La Stampa, 9 maggio 2023
Omicidio Moro, Le verità nascoste dalle Br
I brigatisti ci hanno raccontato per 45 anni il falso. La loro versione non regge alla rilettura delle testimonianze e alle prove scientifiche. Il memoriale di Valerio Morucci insomma è quantomeno incompleto, ma a quella sua "verità" si sono appoggiati tutti gli altri a cominciare dal capo Mario Moretti. Sono almeno tre i passaggi eclatanti su cui sappiamo solo di non sapere: la dinamica dell’eccidio di via Fani, la fuga dei brigatisti con Moro prigioniero, e infine l’esecuzione dello statista.
«Dopo quarant’anni non si conosce ancora l’identità di tutti coloro che hanno sparato in via Fani», è l’amara conclusione del giudice Guido Salvini, che ha operato come consulente della Commissione Moro II nella legislatura 2013-18 e poi nella sottocommissione dedicata al caso Moro dell’Antimafia nella legislatura 2018-22, presieduta da Stefania Ascari, M5S.
Il lavoro di Salvini è alla base di una Relazione approvata dal Parlamento, ma ignorata. A leggerla c’è da fare un salto sulla sedia. Di certo non hanno sparato soltanto i quattro avieri di cui è pacifica la presenza. I brigatisti, per dire, hanno affibbiato a Franco Bonisoli quasi tutto il lavoro sporco nell’eccidio, ma è evidente che i conti non tornano. Nella versione "ufficiale", Bonisoli, ultimo degli avieri partendo dall’incrocio tra via Fani e via Stresa, e collocato come gli altri sul lato sinistro, avrebbe impugnato un mitra FNA 43 di provenienza della Seconda guerra mondiale e con questo avrebbe iniziato a sparare. Il mitra si sarebbe comunque inceppato quasi subito e Bonisoli avrebbe dovuto ricorrere alla pistola, una Beretta, sparando altri colpi. A lui solo sarebbero riferibili i 49 colpi repertati nella parte alta di via Fani, più 4 colpi sparati con la Beretta. In tutto ben 53 colpi, più della metà di quelli accertati complessivamente in via Fani.
Un mitra sicuramente sparò più di tutti, ma non era quello di Bonisoli. Sul lato destro di via Fani c’era infatti un soggetto sconosciuto, a "copertura" dei quattro in divisa da avieri, e fu lui a freddare il brigadiere Francesco Zizzi con tre colpi alle spalle. Alcuni dei colpi dello stesso mitra - tracciati con metodo inattaccabile - hanno poi una traiettoria dal basso verso l’alto, più logica con la presenza di uno sparatore accucciato. Infine alcuni colpi di quel mitra hanno raggiunto la parte posteriore dell’Alfetta di scorta all’altezza del suo angolo posteriore destro e del bagagliaio con una traiettoria obliqua, a conferma che lo sparatore si trovava collocato a destra.
«Viene da chiedersi - ragiona il consulente - perché i due capi brigatisti "falsifichino", in sintonia tra loro, il comportamento di Bonisoli, e perché vogliano far credere che Bonisoli abbia ucciso Iozzino con la sua pistola calibro 7.65».
Per non dire dei due brigatisti sconosciuti a bordo della famosa moto Honda (anche se uno di essi potrebbe essere stato l’assassino di Zizzi). Sul mistero della moto Honda sono decenni che ci si accapiglia. Ci sono almeno cinque testimoni che hanno parlato della moto e di due persone a bordo. Uno di essi, Luca Moschini, era giovanissimo, passò per via Fani e si fermò alle strisce per far passare due brigatisti travestiti. L’hanno risentito di nuovo nel 2022 e ha precisato: «Dato che i primi due avieri (i due che attraversavano sulle strisce) stavano andando verso gli altri sul marciapiede, ho avuto come l’impressione di un gruppo che si stava riunendo, come se dovessero andare all’aeroporto o qualcosa di simile. Inoltre sempre mentre transitavo, ho notato nella parte davanti al bar Olivetti che dà su via Stresa una motocicletta ferma sul suo cavalletto con al posto di guida un altro giovane vestito da aviere come gli altri».
La testimone Eufemia Evadini raccontò subito che lei aveva visto sette o forse otto soggetti sparare sul lato sinistro. Antonio Buttazzo, un ex poliziotto della Squadra Mobile che passava di lì e si gettò coraggiosamente all’inseguimento dell’auto con Moro dentro, ha raccontato che lui vide salire sulla Fiat 132 quattro brigatisti con Moro al centro e li descrisse uno per uno. I brigatisti dicono invece di essere stati in tre in quell’auto.
I brigatisti, insomma, hanno cercato di nascondere la verità. Si prenda Lauro Azzolini, il milanese. Di lui si è parlato recentemente perché la procura di Torino lo ha appena indagato per l’uccisione dell’appuntato dei carabinieri Giovanni D’Alfonso, alla cascina Spiotta, durante la liberazione dell’imprenditore Vittorio Vallarino Gancia. Ebbene, tutti ne negavano la presenza a via Fani finché arrivò il pentito Patrizio Peci. Un altro pentito, Alfredo Bonavita, raccontò che Azzolini, prima dell’azione era così agitato che si fermò «a bere un cognacchino». E Mario Moretti nel suo libro-intervista lo elencò tra gli "avieri".
Guardacaso, un brigatista somigliante ad Azzolini viene visto a eccidio consumato da una altra testimone, Elsa Maria Stocco, in una strada poco distante, fermo alla guida di un furgone. Un tale vestito da steward lo affiancò in fretta, scese dalla sua macchina, gettò nel furgone un borsone, e i due partirono per direzioni opposte. Probabilmente nel borsone c’erano le armi lunghe usate per la strage.
Ce n’è abbastanza per rendersi conto che la verità ancora latita. Non torna nemmeno l’epilogo di questa tragedia. I brigatisti sostengono di avere assassinato Aldo Moro nel garage di via Montalcini, dopo averlo fatto entrare nel portabagagli della R4 rossa. Le ultime relazioni, quella balistica e quella medico-legale, basate sull’esame dei reperti dei colpi che hanno raggiunto Moro, sull’esame autoptico e dei vestiti e sulle tracce che provengono dalla Renault, conducono a risultati diversi e agghiaccianti: l’onorevole sarebbe stato colpito prima da un maggior numero di colpi, mentre si trovava in piedi o a cavalcioni del pianale posteriore della vettura e soltanto in seguito da altri colpi, quand’era nel bagagliaio, in tempi e forse in luoghi diversi. E non in quel garage così angusto. Probabilmente accadde in un locale nel centro storico da dove poi i brigatisti raggiunsero facilmente via Caetani per far ritrovare il corpo del prigioniero.