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 2023  maggio 12 Venerdì calendario

Sul saggio scritto da Roberto Cingolani

A Roberto Cingolani la sorte ha riservato un privilegio che molti farebbero volentieri a meno di condividere con lui: il trovarsi in posizioni di responsabilità all’intersezione di crisi internazionali dalle quale dipende il futuro del Paese. Da qualche giorno è stato nominato amministratore delegato di Leonardo, il gruppo italiano della difesa e dell’aerospazio, in un’epoca di tensioni geopolitiche in cui l’Italia e l’Europa saranno costrette a rafforzare la loro capacità militare. Ma prima ancora Cingolani ha attraversato da protagonista un’altra emergenza: la più grave crisi energetica da oltre quarant’anni, che si sovrappone alla minaccia del cambio climatico, sul cui sfondo l’Italia ha a propria disposizione circa 70 miliardi di euro di fondi europei da investire per cambiare il modello con il quale il Paese si muove, si riscalda o alimenta la quinta o sesta (a seconda degli anni) industria manifatturiera del pianeta.
Fisico di grande esperienza internazionale, fondatore e a lungo direttore dell’Istituto Italiano di Tecnologia, Cingolani si è trovato a gestire queste circostanze quando è diventato ministro della Transizione ecologica nel governo di Mario Draghi. Dire che non è stata una sine cura di tutto riposo è un eufemismo. Durante il governo Draghi, Vladimir Putin ha tagliato le forniture da cui dipendeva il 40% del consumo italiano di gas, il prezzo del gas in Europa è passato da venti a 380 euro a megawattora, mentre l’Italia ha gestito la presidenza del G20 e la Cop26 sul clima di Glasgow (in co-gestione con la Gran Bretagna) sui temi della crisi e della transizione energetica.
Il Paese ha attraversato queste prove meglio di chiunque potesse immaginare prima di affrontarle, se solo fossero state immaginabili tutte insieme. Ora ne è uscito un libro illuminante, nel quale Cingolani tira le somme della sua esperienza sul piano intellettuale così come delle risposte concrete: Riscrivere il futuro (Solferino). Scritto con la collaborazione di esperti come Stefano Agnoli, Gilberto Dialuce, Francesco Gracceva, Ennio Macchi e Giuseppe Zollino, il saggio apre una finestra sull’impianto di pensiero dell’ex ministro a partire dall’approccio di fondo. Pagina dopo pagina, emerge un rifiuto razionale e motivato delle risposte che Cingolani definisce «ideologiche», mentre la sfida del cambio climatico non viene affatto negata, ma descritta in tutta la sua crudezza: «In alcune aree del globo le punte di riscaldamento hanno superato i cinque gradi centigradi – scrive – e si calcola che i livelli dei mari siano cresciuti di venti centimetri in un secolo», al punto che «le città costiere sono in pericolo, di questo passo le isole oceaniche rischiano di scomparire in pochi decenni», mentre «le acque si scaldano influenzando le precipitazioni che diventano molto più violente».
La lezione del libro è che occorre un approccio aperto a tutte le tecnologie disponibili, anche se esse sono diverse nei diversi contesti nazionali, unito a una capacità di leadership internazionale che per ora fa difetto all’Unione Europea. Quello di Cingolani è un approccio alla transizione verde lontano da tre posizioni oggi fin troppo riconoscibili: il negazionismo di chi vorrebbe fare il meno possibile; la linea di Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Ue e responsabile del Green Deal, il quale sembra pensare l’Europa debba dare il buon esempio al resto del mondo e allora gli altri governi seguiranno; le semplificazioni di un ambientalismo molto basato sulla protesta e sulle utopie e poco sulle proposte percorribili. Nessuna di queste vie porta lontano, spiega l’ex ministro.
Lo fa con la forza evocativa di chi ha incontrato i protagonisti e vissuto gli eventi in prima persona. Lo si sente per esempio nel ritratto, breve e micidiale, di Greta Thunberg. «A lei e a molti altri giovani va riconosciuto l’impegno nella sensibilizzazione – scrive Cingolani —. Greta è un fenomeno mediatico ben sostenuto da uno staff di persone che organizzano la sua agenda e preparano i contenuti dei suoi interventi. Ma anche per Greta e per tutti gli attivisti la protesta ha valore solo se entro un tempo accettabile giunge a proposte concrete». Del resto, aggiunge l’amministratore delegato di Leonardo, «questo volume è stato pensato seguendo una linea precisa: scrivere per evitare che si perpetui la tendenza alla sovra-semplificazione che crea danni irreversibili». La sua è una confutazione, punto per punto, di quella che chiama apertamente «disinformazione».
Politicamente interessante è poi la critica alla linea di Timmermans, riassumibile nell’idea che l’Europa debba raggiungere obiettivi di riduzione delle emissioni più ambiziosi del resto del mondo e debba farlo attraverso un unico approccio: rapida transizione verso le fonti rinnovabili, unita a un’altrettanto rapida elettrificazione della mobilità. Cingolani non disconosce né l’uno, né l’altro obiettivo. Ma osserva che da soli non bastano: né sul piano tecnologico, né su quello politico. Sul primo per l’ex ministro è un errore legarsi in anticipo a un unico modello di transizione perché anche la cattura della CO2, il geotermico, la trasformazione dei rifiuti in energia, i carburanti sintetici, la chimica verde e le nuove tecnologie nucleari possono aiutare. Sul piano politico poi Cingolani fa capire che dare il buon esempio non è il modo di esercitare una leadership – tantomeno di fronte ai colossi emergenti – in un mondo percorso da dure rivalità geopolitiche, industriali, tecnologiche. Serve invece una più seria capacità negoziale dell’Europa con tre potenze che rappresentano quasi la metà delle emissioni mondiali di gas a effetto serra: nell’ordine Cina, Stati Uniti e India.
In altri termini Bruxelles non può essere la maestrina del mondo, un ruolo che nessuno le riconosce, ma deve fare politica. Scrive Cingolani: «Se tutti i nostri sforzi fossero condotti senza coinvolgere i grandi Paesi inquinatori, il nostro miglioramento sarebbe vanificato da un qualsiasi minimo incremento di questi ultimi». E ancora: «Non è sufficiente essere localmente virtuosi. Si deve invece lavorare a una soluzione globale del problema» perché «questa è la transizione ecologica: qualcosa che non può essere affrontato con furore ideologico o propinando soluzioni semplici e uguali per tutti».
Il suo non è un contorto modo per far sì che l’Europa o l’Italia trovino alibi per sottrarsi alla sfida del clima, né un elogio della complessità fine a se stesso. In fondo è un ritorno di Cingolani al suo primo mestiere: quello dell’educatore.