La Stampa, 12 maggio 2023
Tremonti è per il premierato
«Il cancelliere o il caos», sosteneva quasi venticinque anni fa Giulio Tremonti, oggi deputato di Fratelli d’Italia e presidente della commissione Esteri. Nel 1999, insieme a Giuliano Urbani, proponeva un intervento che avvicinasse la forma di governo italiana a quella tedesca e ora che le riforme costituzionali tornano in primo piano, di quella proposta - dice Tremonti - restano attuali soprattutto la premessa, costruita attorno alla «natura dei problemi che già allora emergevano», e la conclusione a cui si arriva: «Serve un governo forte, saldo».
Con un cancellierato, come propongono alcune forze di opposizione, si andrebbe nella giusta direzione?
«La proposta era valida un quarto di secolo fa, ora può essere la base da cui far partire un nuovo ragionamento. Del resto anche in Germania il cancellierato inizia a mostrare dei limiti ed è difficile dire che il Cancelliere sia ancora oggi una figura forte».
Ma assicurerebbe stabilità, che per Giorgia Meloni è l’obiettivo centrale della riforma.
«Chiariamo subito che quando per ricordare l’instabilità italiana si ripete la filastrocca dell’innumerevole quantità di governi che si sono succeduti negli anni, si fa un errore se ci si riferisce al periodo della Prima Repubblica in cui si aveva, al contrario, un assoluto grado di stabilità. I continui cambi di governo erano il paradossale prodotto dell’eccesso di stabilità: l’effetto di cristallizzazione veniva compensato da un ricambio con cui si soddisfacevano le aspirazioni personali dei politici. In altre parole, come diceva Ciriaco De Mita: "Non è vero che cambiavano i governi, al potere c’eravamo sempre noi"».
Oggi non è più così e i governi continuano a cambiare a ritmo incessante.
«Perché c’è stata una progressiva destrutturazione dello Stato, con il decentramento Bassanini e il "federalismo" del titolo V, la scomparsa della grande industria con il Britannia e la proliferazione chilometrica delle leggi. È così che la politica ha iniziato a perdere la sua funzione e la sua forza. Negli ultimi dieci anni sono poi venuti la chiamata dello straniero, l’apparizione delle maschere – come diceva Benedetto Croce - e poi i tecnici. L’iniziativa politica di Meloni è quindi oggi assolutamente necessaria. Tanto più che l’intensità dei problemi segnalati nel 1999 è cresciuta in modo drammatico».
Perché non siamo più in grado di affrontare questi problemi?
«Al tempo della Costituzione, i problemi erano di origine interna e potevano essere gestiti a livello nazionale. Oggi i problemi arrivano dall’esterno e dal futuro, dalle migrazioni alle crisi finanziarie, fino all’intelligenza artificiale. Nessuno di questi ha un’origine strettamente nazionale e ciò richiede ancor di più una forte forma di governo. Ecco perché la proposta fatta da Meloni, in questo senso, è corretta».
Quella di un premierato?
«Sì, può essere un’ipotesi molto fondata».
La Lega non lo vuole.
«Per dire la verità, sta nel programma insieme alle Autonomie».
Ma se l’obiettivo è la stabilità, perché non prendere dal sistema tedesco lo strumento della sfiducia costruttiva, grazie al quale non è possibile sfiduciare un premier se non si ha già pronta un’alternativa che assicuri il proseguimento della legislatura?
«In teoria lo stesso obiettivo potrebbe essere raggiunto con la sfiducia costruttiva, ma non basterebbe. La domanda che arriva dai cittadini è semplice: un governo forte, un governo eletto dal popolo, che serve il popolo e risponde al popolo. L’essenza della vera politica è nella semplicità. Se uno va al bar, che è un luogo democratico, e dice "volete eleggerete il vostro governo?", è molto probabile che tanti siano d’accordo e paghino da bere. Se invece parli di "sfiducia costruttiva", bene che ti vada ti guardano perplessi».
Si rafforza il governo nazionale e al tempo stesso, con l’Autonomia, si rafforzano le Regioni: non è un controsenso?
«Le due cose possono stare insieme. Le ipotesi di Autonomia riguardano la migliore gestione delle competenze regionali. In realtà la riforma rafforza lo Stato correggendo gli errori fatti nel Titolo V, prevedendo insane competenze concorrenti tra Stato e Regioni, ma non intacca i diritti dei cittadini».