Corriere della Sera, 13 maggio 2023
Guccini e il fallimento dell’Osteria dei Poeti
Francesco Guccini non sa che l’Osteria dei Poeti di Bologna sta mettendo in vendita al dettaglio la cantina dopo il fallimento. «Ma davvero?», dice al telefono. La foto che sta girando in queste ore parla da sola, centinaia di persone in fila per le bottiglie di vino a prezzo ridotto. «La cosa mi intristisce – dice il cantautore che a Bologna ha trascorso la giovinezza e parte della maturità —. Ricordo quel posto con nostalgia e dolcezza».
Guccini all’osteria in via dei Poeti ci andava negli anni Sessanta. «Ci sono andato per tutto il decennio – racconta —, poi quando ha cambiato gestione ho smesso. Il vecchio proprietario, Paolo, quando lasciò l’osteria fece una cena d’addio e ci andammo, tra gli altri, io, Giorgio Celli (l’etologo, ndr) e il poeta Adriano Spatola». Era un posto molto diverso da quello che i bolognesi hanno conosciuto negli ultimi anni. «Intanto era un’osteria vera, perché chiudeva alle otto di sera, mica come i locali di oggi. Un bicchiere di vino costava 25 lire e così anche un uovo sodo. Ti davano la cartina con sale e pepe e l’aperitivo era quello. Noi studenti ci andavamo perché costava poco».
Si suonava, sì, ma ogni tanto, perché, come racconta Guccini, «non è che nelle osterie all’epoca fossero tutti entusiasti di avere i musicisti che suonavano e cantavano. Questa idea romantica che ci incoraggiavano è falsa. Noi andavamo lì senza strumenti poi se vedevamo che era aria io dicevo “faccio un salto a casa a prendere la chitarra”».
Quasi di nascosto? «L’osteria era un posto triste, sa. C’erano perlopiù anziani mezzi addormentati davanti al quartino di vino. C’erano i vicini del quartiere che si lamentavano del rumore. Così si andava lì, si beveva un bicchiere, si chiacchierava. Qualche volta nelle osterie il bicchiere e il sacchetto del salume te lo passavano attraverso una grata. Insomma, non erano circoli culturali».
Anche se nella sua cerchia, ai tempi dell’osteria in via dei Poeti, c’erano numerosi intellettuali: Spatola era un poeta dell’avanguardia più importante all’epoca, il Gruppo 63, Vincenzo Cioni era un professore di filosofia. «Eravamo solo studenti senza un soldo – taglia corto il cantautore —. E se vuole sapere la verità, più che per parlare di poesia, andavamo lì se c’era qualche tipa che ci piaceva». La stessa della canzone, «Osteria dei poeti», scritta dedicandola al locale di Bologna? «E chi se ne ricorda. Quella poi è una canzoncina». Però resta in mente. Specie il passaggio Lo so tutto passa e le cose più belle/ Forse finiscono prima del tempo.
Guccini rimarca: «L’ho detto che le osterie erano posti tristi. In quegli anni, però, io facevo canzoni diverse, scrivevo cose satiriche». A proposito, Sambuca Pistoiese – il Comune a cui appartiene il paese dove Guccini ha vissuto da bambino e dove abita adesso, cioè Pavana – vuole passare dalla Toscana all’Emilia-Romagna. Il «maestrone», però non si sbilancia: «Dico – conclude – che la gente deve vivere bene e se un presidio medico è più vicino, è meglio che possa essere raggiunto facilmente. Ma non sono un politico, mai stato, nemmeno ai tempi dell’osteria».