Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  maggio 11 Giovedì calendario

Servono 100 mila posti letto in più per gli studenti universitari

L’Italia avrebbe bisogno di almeno 100 mila posti letto in più per gli studenti universitari: il dato è in un report di Cassa Depositi e Prestiti realizzato circa un anno fa. Da allora poco è cambiato, anzi. Negli ultimi anni il numero dei fuorisede è aumentato, tra il 2015 e il 2019 è passato da 784 mila a oltre 830 mila, mentre la carenza strutturale di alloggi, ferma a 57 mila posti, è rimasta la stessa: soddisfa meno dell’8% della richiesta degli studenti fuorisede, sotto gli standard europei che prevedono un tasso di copertura di almeno il 20%. Il Pnrr ha stanziato quasi un miliardo per ave circa 60 mila nuovi “letti” entro il 2026, ma c’è il serio rischio di perdere la partita nonostante i privati annusino l’affare si buttino a capofitto. Potrebbero essere gli unici a vincere.
Pnrr a rischio. Il Piano di ripresa e resilienza destina all’housing universitario 960 milioni di euro. Il quadro è ben spiegato in un articolo pubblicato su lavoce.info e realizzato da Alessandro Santoro, che è stato team leader del ministero dell’Economia per la Missione 4 durante la fase di definizione del Pnrr (ed è prorettore al bilancio e delegato per il diritto allo studio per l’Università di Milano-Bicocca). Il target al 2026 prevede 60 mila posti letto in più, un aumento del 125%, su due direttive. La prima, tramite aumento del cofinanziamento ministeriale nelle residenze universitarie, con partecipazione ai bandi delle norme già esistenti, e che avrebbe dovuto far trovare già 7.500 nuovi posti letto al dicembre 2022; la seconda che, invece, prevede nuove forme di partenariato pubblico-privato e agevolazioni fiscali per gli altri 52.500 posti letto entro dicembre 2026.
LEGGI – Studentati: la soluzione che piace a chi specula
Problema: anche se viene aumentata la percentuale di cofinanziamento sulla realizzazione e la ristrutturazione delle residenze universitarie (passa dal 50 al 75 per cento massimi, stanziati 467 milioni di cui 300 da Pnrr) e le università hanno presentato progetti per oltre un miliardo, nella primavera del 2022 il ministero dell’Università e Ricerca si è reso conto che l’interpretazione di come avrebbero dovuto trovare i 7.500 posti aggiuntivi era diversa da quella della Commissione europea. “Secondo la Commissione – spiega Santoro – infatti, i 7.500 studenti dovevano avere materialmente la disponibilità del posto letto e non era sufficiente che fossero espletate le procedure amministrative di aggiudicazione”. A quel punto, i 300 milioni del Pnrr vengono destinati ad acquisizione del diritto di proprietà o, comunque, all’instaurazione di un rapporto di locazione a lungo termine. In pratica, posti letto recuperati in strutture già esistenti, gestite soprattutto da soggetti privati (la legge di bilancio per il 2023 ha reintegrato i 300 milioni, ma si è ancora alla fase dell’istruttoria tecnica). Il professore arriva alla conclusione che, sulla base delle attuali informazioni, sia difficile che la riforma dell’housing universitario arrivi a compimento nei tempi previsti al 2026.
Il ruolo dei privati. Il Pnrr, poi, affida comunque ai privati un ruolo fondamentale, destinandogli ben 660 milioni per le convenzioni o i partenariati, tra stanziamenti a fondo perduto per la copertura dei costi di gestione nei primi tre anni e agevolazioni fiscali. E anche in questo caso mancano ancora le procedure, previste entro gennaio 2023. Inoltre, l’impatto sulle tariffe viene da più parti indicato come molto limitato, tra il 10 e il 15 per cento in meno. “Una percentuale – conclude Santoro – che, per la realtà di molti mercati immobiliari locali delle città universitarie, non è sufficiente a soddisfare la domanda proveniente dagli studenti delle graduatorie del diritto allo studio che dovrebbero essere, secondo le stesse indicazioni della riforma, i primi destinatari dei posti letto aggiuntivi”.
