il Fatto Quotidiano, 9 maggio 2023
Medioevo segreto: è “Femina”
L’arazzo di Bayeux (XI secolo) è una striscia di 68 metri di lino su cui la conquista vichinga dell’Inghilterra è ricamata con dovizia di dettagli. Tra madri profughe di guerra, stalloni superdotati e la cometa di Halley, foriera di presagi funesti per re Aroldo… Una sorta di fumetto sulle vicende culminate nella battaglia di Hastings, la cui vittoria da parte dei normanni porterà Guillaume le Conquérant, in altre parole un vichingo “francesizzato”, sul trono inglese. Tessuto da anonime mani femminili ora diventate polvere, l’arazzo è sopravvissuto ai tumulti della storia. Durante la Rivoluzione ha rischiato di essere usato come copertura di un carro merci militare.
Osservandolo a mille anni di distanza possiamo ricavarne anche un ritratto del mondo medievale dal punto di vista del genere: “È innegabile che l’arazzo di Bayeux sia molto maschilista. Accanto a 623 uomini, 201 dei quali muniti di armi, che includono asce, spade, alabarde, mazze, archi e frecce, ci sono trentasette navi, trentacinque cani da caccia e centonovanta cavalli… Ben ottantotto di questi cavalli sono raffigurati con grossi peni”, scrive Janina Ramirez, storica dell’arte e docente a Oxford, in Femina. Storia del Medioevo attraverso le donne che sono state cancellate (Il Saggiatore). “Ci sono anche quattro uomini con una vistosa erezione… Il membro più grosso appartiene allo splendido stallone che Guglielmo riceve alla vigilia della battaglia”. Non sapremo mai i nomi delle ricamatrici.
Il concetto di autore inizierà ad affermarsi nelle arti figurative solo nel Rinascimento, ma per le donne non sarà mai semplice passare alla storia. Non solo perché hanno vissuto all’ombra degli uomini, ma anche perché la storia è stata scritta in epoche non meno maschiliste del Medioevo. Lo scopo di Femina, saggio che trae il titolo dalla dicitura che indicava le opere scritte dalle donne nei cataloghi di libri medievali, è rileggere quel periodo alla ricerca di un’impronta femminile sottovalutata o cancellata.
La tecnologia viene in aiuto. I reperti ritrovati in una tomba sull’isola di Björkö, nel lago di Mälaren, in Svezia, hanno portato a stabilire che fosse la sepoltura di un guerriero, inumato con armi e cavalli. Recenti esami genetici portano a concludere che appartengano a una donna. Qualcosa del genere è successo con lo scheletro di un pescatore del Mesolitico, sempre in Svezia. La Svezia è la terra della rilettura femminista o almeno femminile della storia? Tornando alla guerriera: nella società vichinga, ancora in parte pagana, il martello di Thor si alternava al crocifisso e le donne ricoprivano ruoli marziali, non solo perché gli uomini erano spesso lontani da casa per navigare e saccheggiare. Con la conversione e l’integrazione nell’Europa cristiana, il retaggio delle guerriere si perde nella dimensione monacale. L’autrice sorvola su questo passaggio, anche perché si propone di svelare un Medioevo meno misogino del previsto. A tal scopo racconta con ammirazione la figura di Ildegarda von Bingen, non certo un personaggio negletto come le monache dell’arazzo.
La santa viene paragonata a Leonardo per il talento poliedrico, ma Leonardo, però, osserva Ramirez esagerando un po’, era noto per non concludere quello che iniziava. A parte una forzatura come questa, o una svista come attribuire ai vichinghi scambi con Mosca quando la capitale russa non esisteva ancora, la rilettura storica in chiave di genere riserva interessanti sorprese. Ildegarda fornisce consigli medici per abortire facendo un bagno in acqua di fiume intrisa di tanaceto e descrive l’orgasmo femminile: “Il piacere della donna è simile al sole, che teneramente, lievemente e costantemente pervade del suo calore la terra, affinché dia frutto…”. Oltre che mistica e compositrice, si è dedicata alla medicina finendo per essere considerata tra i padri anzi le madri di questa scienza in Germania.
Meno nota ma non meno affascinante, Jadwiga era un sovrano a tutti gli effetti, non una regina consorte. Sua l’iniziativa di fondare a Cracovia uno dei primi atenei d’Europa. La morte, avvenuta nel 1399, poco prima dell’inaugurazione, farà sì che il nome e il merito finiscano in capo al consorte Jagiełło, analfabeta da lei convertito al cristianesimo. Se l’uomo, granduca di Lituania, avesse guardato a Est invece che a Occidente per cercare moglie e alleanze, la Polonia avrebbe avuto una storia diversa, e forse anche l’Europa. Per questo i polacchi hanno sempre guardato a Jadwiga come a una figura fondamentale dell’epos nazionale e due pittori, Matejko e Gerson, hanno studiato il cranio della sovrana per farne un ritratto romantico, raffigurandola appena arrivata a Cracovia, mentre impugna un’ascia per sfuggire alla custodia e incontrare il suo primo pretendente, abbandonato per piegarsi agli interessi diplomatici familiari. Sarà Wojtyla, nonostante queste esuberanze e il sospetto di bigamia, a beatificarla dopo secoli di tentativi infruttuosi da parte della chiesa polacca.