Robinson, 13 maggio 2023
Su Kafka
Sono io che stravedo o svariati editori, stanchi di pubblicare di continuo novità che magari durano solo l’espace d’un matin,finiscono per spostare l’attenzione verso grandi libri del passato da rimettere in circolazione? Prendete Il Saggiatore, che di colpo manda in libreria ben tre romanzi di Franz Kafka: Il disperso, Il processo, Il castello, tutti in nuova traduzione (rispettivamente Silvia Albesano, Valentina Tortelli, Alessandra Iadicicco). E aggiunge a questo trittico la più classica delle biografie, quella di Klaus Wagenbach: Kafka. Una battaglia per l’esistenza, impreziosita da immagini che provengono dall’Archivio dell’autore autorevole critico ed editore morto nel 2021. La prima cosa che colpisce sono le foto dello scrittore praghese: “Bello e impossibile”, verrebbe da dire citando una famosa canzone della Nannini. In gioventù egli fu animato dal desiderio di fare “comunità”, ma col passare degli anni finì al contrario per ritrarsi progressivamente dal mondo.«Per natura sono un uomo chiuso, taciturno, poco socievole, malcontento», scriverà Kafka nei Diari. «Senza che ciò costituisca per me un’infelicità, poiché è soltanto il riflesso della mia meta». E la sua “meta“è una sola, la scrittura: «Tutto ciò che non è letteratura mi annoia e provoca il mio odio perché mi disturba o mi è d’inciampo».Di qui la sua insofferenza verso i familiari (in primis il padre), verso il lavoro, Praga, e le donne, con le quali intreccerà relazioni fantasmatiche e fallimentari, protese a matrimoni che non avranno mai luogo. Curioso: perché tra tanti, forse il giudizio più acuto sulla sua persona viene proprio da una donna. Da una delle tante “promesse spose”– Milena Jesenkà, che così scrive: «Certo è che tutti noi siamo apparentemente capaci di vivere perché una volta ci siamo rifugiati nella menzogna (…) Ma lui non si è mai rifugiato in un asilo che potesse proteggerlo (…) È senza il minimo rifugio, senza un ricovero. Perciò è esposto a tutte le cose dalle quali noi siamo al riparo. È come un individuo nudo tra individui vestiti».E per quell’individuo “nudo”, il desiderio spasmodico di purezza si rovesciava immancabilmente nel contrappasso di un occhio «fisso alla colpa», per dirla con l’amato Kierkegaard. Ecco perché senza un doloroso divorzio, prima che dalle donne, dal mondo intero, mai avremmo avuto quelle inarrivabili pagine di cristallina essenzialità sull’implacabile assurdità dell’esistenza.