Tuttolibri, 13 maggio 2023
Il talento sregolato di Andrea G. Pinketts
«Il mio primo romanzo è stato scritto nel millenovecentottantaquattro e pubblicato nel millenovecentonovantadue. Non ne volevano sapere di farlo uscire, e meno male che si chiamava Lazzaro, vieni fuori… Quando finalmente vide la luce aveva già otto anni: il neonato più vecchio del mondo… Fui subito etichettato giallista… Qualche anno dopo scoprii, a mezzo stampa, di essere un giovane cannibale. Io in realtà sono onnivoro, figlio come tutti gli scrittori della mia generazione della letteratura ma anche di cinema, musica, fumetto, arte, radio, tivù. Di Shakespeare e di Spillane. Di Bergman e di Lucio Fulci. Non si sevizia un paperino per me vale Il settimo sigillo… Da cannibale poi sono diventato, sempre secondo terzi, pulp, finché non hanno scoperto che sono uno scrittore noir. Quando leggerete queste righe sarò diventato senz’altro un’altra cosa. Non so più cosa sono. Ho un’unica certezza: il fatto che se sono uno scrittore lo devo anche a Giorgio Scerbanenco».
Così scriveva Andrea G. Pinketts, nel millenovecentonovantanove, nella prefazione al romanzo Al servizio di chi mi vuole di Scerbanenco, i libri del quale, diceva, «per noi giallisti, pulp, cannibali, noiristi e vattelapesca, sono vivi, vividi e lividi come certe mattinate cittadine».
La città dalle mattine vivide e livide ovviamente è Milano, che nella costellazione pinkettsiana è una delle stelle più luminose, insieme ai bar, alla birra, ai sigari, ai misteri da risolvere, alle ragazze e alla madre Mirella «trentina, di padre tedesco, cechoviana», la quale minimizzava teneramente le passioni del figlio dicendo «L’alcol e i sigari li ho sempre considerati un atteggiamento, alla Hemingway o alla Bukowski, pensi che in casa non ha mai bevuto e fumato».
Poche settimane fa sono usciti Lazzaro vieni fuori e Il vizio dell’agnello, a fine agosto usciranno Il senso della frase e L’assenza dell’assenzio, ed è davvero una bella notizia che Harper Collins abbia deciso di rieditare le opere di Andrea Genio Pinketts, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista Lazzaro Santandrea, così come è una bellissima notizia che Il Salone di Torino gli dedichi un incontro e lo intitoli «L’avanguardia letteraria di Andrea G.Pinketts», perché per quanto la sua biografia sia stata movimentata, divertente e interessante, nulla secondo me è più interessante della sua scrittura.
Basta leggere i suoi incipit. Lazzaro vieni fuori, il primo romanzo, inizia così: «Per molto tempo sono andato a letto tardi. La differenza tra me e Proust».
Il vizio dell’agnello è ancora più fulminante: «Il cadavere leggeva il giornale del giorno prima, alla pagina degli spettacoli». Un mondo, un clima, uno stile, in una riga.
Chi era veramente Andrea G. Pinketts, che si divertiva ad atteggiarsi a fumetto, detective, seduttore, personaggio televisivo? «Forte della certezza di essere Lazzaro Santandrea (il suo alter ego letterario, nda) e di avere il senso della frase, restavo al tavolo coi miei nobili pensieri su cosa fare della mia vita, dopo che ero stato, di volta in volta, intervistatore di vallette tivù per un settimanale specializzato, scrittore di tesi di laurea altrui, istruttore di arti marziali, cantante di voce roca e poca in un piano bar, estremista, innamorato, proprietario di un locale notturno fallito prima che ci mettessero una bomba, detective privato di licenza che, del resto, non avevo mai avuto, fotomodello, ereditiere agli sgoccioli, scrittore underground, cacciatore di taglie e di dote».
Per me, Andrea Pinketts era soprattutto uno scrittore con una voce originale, limpida, generosa, piena di invenzioni sbalorditive. Celebrato in Francia con la medaglia d’onore dell’Assemblée Nationale de la la Republique Française (uno dei suo libri migliori, Il conto dell’ultima cena, ha avuto l’onore di una citazione in un film di Claude Chabrol) da noi aveva vinto varie edizioni del MystFest e un Premio Scerbanenco.
Chi lo conosceva gli voleva bene perché era autentico, libero, buono e per bene, chi non lo conosceva, prima di leggerlo, rischiava di fraintenderlo.
«Non so sciare, non so giocare a tennis, nuoto così così, ma ho il "senso della frase"…Non so se si nasca con il senso della frase. Di sicuro ci si muore» scriveva nel romanzo Il senso della frase. Ci è morto a cinquantasette anni, cinque anni fa, giocando fino alla fine con le parole dell’ ultimo libro E dopo tanta notte strizzami le occhiaie, uscito postumo : «È stata una notte lunga. Per voi lo sarà. Ne passerete il testimone a qualcun altro in modo che il tempo non si fermi quando gli pare e Pinketts. E non si fermerà certamente durante questo agghiacciante pigiama party festeggiato senza gioia con sorella morfina. (...) Per fortuna abbiamo fallito: i nostri fantasmi ci rendono meno soli».