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 2023  maggio 11 Giovedì calendario

Perché l’Italia non fa figli neanche nel Mezzogiorno

In anticipo di un giorno sugli Stati Generali della Natalità, è uscito ieri il Report Save the Children Le equilibriste: la maternità in Italia nel 2023. Nel contesto nazionale che vede un numero sempre più basso di nascite, per la prima volta nel 2022 scese sotto la soglia di 400mila, riflettere sulla maternità e le sue difficoltà diventa ancora più importante. È in particolare una l’evidenza emersa nel report che richiede attenzione: la condizione lavorativa delle donne del Mezzogiorno a fronte di una fecondità ancora leggermente maggiore rispetto a quella delle regioni del Nord e del Centro. In tutte le aree del Paese siamo in una condizione di natalità decisamente bassa, ad esempio al Nord nascono 1,16 figli per donna e al Sud 1,22, ma se il Nord e il Centro del Paese sono allineati sulle dinamiche che caratterizzano il resto d’Europa, ovvero con la natalità che va a crescere lì dove le donne più partecipano al mercato del lavoro, nel Mezzogiorno lavoro femminile e genitorialità rimangono ancora incompatibili.
A oggi, lo svantaggio economico del Mezzogiorno si ripercuote, dunque, sulla natalità. Non è un caso se non solo disoccupazione femminile, ma anche inattività sono maggiormente diffuse proprio al Sud.
Mentre tra gli uomini i tassi di occupazione salgono, soprattutto nel Mezzogiorno, se nel nucleo familiare ci sono figli, per le donne il meccanismo è inverso. L’occupazione femminile nel Mezzogiorno si ferma al 46,4% per le donne senza figli di età compresa tra i 25 e i 54 anni, e cala al 39,7% in caso di presenza di figli minori. 38,1% è la partecipazione minima che si riscontra per le donne con due o più figli minori nel nucleo familiare. Tra le donne del Nord dal 78,9% delle donne senza figli, al 71,5% delle madri con figli minori. 66,8% è il minimo per le donne con due o più figli minori. A essere estremamente svantaggiate sono le donne con basso titolo di studio, e in particolare le più giovani.
Più di una donna su due (54%) con figli residenti nel Mezzogiorno è inattiva, e dunque fuori dal mercato del lavoro senza cercare di rientrarci, a mostrare un modello familiare basato sulla divisione tradizionale dei ruoli ancora molto radicato e presente specialmente tra le donne giovani (25-34 anni) tra cui non lavora e non cerca lavoro il 63,5% delle donne con almeno un figlio minore, quasi due donne su tre. È proprio il lavoro di cura a essere la principale motivazione dell’inattività femminile.
A emergere, da un approfondimento svolto con Ipsos su un campione nazionale su madri di bambini in età 0-2, è che a occuparsi delle attività di cura è la madre nella maggior parte dei casi, a prescindere da quale sia l’attività svolta: 8 volte su 10 è la madre ad assistere il bambino durante la notte, 8 su dieci a dar da mangiare, 7 su dieci a lavare e cambiare il bambino. Anche le pulizie domestiche e le altre attività di cura sono sbilanciate.
A fronte della promessa di grandi investimenti del Pnrr sulla diffusione di asili nido nel Sud del Paese, permane invece da una parte la poca capacità ricettiva del mercato del lavoro verso la componente femminile, specialmente con figli, dall’altra una marcata propensione alla divisione tradizionale dei ruoli di cura, da scardinare per poter godere della possibilità di beneficiare dell’esternalizzazione della cura.
A mancare sono oggi non solo i servizi per la prima infanzia: tutte le regioni del Mezzogiorno, con la Sicilia fanalino di coda, hanno valori al di sotto della media nazionale in merito alla presenza di servizi, non solo comunali per la prima infanzia, ma anche classi a tempo pieno nella scuola primaria, e bambini che frequentano la mensa.
È la stessa Save the Children a suggerire la necessità di garantire ai Comuni adeguate risorse per la copertura delle spese di gestione annuali dei servizi. Il riferimento al Sud del Paese non è esplicito, ma è indubitabile la necessità di un maggiore sforzo in queste aree per stimolare l’impegno finanziario anche attraverso ulteriori risorse a bilancio dello Stato, oltre che europee, per un riequilibrio territoriale e la garanzia di servizi fondamentali. Inoltre, con la ripartizione dei fondi allocati con il Pnrr per la costruzione o ristrutturazione di asili nido, è essenziale supportare i Comuni per garantire un’effettiva capacità di gestione dei fondi ricevuti e di attuazione dei progetti. La gratuità degli asili nido, poi, è un’opzione che in alcune aree del Paese è stata già attivata.
È evidente che questa direzione non è la sola necessaria per il cambiamento. È lo stesso report a indicare la necessità di rafforzare il sistema di tutela delle lavoratrici per l’accesso e la permanenza nel mercato del lavoro, l’introduzione di un congedo di paternità obbligatorio per tutti i lavoratori con l’obiettivo anche di riequilibrare il lavoro di cura nelle famiglie, ma soprattutto l’opportunità di “promuovere un forte impegno a livello culturale, a partire da iniziative di sensibilizzazione e di educazione rivolte a tutte le generazioni volte a promuovere una visione più moderna e paritaria della coppia genitoriale, della condizione femminile e materna, nonché dei modelli maschili e del ruolo paterno”. Finché non si agirà contemporaneamente a livello culturale e strutturale è difficile prevedere una crescita della fecondità nel Paese e anche una crescita del benessere delle madri e delle famiglie.