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 2023  maggio 11 Giovedì calendario

Intervista a Nicoletta Spagnoli

Nicoletta Spagnoli, somiglia alla bisnonna Luisa?
«Abbiamo in comune la passione e il coraggio. Ha creato due aziende — Luisa Spagnoli e Perugina — in un periodo in cui alle donne era precluso tutto. È stata la prima donna a sedere in consiglio di amministrazione, guidava l’auto e ha creato un asilo per le dipendenti. Tutto accadeva a Perugia nei primi anni del Novecento».


Ha sempre saputo che sarebbe stata lei a guidare l’impero di Luisa Spagnoli?
«Mai. Ero la seconda di tre figli, mio padre Lino per me aveva altri progetti. Dopo il liceo classico mi chiese cosa volessi fare e risposi Lettere. Senza sollevare lo sguardo mi disse : “fai Medicina e poi diventi il medico aziendale”».




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Ha obbedito?
«Gli ho spiegato che la vista del sangue mi faceva svenire. Allora mi consigliò di fare farmacia: “nella vita ti può servire sempre”. Mi sono laureata con il massimo dei voti e ho fatto un periodo di ricerca a San Diego: il professore voleva che mi fermassi lì».


Oggi è alla guida dell’azienda e disegna la collezione. Cosa ha cambiato il corso delle cose?
«La morte improvvisa di mio padre. Mio fratello Mario era giovane, mia sorella Carla viveva al Nord. Avevo 30 anni e con l’aiuto dei suoi collaboratori mi sono messa al lavoro».


Una donna al comando, per di più senza esperienza. Si è sentita giudicata?
«Mi spiaceva solo che non potevo piangere mio padre: c’era subito da mettersi al lavoro. Non mi ponevo il problema di essere donna, ma che in azienda non mi conoscessero. La prima cosa che ho chiesto al direttore amministrativo è stata: “quanto ci si mette a rovinare tutto?” Lui mi rispose: “Sei anni”».


Al termine di quei 6 anni cosa è accaduto?
«Non avevo rovinato nulla, anzi avevo rinfrescato il marchio.Ho sempre disegnato benissimo, fin da bambina: ho rinnovato senza perdere la clientela fidelizzata».


Battute sul genere ?
«Non accetto questa discriminazione, la meritocrazia per me viene prima di tutto. Sono la pronipote di una pioniera e la mia è una azienda al 90 per cento femminile».


A cosa ha rinunciato?
«A un secondo figlio. Quando Nicola era piccolo avevo l’aiuto di mia madre e di una bambinaia, ma poi quando aveva la febbre o c’era un problema, lui voleva me. Ho capito che non avrei potuto lavorare come avevo in mente con l’arrivo di un altro figlio».


Un’ingiustizia?
«Vissuta con concretezza. Anche la “nonna” Luisa ne fece le spese: i suoi figli erano stati allevati dalle cognate ad Assisi. Per questo trattava i dipendenti come esseri umani e non come numeri: voleva che le donne conciliassero la vita lavorativa con quella privata».


La sua infanzia.
«Giocavo con mio cugino e spesso facevamo a botte: ero un maschiaccio con la passione per le bambole. All’epoca c’era la Susanna: la pettinavo e la vestivo. È stato un apprendistato: oggi nel backstage se vedo delle ragazze che vestono le modelle in un modo che non mi piace dico: si vede che non avete vestito le Barbie».


Il rapporto con suo padre.
«Forte e tenero. A Natale ricordo la carta dei regali di Mastro Geppetto, un negozio di Milano che oggi non c’è più. Un volersi bene senza fronzoli: quando mi sono laureata non c’era nessuno della mia famiglia. Però papà mi osservava: sapeva che avevo qualche talento».


Il più evidente?
«Il disegno. A 4 anni la maestra mi diede i pennarelli e dipinsi una vendemmia. Alle amiche disegnavo le “bamboline”. Qualche anno dopo vinsi un premio dell’Antoniano per il miglior tema sulla mamma».


L’educazione in famiglia.
«Alle 20 dovevamo sederci a tavola.La puntualità mi è rimasta: sono organizzata e curo da sola la mia agenda».


Non ha una assistente?
«Mi appendono al muro dei memo che non guardo. Le cose importanti me le ricordo: odio perdere tempo, faccio poche riunioni. Tanto decido io».


Ascolta i collaboratori?
«Ovviamente sì, ma mi faccio dire le cose prima. Non sono un despota, succede che cambi anche le mie idee».


In cosa è «capitana»?
«Nel dare l’esempio. Abbiamo 830 dipendenti: il mio scopo è creare ricchezza e non mettere a rischio i posti di lavoro. Alle donne riconosciamo l’allattamento e l’asilo fino ai 20 mesi di vita del bambino. Abbiamo una mensa con 4 primi e 4 secondi e un menu wellness, oltre a una sala medica e la biblioteca. Siamo attenti al capitale umano: le persone devono lavorare felici e in tranquillità».


Un’intuizione vincente?
«Il rivolgersi anche alla clientela più giovane: Kate Middleton indossa i nostri tailleur e ha anche acquistato una marinière per la maratona di Londra».


Dalle «sciure» taglie forti alle donne più fotografate del mondo.
«Siamo inclusivi di natura, abbiamo da sempre le taglie fino alla 48. Non abbiamo mai fatto discriminazioni».


Non si è mai sposata.
«Il “per sempre” mi fa paura. Da piccola sognavo che sposavo un uomo bruttissimo. Andavo dalla mia bambinaia e chiedevo: “Bruna, sono in tempo?”»


Il rapporto con suo figlio.
«Ottimo: è coscienzioso e ha passione. Io sono istintiva, lui è “spaccapelo”».


I suoi compagni sono entrati in competizione?
«Purtroppo sì. Quando litighi ti senti rispondere:”Non sono il tuo dipendente”. E allora rispondo: “i dipendenti li tratto meglio” ».


Cosa deve avere un uomo per piacerle?
«Essere simpatico e un grande lavoratore. Chi lavora molto non pensa alle stupidaggini, tipo alle lampade solari o ai ritocchini».


È difficile farle un regalo?
«No. Tutti pensano di dovermi stupire invece detesto chi vuole “sbombardare”».


Esagerare?
«Esattamente. Una volta a cena un tipo mi chiese: “Ma dimmi della grand-maman...” Gli risposi: “Anche nonna puoi dire...”»


Ha mai offerto la cena?
«Sì e non mi è piaciuto. Il maschio deve fare il maschio».


È mondana?
«Di sera se mi accorgo che non ho impegni mi frego le mani».


Ha mai pensato di rallentare con il lavoro?
«Il mio modello era la Regina Elisabetta. Non mollo».