il Giornale, 13 maggio 2023
Sul Meridiano dedicato a Giovanni Testori
Il Meridiano Mondadori dedicato a Giovanni Testori, in occasione del centenario della nascita (12 maggio 1923) ha numerosi meriti. Vediamo i principali. Non si sostituisce ma nemmeno si sovrappone ai tre volumi delle Opere editi da Bompiani nel corso degli anni. Offre piuttosto un punto di vista preciso e ben documentato grazie alla curatela di Giovanni Agosti, alla Cronologia di Giuseppe Frangi e alla Notizia sui testi di Giovanni Battista Boccardo. Innanzi tutto, il Meridiano Opere scelte (pagg. 1700, euro 90) rimette in circolazione i saggi di Testori sull’arte. Si parte con Francesco Cairo e si approda a Bacon, passando per la colossale stroncatura È poi tutto qui, architetto Gae Aulenti? Il saggio su Cairo è doppiamente importante. Inizia il sodalizio con il critico Roberto Longhi, che lo pubblica con risalto nella rivista Paragone. Longhi è l’inventore, per così dire, di Caravaggio e il teorico di una scuola padana che va ad aggiungersi a quelle tradizionali (fiorentina e veneziana). E proprio su quella linea padana indaga Testori: Gaudenzio, il Sacro Monte, Giacomo Ceruti... Ma il saggio su Cairo è decisivo anche per un altro motivo. Infatti, Testori, oltre all’acume critico, ci mette lo stile da grande scrittore quale è. Anni dopo, Testori scoprirà che il suo linguaggio aveva scandalizzato i perbenisti dell’arte ed era costato, a Longhi, una serie di lettere indignate alla redazione. Longhi è un maestro indiretto di Testori. Ma il sodalizio è profondo ed esula anche dalle questioni artistiche. Testori ricorderà un Longhi inquieto, in preda ai dubbi, che si confessa in una insonne notte milanese. Nella lunga collaborazione con la terza pagina del Corriere della sera, Testori non lesina stroncature. Naturalmente, come dovrebbe sempre essere, mette nel mirino i bersagli grossi. Le Biennali, allegramente massacrate con regolarità, ma anche Gae Aulenti, ben inserita nei salotti milanesi. Il titolo, che è poi anche l’incipit dell’articolo, prende spunto da una canzone di Ornella Vanoni: È poi tutto qui, architetto Gae Aulenti? Se è tutto qui, chiosa Testori, tanto vale smettere subito. Il paragone tra gli arredi di design e la «bellezza» di un «gabinetto dentistico» spiega il tono sarcastico dell’articolo, che concede alla Aulenti solo una cosa: essere (forse) una discreta «vetrinista». Di fronte al «para-ritorno all’ordine» e agli anni Trenta, Testori sospira: «Un Sironi per favore! Dateci un Sironi! Sia pure dei meno belli...». È il genere di articolo che oggi la terza pagina dei grandi giornali non pubblicherebbe neppure sotto minaccia di tortura. Non si fa, non sta bene, porta soltanto guai. E comunque «la Gae» o chi per essa è amica del direttore. Tra l’altro non sarà un attacco sessista, un esempio di maschilismo tossico, quant* architett* sono stat* ricacciat* ai margini? Testori non si faceva problemi. Come testimonia il Meridiano, il primo a finire nel tritacarne fu Giorgio Napolitano. La cultura marxista non ha il suo latino (Corriere della Sera, 4 settembre 1977) è una dichiarazione di guerra al pensiero dominante. L’origine della polemica è un articolo sull’Unità. Il futuro presidente della Repubblica si lamentava degli intellettuali poco disposti a sporcarsi le mani. Testori trasecola. Al limite, gli intellettuali hanno le mani troppo sporche. Poi parte l’assalto alle casematte del potere. La cultura come affare per piccole cosche di eruditi. L’intellettuale impegnato come impiegato al servizio della propaganda. Il marxismo come mediocre imitazione del cristianesimo e della chiesa. Il rifiuto netto del materialismo. Il Vangelo come guida in tutti gli aspetti, pubblici e privati, essendo pubblico e privato inscindibili per i cristiani. L’orizzonte limitato del progressismo: il marxismo non fa i conti con la morte. Anche la propria morte. Il Vangelo invece sì: l’Apocalisse è il primo e l’ultimo dei libri, il libro che comprende e compendia tutti gli altri libri. Il mondo della cultura, per usare un eufemismo, non la prese benissimo. Non si contano gli interventi in coraggiosa (ehm) difesa del più forte, cioè Napolitano. Esilarante la controreplica di Testori, in pieno raptus celiniano: «L’isole, i romiti, le barche, il marxismo senza latino, il latino senza Marx, il Napolitano, l’Abruzzese, santa Teresa dei Zangari, Lucio Lombardo Radice, Lomba Radardo Ludice, la Lolli, la Lalli, la Lilli, Flora Lillo (no, Flora Lillo era solo una stupenda soubrette dei tempi dell’Italietta) tutto mi vorticava dentro la testa. Mi diventava impossibile vivere; preso da una nausea incontenibile, le persone, le cose, i rapporti, gli affetti, tutto mi si disfaceva dentro, davanti e intorno». Strepitoso. Anche questo articolo oggi arriverebbe con difficoltà alla pubblicazione. Poi, naturalmente, ci sono il narratore, il poeta e il drammaturgo. Anche l’artista, come il critico, come il polemista, è in direzione ostinata e contraria rispetto a ciò che lo circonda. Agosti nota, nel bellissimo saggio introduttivo, che, se si dovesse scegliere un autore ufficiale per gli anni Ottanta, forse il vincitore sarebbe Italo Calvino. Eppure gli anni Ottanta di Testori sono straordinari e trovano il culmine nel romanzo, poi spettacolo non solo teatrale, In exitu. Il delirio di un tossico che muore da solo in mezzo alla folla della stazione centrale di Milano. Un esempio magistrale di stile, niente a capo, punti di sospensione, virgolette, un ritmo indiavolato... L’adattamento del romanzo andò in scena proprio in stazione, con Franco Branciaroli e Testori stesso. Spettacolo passato alla storia. Mentre Milano si divertiva, Testori puntava il faro sui lati oscuri della società, sulla disperazione, sulla solitudine. Questo Meridiano si può leggere in due modi: può essere una splendida e completa introduzione a Testori; ma è anche la prova incontestabile della unicità di Testori: oggi saremmo in grado di sopportarla o finirebbe tritata dal conformismo del mondo culturale ed editoriale? Qualche dubbio è lecito. Purtroppo.