Corriere della Sera, 13 maggio 2023
Intervista a Gianfranco Zola
Una nuova vita, un nuovo ruolo, sempre col calcio al centro di tutto. Gianfranco Zola dal 9 febbraio è uno dei due vicepresidenti della Lega Pro, chiamato da Matteo Marani per dare una spinta allo sviluppo dei settori giovanili. Si è totalmente immerso in questa avventura: elegantissimo, in forma grazie al golf, sorride mentre racconta progetti e iniziative, parla sicuro delle sue idee. L’Italia che per due volte di fila non si è qualificata ai Mondiali deve cercare soluzioni. Ripartire dai giovani: «Il mio obiettivo è dare un impulso a riforme che aiutino i ragazzi. Bisogna stare attenti a come si allenano, dar loro tempo e consigli giusti. Solo così possiamo tornare a produrre giocatori di un certo tipo». Alla Zola.
Gianfranco, il suo primo ricordo legato al pallone?
«Ero piccolo. Papà, all’epoca presidente della squadra del mio paese, venne da me con alcuni giocatori e mi portò un pallone. Un regalo bellissimo».
Quel pallone che non ha mai più lasciato.
«Da bambino giocavo dalla mattina alla sera per strada, in parrocchia. Ora non è più così, i ragazzi hanno altre cose da fare. Vanno trovate alternative per stimolarli. Un tema importante per il nostro calcio, non solo per la Lega Pro».
Lei è partito proprio dalla serie C.
«È stato il mio trampolino di lancio. Prima la Nuorese, poi la Torres. Senza quelle opportunità non so se ce l’avrei fatta a sfondare».
La Nazionale fatica, ma abbiamo piazzato cinque squadre in semifinale nelle Coppe europee. Chi vede meglio?
«Dopo la vittoria di giovedì è facile dire la Roma. Ma ci sono tanti fattori in ballo. Credo nella Juve e nella Fiorentina: è dura ma possono provarci».
In Champions l’Inter si è presa il primo round del derby che vale la finale.
«Il Milan ha iniziato col freno a mano tirato: era lento, perdeva palla e faticava a ricompattarsi. Forse sapere di non avere un’arma come Leao ha condizionato i compagni. Però ci sono altri 90 minuti».
E Leao, al ritorno, ci sarà.
«Ma a Pioli non può bastare solo lui. Ci vorrà una prestazione di squadra, il miglior Milan, per rimontare».
La lotta per la Champions tiene vivo il campionato. Chi arriva tra le prime quattro?
«Inter e Lazio hanno qualcosa in più delle altre. L’ultimo posto se lo contenderanno Juve e Milan».
Il Napoli ha fatto un torneo a parte.
«Ha vinto giocando benissimo. Pressing alto, coraggio, pazienza: le qualità delle migliori in Europa. Sono orgoglioso. Manco da Napoli da tanti anni, ma ho festeggiato con loro. Quando vinci lì non puoi dimenticarlo. Sono cose che ti restano dentro».
Nel 1990 c’era anche lei, l’ultimo scudetto di Maradona.
«Diego era una persona di uno spessore unico. Provavo una sorta di adulazione per lui. E lottava per noi. Le faccio un esempio: io e Massimo Tarantino non eravamo inclusi nel premio scudetto, lui si batté con la società per farcelo avere. Si esponeva, pensava più agli altri che a sé stesso».
Sente ancora qualche compagno di quel Napoli?
«Sì, abbiamo una chat su WhatsApp, “Napoli legends”, in cui sono iscritti sia quelli del mio gruppo, come Renica e De Napoli, sia campioni di questi anni, ad esempio Hamsik e Mertens».
Perché dopo una vita in campo ha deciso di sedersi dietro una scrivania?
«Quando un amico (Marani, il presidente della Lega Pro ndr) mi chiede un favore io lo ascolto e provo ad aiutare. Poi credo in questo progetto. Mi sono buttato e ho detto sì».
Come vi state muovendo?
«Ho preso contatti per capire come funzionano i modelli, vincenti, di Inghilterra, Francia e Germania. Cerchiamo cose che possano essere utili anche qui».
Che proposte avete in mente?
«Vogliamo garantire agevolazioni finanziarie alle squadre che fanno giocare calciatori cresciuti nel vivaio, senza alcun obbligo sul minutaggio (al momento per ottenere i fondi ogni giocatore deve sommare 297 minuti, ndr). Poi, con i tempi giusti, inserire per ogni rosa un numero fisso di giocatori costruiti in proprio. Idee al vaglio, non le uniche».
L’operazione squadre B?
«La Juve è un esempio virtuoso, con calciatori che si sono formati in Lega Pro e ora sono protagonisti in serie A. Ci sono altri club interessati, come l’Atalanta, che potrebbe iscriversi già dalla prossima stagione. Dovremo far sì che queste realtà non schiaccino le altre».
L’obiettivo qual è?
«Nella nostra categoria ci sono 60 squadre: non tutte sono attente ai giovani. Sarebbe bello andare insieme nella stessa direzione. Stiamo lavorando bene, sono contento».
Come gestisce i suoi impegni?
«Trovo il tempo, sempre, per stare con la mia famiglia. Vivo in Sardegna, ma vado spesso a Londra a trovare i miei figli».
Poi c’è il golf, gioca spesso.
«È stato importante, nella mia routine quotidiana ha preso il posto del calcio. Ero un fanatico dell’allenamento, è quella la cosa che mi manca di più del periodo da calciatore. Il golf ha compensato questa mancanza».
E la panchina? L’ultima esperienza da allenatore l’ha fatta nel 2018, vice di Sarri al Chelsea. Capitolo chiuso?
«Ho voluto fare un passo indietro. La mia famiglia aveva bisogno di me. Dovevo stare vicino a mia moglie e ai miei figli. Oggi sono contento così: con la Lega Pro spero di dare un contributo per i giovani. Ma non escludo, in futuro, di tornare a fare l’allenatore. Resto un uomo di campo, innamorato del pallone».