Corriere della Sera, 11 maggio 2023
Il denaro non corre sulla Via della Seta
Non sembra essere stato un grande affare il famoso Memorandum of Understanding con il quale il primo governo Conte fece aderire l’Italia (unico Paese del G7) alla Belt and Road Initiative di Pechino, la cosiddetta Nuova Via della Seta. Avrebbe dovuto portare investimenti cinesi ma i dati appena pubblicati da due dei massimi centri di analisi sulla Cina – Rhodium Group e Merics (Mercator Institute for China Studies) – indicano che il controverso accordo del 2019 non ha aperto strade privilegiate. Nel 2022, l’88% degli investimenti cinesi in Europa sono stati effettuati in quattro Paesi: i cosiddetti Big Three, cioè Regno Unito, Francia, Germania più l’Ungheria. Il maggior recipiente, per il 28,4% del totale, è stata la Gran Bretagna, seguita dalla Germania (23,7%) e dalla Francia (15,8%). La quota dei Paesi del Sud Europa (Italia, Spagna, Portogallo Grecia, Croazia, Slovenia, Cipro, Malta) è stata dell’8,3%, denaro in buona parte arrivato da aziende di Stato di Pechino. Gli investimenti cinesi in Europa si stanno orientando non tanto in acquisizioni di società quanto nella costruzione da zero di impianti per la produzione di batterie per automobili elettriche: in dieci Paesi ma non in Italia. Il tutto avviene in un quadro di netto calo degli investimenti diretti del Paese asiatico nel mondo: nel 2022, meno 23% rispetto al 2021, a 117 miliardi di dollari: i lockdown estremi dell’anno scorso che hanno frenato l’economia cinese, l’invasione russa dell’Ucraina e maggiori controlli da parte dei governi sul tipo di operazioni hanno influito sul calo; ma Rhodium Group e Merics sottolineano che «la fragile situazione economica della Cina e le pressioni geopolitiche rendono improbabile un rimbalzo ai livelli della metà degli Anni Dieci», quando gli investimenti toccarono, nel 2016, i 181 miliardi di dollari. In Europa, il livello degli investimenti diretti cinesi l’anno scorso è sceso al livello minimo da dieci anni, a 7,9 miliardi di euro, in calo del 22% rispetto al 2021. Il governo italiano sembra orientato a non rinnovare il Memorandum of Understanding con Pechino (ha tempo fino a fine 2023 per decidere) che quattro anni fa fu un imbarazzo politico e poi si è dimostrato anche inefficace nell’attrarre investimenti. In effetti, fu un errore allora firmarlo e lo sarebbe ancora di più oggi rinnovarlo.