il Fatto Quotidiano, 10 maggio 2023
La fine del Duce
Sul Fatto del 4 maggio lo storico Gianni Oliva ci offre una interessante versione, la trentaduesima per sua stessa ammissione, sulla fine di Benito Mussolini a Dongo. L’articolo è centrato soprattutto sui regolamenti di conti dei partigiani fra chi doveva assumersi la responsabilità della fucilazione del Duce e di Claretta Petacci e su chi si sarebbe appropriato dell’oro, molto presunto, che la carovana dei fascisti in fuga si sarebbe portato dietro (il cosiddetto “oro di Dongo”). Miserie.
A questa ricostruzione vorrei aggiungere l’autentico protagonista della cattura di Mussolini e dei gerarchi al suo seguito, vale a dire il conte Pier Luigi Bellini delle Stelle, in arte “Pedro”. Nella ricostruzione si attribuisce a “Bill”, Urbano Lazzaro, il ruolo di vicecommissario politico del piccolo gruppo di partigiani, sette in tutto, che catturarono Mussolini e gli altri. Il comandante di quel piccolo gruppo era “Pedro” e fu lui che prese la decisione, audacissima, di fermare la colonna di trecento tedeschi, comandati da Fritz Birzer, che erano in ritirata, una ritirata ordinata come furono sempre quelle dei tedeschi durante gli ultimi sgoccioli della Seconda guerra mondiale e quindi armati di tutto punto.
A questa colonna si erano aggregati Mussolini e gli altri gerarchi. Bill ebbe il compito di perlustrare l’autoblindo su cui si era nascosto il Duce mascherato da soldato tedesco. Bill individuò un uomo che di tedesco non aveva nulla. Insospettito si avvicinò. In un estremo tentativo di coprire il Duce i soldati che gli erano attorno dissero: “Camerata ubriaco”, ma quando sollevò l’elmetto del “camerata ubriaco” Bill che era di origine contadine esclamò: “Madonna, el crapùn!”. Bill portò all’accampamento di Pedro Mussolini e gli altri gerarchi catturati che, insieme a Claretta Petacci, seguivano su una seconda macchina. Pedro trattò Mussolini e gli altri gerarchi catturati con la pietas che sempre si deve, o si dovrebbe, ai vinti. Da Milano arrivò un gruppo di partigiani che su ordine del CLN avevano l’ordine di fucilare Mussolini e gli altri.
La sera prima, alla notizia della cattura di Mussolini, si era tenuta una riunione del comando CLN milanese a cui parteciparono fra gli altri Italo Pietra, futuro direttore del Giorno, e Paolo Murialdi, che ho conosciuto bene perché da vecchio abitava nel mio stesso condominio. Nessuno, mi raccontò Murialdi, voleva prendersi la responsabilità di un’azione che somigliava più a quella del boia che a un atto glorioso. Fu scelto quindi l’ultimo fico del bigonzo, il ragionier Walter Audisio, in arte “colonnello Valerio”.
Quando gli uomini di Valerio arrivarono sul posto ci fu un momento di sconcerto. In un primo tempo i partigiani di Pedro e Bill li presero per fascisti, perché non si erano mai visti partigiani con divise nuove di zecca, cioè gente che la montagna non l’aveva mai praticata. Valerio presentò le credenziali del CLN e si fece dare da Pedro i nomi dei gerarchi catturati, quelli colpevoli e quelli meno colpevoli. Audisio mise una crocetta sulle persone che intendeva fucilare. Quando arrivò alla Petacci, mise la crocetta. “Ma come, vuoi fucilare anche la donna?”, obiettò Pedro. “Sì”. “Allora io ritiro i miei uomini dalla piazza perché con questa faccenda non voglio avere nulla a che fare”.
Il resto lo raccontò lo stesso Audisio in tre articoli sull’Unità. Articoli indecenti perché Audisio si soffermava sadicamente sulle mutandine della Petacci che cercava frettolosamente di rivestirsi. “Tira via” (l’Unità, resasi conto dell’indecenza, non ripubblicò mai quegli articoli).
Pedro l’ho conosciuto molto bene perché era amico di mio padre Benso Fini (l’unica introduzione della sua vita l’ha fatta al libro Dongo: la fine di Mussolini in cui molti anni dopo i fatti, nel 1962, Pedro e Bill scrissero sulla loro vita da partigiani). In seguito ebbi con lui una frequentazione e fu molte volte ospite a casa mia insieme alla moglie, sorella del compositore Luciano Berio. Non amava farsi bello, riluttava a parlare dei suoi trascorsi partigiani, bisognava strapparglieli con le tenaglie.
Pier Luigi Bellini delle Stelle fu anche, come rappresentante dei pubblicisti, membro dell’Associazione Lombarda dei giornalisti alla fine degli anni Settanta, quando in quella Associazione dominavano i giornalisti comunisti del Corriere della Sera, i Fiengo e i Pantucci, e sembrava che la Resistenza l’avessero fatta loro. Una volta mi spazientì e dissi: “Voi fate i fenomeni dell’antifascismo, ma qui c’è una persona che la Resistenza l’ha fatto per davvero” indicando Pier Luigi Bellini delle Stelle, che si schermì.
Pedro non strumentalizzò mai la sua partecipazione alla guerra partigiana: ingegnere, fece un’onesta carriera all’Eni; il ragionier Audisio morì parlamentare della Repubblica fra le file del Pci.
Ebbene, se devo riferirmi alla lotta partigiana, io penso a quella di Pedro, non a quella di Valerio.