La Stampa, 10 maggio 2023
Un minore su sette in povertà
In Italia circa un minorenne su sette vive in povertà assoluta e per uno su 3 resta alto il rischio di povertà ed esclusione sociale. Il rischio è più alto per le bambine/i e adolescenti che appartengono a famiglie numerose o con un solo genitore presente. O con un background migratorio. Ciò li/le espone anche a situazioni di forte disagio abitativo (sovraffollamento) e a malattie tipiche, nei paesi sviluppati, della povertà, quali l’obesità. Questa, infatti, come documentano le ricerche dell’Istituto superiore della sanità, è fortemente correlata alle condizioni socio-economiche della famiglia e al, basso, livello di istruzione dei genitori, e, a livello geografico, la sua incidenza si sovrappone a quella della povertà. Per altro, anche i tassi di mortalità infantile sono fortemente dispendenti dalla condizione socio-economica della madre e dalla collocazione territoriale. Un bambino che nasce nel Mezzogiorno ha ancora oggi il 50% in più di morire nel primo anno di vita rispetto ad un bambino che nasce nel Centro-Nord. Il rischio è ancora più alto se i genitori sono stranieri.
La povertà economica spesso si accompagna a difficoltà a sviluppare pienamente le proprie capacità, per mancanza di risorse, non solo monetarie, adeguate. Ne sono un indicatore i tassi di abbandono scolastico e le percentuali di coloro, che pur non abbandonando precocemente la scuola, non raggiungono comunque le competenze cognitive e relazionali proprie della loro età. Come è noto, i tassi di abbandono scolastico in Italia sono tra i più alti dell’UE, in particolare nelle regioni del Sud del paese dove il tasso di abbandono nel 2020 ha superato il 16,3%. È alto anche tra adolescenti Rom, Sinti e Camminanti, e tra studentesse e studenti con background migratorio. Tra coloro che completano la scuola secondaria, il mancato raggiungimento delle competenze attese è ben al di sopra della media UE, in particolare al livello secondario superiore: il 44% e il 51% di studentesse e studenti non sono in grado di completare esercizi base di italiano e matematica rispettivamente.
Accanto e spesso insieme alla povertà, altre situazioni espongono al rischio di esclusione. Oltre ai minorenni sinti e rom e a quelli con background migratorio, cui ho già accennato, vi sono i minorenni con una disabilità fisica o mentale per i quali la carenza di servizi dedicati economicamente accessibili può produrre fenomeni di esclusione e impedimento allo sviluppo delle capacità, oltre che di lesione alla dignità personale. Solo la metà circa delle persone minorenni che ne avrebbero necessità ha, ad esempio, accesso ai servizi di salute mentale (per problemi di depressione, disturbi alimentari, ansia). I minorenni con disabilità sperimentano spesso anche barriere di accesso ai servizi che, come la scuola, dovrebbero essere universali. Ad esempio, nonostante l’Italia sia stato uno dei primi Paesi ad aprire la scuola pubblica alla frequenza delle bambine/i adolescenti con qualche tipo di disabilità, l’accesso all’istruzione per studentesse e studenti con disabilità fisica continua ad inferiore a quello dei loro coetanei a causa sia di barriere fisiche all’accesso, indisponibilità di accompagnamento per il trasporto e di sostegno durante la frequenza, sia della mancanza di adeguate infrastrutture fisiche e digitali che consentano un apprendimento e partecipazione efficaci. Quanto alle studentesse e studenti con disabilità e disturbi evolutivi specifici (tra cui i disturbi specifici di apprendimento, o DSA) l’accesso all’istruzione è inferiore a quello dei loro coetanei e a quanto sarebbe giusto e necessario a causa della mancanza di personale, non solo in termini numerici, ma con preparazione adeguata.
A fronte di questa situazione a dir poco drammatica in cui si trova una parte significativa della generazione più giovane va segnalato che, nonostante il forte miglioramento dovuto all’introduzione dell’Assegno Unico universale, la spesa per l’infanzia e l’adolescenza in Italia è inferiore alla media europea. Inoltre riguarda prevalentemente erogazioni monetarie, mentre l’investimenti in servizi è solo il 26% del totale, collocando l’Italia terzultima in Europa dopo Grecia e Irlanda. Esistono anche forti differenze territoriali nella disponibilità e qualità dei servizi, che spesso si sovrappone, invece che compensarle, a quelle nell’incidenza del disagio tra i minorenni.
La Garanzia infanzia, co-finanziata dall’Unione Europea, dovrebbe fornire un forte impulso, e strumenti adeguati, per migliorare la situazione di bambine/i e adolescenti, con particolare riguardo a quelli in condizione di disagio. È perciò incomprensibile e inaccettabile lo stallo in cui la sua attuazione si trova da mesi. Tanto più da parte di un governo che ha fatto del sostegno alla natalità uno dei propri obiettivi-bandiera. I bambini non vanno solo fatti nascere, vanno accolti e sostenuti, insieme alle loro famiglie, nella loro crescita e sviluppo, a prescindere dalle loro origini di nascita, caratteristiche personali, collocazione territoriale.