Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  maggio 10 Mercoledì calendario

Greenpeace e 12 cittadini fanno causa all’Eni per l’erosione costiera

“Tra un decennio avrò trent’anni”, dice Rachele, “e il clima, qui in Piemonte dove vivo, sarà cambiato. La crisi climatica sarà gravissima. Ecco perché ho deciso di partecipare a questa azione legale in qualità di parte lesa. Non ritengo giusto che il principale fornitore di energia italiano, di cui lo Stato è il maggiore azionista, possa continuare anno dopo anno un programma di investimenti che va contro gli obiettivi fissati dall’ultimo rapporto dell’Ipcc, massima autorità scientifica globale in fatto di cambiamenti climatici”. Rachele è una dei dodici cittadini italiani che hanno deciso di intentare una causa civile a Eni, insieme alle organizzazioni Recommon e Greenpeace Italia. Chiamati in causa anche il ministero dell’Economia e la Cassa depositi e prestiti, i due azionisti pubblici determinanti di Eni. Vengono chiesti i danni già provocati dalla compagnia petrolifera e quelli futuri, a causa dei cambiamenti innescati dalle scelte (“consapevoli”) di Eni. L’erosione costiera dovuta all’innalzamento del livello del mare, la siccità, la fusione dei ghiacciai: Eni si presenta come compagnia “verde”, impegnata nella transizione ecologica; ma resta una azienda fossile che non s’impegna affinché la riduzione delle emissioni derivanti dalle sue attività sia di almeno il 45% entro il 2030, rispetto ai livelli del 2020, come indicato dalla comunità scientifica internazionale per mantenere l’aumento medio della temperatura globale entro 1,5 gradi centigradi, secondo l’Accordo di Parigi sul clima.
L’attuale strategia di decarbonizzazione di Eni, secondo Greenpeace e Recommon, viola palesemente gli impegni presi in sede internazionale dal governo italiano e dalla stessa società. Le due ong ritengono inoltre inaccettabile che, a fronte di extra-profitti record realizzati nel 2022, Eni continui a investire nell’espansione del suo business fossile, a danno del clima e delle comunità locali che in tutto il mondo subiscono gli impatti del riscaldamento globale. La conferma di Claudio Descalzi al vertice della società da parte del ministero dell’Economia, avallata dall’intero governo, rende quest’ultimo complice di scelte che aggravano la crisi climatica. Con questa azione legale (#LaGiustaCausa) arriva anche in Italia la “climate litigation”, cioè le azioni civili di contenzioso climatico il cui numero complessivo, a livello globale, è più che raddoppiato dal 2015 a oggi, arrivando a oltre 2mila cause.