L’esempio di Milano. E proprio a Milano, che delle proteste di questi giorni è la culla, i grandi fondi di investimento immobiliari sono in piena attività. È il caso del gruppo Coima di Manfredi Catella, che nel capoluogo ha già impiegato oltre 9 miliardi di euro di investimenti (ha realizzato e gestisce il quartiere glam di Porta Nuova) e che ricalca uno schema attualmente esistente anche nelle altre città universitarie. Da alcuni mesi sta proponendo agli atenei milanesi – pubblici e privati – di investire in un nuovo fondo, il “Fondo di Student Housing”, destinato appunto a costruire e gestire studentati universitari in città. C’è già il “Progetto pilota”: è il Villaggio olimpico che sta edificando nell’ambitissimo scalo ferroviario di Porta Romana, sette edifici che, passate le Olimpiadi del 2026, saranno riconvertiti a residenze: 1.698 posti letto che Coima gestirà per 30 anni. La giunta Sala l’ha subito rivenduta come la risposta agli affitti folli che Milano impone agli studenti universitari. Secondo la narrazione, infatti, si offriranno stanze a prezzi “calmierati” e l’aumento dell’offerta abbasserà i prezzi in generale. Ma è proprio così? No, secondo la stessa Coima. Nel prospetto di investimento inviato agli atenei si annuncia che una stanza singola nella residenza costerà 1.095 euro, una doppia 814. A regime, la società stima di incassare 16.996.050 euro l’anno. Prezzi ancora indicativi, ma che danno l’idea di come il concetto di “calmiere” sia relativo e di come, soprattutto, sia stato lasciato allo sviluppatore/gestore decidere i prezzi e non all’amministrazione. Tutto senza contare che le università pubbliche non possono investire in fondi immobiliari (e infatti i vertici di Statale, Politecnico e Bicocca stanno analizzando la proposta, ma con forti dubbi sollevati dai rispettivi collegi dei revisori dei conti). Per aggirarli, il prospetto suggerisce alcune soluzioni tra cui “un intermediario finanziario abilitato” che “formuli a favore dell’Università una raccomandazione personalizzata valutando l’investimento come adeguato”. Naturalmente l’esperto, recita sempre la proposta, potrebbe essere la stessa Coima. Inoltre, a fronte di un investimento minimo previsto di 100 mila euro, le università non avranno voce in capitolo nella gestione del fondo. Avrebbero infatti solo un delegato nel “Comitato di indirizzo” del fondo, organismo a carattere “scientifico e culturale”, destinato a “orientare” (e non decidere) le scelte. Che saranno sempre di Coima.
Scontro nel governo. Ieri il sindacato Udu, Unione degli Universitari, ha presentato dieci proposte al governo contro il caro affitti, che vanno dall’aumento dei letti nell’ambito del diritto allo studio all’aumento del fondo affitti per gli studenti fuorisede, fino al blocco dei rincari degli affitti come in Francia, Spagna e Germania e alla limitazione degli affitti brevi turistici. Di tutta risposta il ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara, ha deciso di buttare la questione in politica: “Io credo che il problema del caro affitti è grave ma tocca le città governate dal centrosinistra” ha detto, aggiungendo poi che le proteste ci sono là dove non sono state implementate politiche per i giovani. Le tende piantate davanti agli atenei dagli studenti sono così aumentate e comparse a Cagliari, Torino, Padova, Perugia, Pavia (entrambe con giunte di destra, anche in Regione) e Bologna mentre i sindaci si sono rivoltati al punto da far intervenire in loro difesa la spesso tacita ministra dell’Università, Anna Maria Bernini. La strada da percorrere per risolvere il problema, per la ministra, deve essere quella del dialogo e del coinvolgimento di tutti. Ma bisognerebbe iniziare mettendo d’accordo il governo stesso.