volere elaborare il rimorso per il tentativo di uxoricidio perpetrato da Mailer ubriaco nei confronti della seconda moglie Adele Morales durante un party che lo vedeva nelle vesti di candidato sindaco di New York. Il protagonista del romanzo, Stephen Rojack, assomiglia molto al suo autore, è un volto televisivo e professore di psicologia all’Università di New York sposato con la bella Deborah, figlia di un tycoon, dalla quale vive separato. Narrato in prima persona, è un romanzo di introspezione di sapore dostoevskiano. Rojack e Deborah decidono di incontrarsi nuovamente in casa, nella loro casa. Si ripropone tra loro un litigio alcolico e Rojack strangola sua moglie lasciandola riversa sul pavimento. Scende al piano di sotto ed entra nella stanza della cameriera tedesca Ruta, ex gioventù hitleriana, molto disposta a riceverlo, eccitata dal trambusto di sopra che credeva frutto di effusioni: sesso selvaggio, trasgressivo. Ritorna al piano di sopra e getta la moglie dal trentesimo piano in modo che sembri un suicidio. Esce all’alba, in tempo per raggiungere un locale notturno e incontrare Cherry, la bionda cantante di cui si è invaghito; con lei sesso sentimentale, talché, con destrezza ginecologica, le strappa il diaframma per averne un figlio: la vita contro la morte (Norman O. Brown). Ma era la pupa di un mafioso e anche di un affascinante musicista nero, munito di coltello, ambedue affrontati incoscientemente da Rojack. Meno facile eludere gli interrogatori serrati dei poliziotti convinti della sua colpevolezza, ma frenati misteriosamente da ordini dall’alto. Poi il redde rationem con il tycoon, il babbo di Deborah, suo primo seduttore quando aveva quindici anni, legato ai Servizi Segreti e in affari con la mafia, assistito da Ruta, l’unico al quale Rojack confessa la sua colpevolezza. «Siamo delle merde», è il commento del tycoon, mentre Rojack, ubriaco come sempre, lancia, per la terza volta, la sfida alla sua sopravvivenza passeggiando, ma sarebbe meglio dire barcollando, sopra il parapetto di trenta centimetri di larghezza del terrazzo dell’appartamento al trentesimo piano del Waldorf Astoria.