Corriere della Sera, 9 maggio 2023
Al Maxxi una mostra su Enzo Cucchi
«No, questa non sarà una mostra… In giro ci sono molti bottegai, molti vetrinisti che producono opere e allestiscono mostre. Lo dico con molto rispetto per il loro lavoro. Ma io non sono un tipo che realizza un quadro, lo dico per farmi capire, alla Morandi da appendere alla parete. Io ho questo vizio assurdo di venire ogni giorno nel mio studio inseguendo un’emozione per cercare di stupire, di meravigliare me stesso. Non vuol dire che poi sia capace di farlo, sia ben chiaro… Io un poeta? Magari lo fossi». Una breve pausa, poi una frase rapidissima. «Però i critici americani hanno detto di me che sono il più grande artista del Novecento. Lo hanno detto e scritto loro. Non io». Un breve sorriso ironico sdrammatizza il tutto.
Enzo Cucchi indossa uno dei suoi completi grigio ferro a tre bottoni, di taglio impeccabile, da tempo inscindibili dalla sua immagine identitaria come il maglione scuro. Sta ultimando i dettagli per Enzo Cucchi/ Il poeta e il mago, un suo ritratto (ovviamente la parola «mostra» non appare nei materiali di presentazione) che il Maxxi- Museo nazionale delle arti del XXI secolo di Roma proporrà nella sua Galleria 4 dal 17 maggio e fino al 24 settembre, curato da Bartolomeo Pietromarchi, direttore di Maxxi Arte, e da Luigia Leonardelli in collaborazione con l’Archivio Enzo Cucchi curato da suo figlio Alessandro. Il viaggio nella sua opera contiene tracce delle radici marchigiane (le stesse di Scipione, di Osvaldo Licini, di Gino De Dominicis), poi del suo fortunatissimo approdo negli Stati Uniti nel 1980 salutato con entusiasmo dalla critica, del suo rientro a Roma. Una antologia di creatività espressa con più mezzi, come ha scritto lo stesso Cucchi: «La poesia e la pittura sono identiche. Il problema è stranamente lo stesso: è una questione di iconografia, di immagine del mondo. Si tratta di fermare l’immagine e di farne istantaneamente la sintesi, in qualunque maniera».
Il racconto del Maxxi ospiterà un «tutto Cucchi» multi-disciplinare e multi-materico. Solo qualche rapida suggestione tra opere sospese dal soffitto, o che si proiettano all’esterno, o collocate a mezz’aria: sculture piccole e grandi (l’ingresso con piccoli putti in marmi policromi che trasformano volti in teschi), i bronzi (Religione del 2013), dipinti di grande formato del Cucchi narratore di miti e di Roma (Miracolo della neve, 1986), poi la carta: libri d’artista, cataloghi, incisioni, esperimenti tipografici. Le scenografie teatrali. L’ampio carro de La biga di Giotto del 1990. Infine una Cattedrale fatta di fogli e l’addio in versi dell’artista a parete sulla grande vetrata che chiude la Galleria 4: «La pittura raduna il peso delle cose/ Una pittura è una cosa calda/ Si vede da lontano che odi la pittura/ Mostra e muori».
Un itinerario pensato come se fosse lo studio di lavoro o lo stesso spazio mentale di Cucchi. Dice Alessandro Giuli, presidente del Maxxi: «Enzo Cucchi è una figura poliedrica, libera da ogni stile, che ha saputo fare dell’attitudine alla libertà espressiva la sua cifra esclusiva. I suoi lavori ci accompagnano in un viaggio fra miti fondativi, richiami alla tradizione dei miracoli, riferimenti a tecniche antiche, testimonianza del suo continuo plasmare la materia come un alchimista». Racconta infatti Giuli: «Per il Maxxi ha concepito un progetto di allestimento coinvolgente e poetico che ridisegna completamente gli spazi espositivi offrendo nuove prospettive, non solo sulla sua opera, ma anche sullo spazio che la ospita, creando una relazione continua tra i lavori esposti e lo spettatore». Lavorare con l’artista, conclude Giuli, non è semplice ma è un’avventura gratificante: «Di lui mi piace il carattere unico, al di là del bene e del male. Cucchi stesso è al di là del bene e del male. È un provocatore, umbratile ed eccelso, e ha assolutamente ragione quando sostiene che il talento è amorale».
A proposito di pittura Cucchi svela, raccontando l’appuntamento al Maxxi: «Non tocco un pennello da un anno ma ogni giorno vengo nel mio studio e ho prima di tutto bisogno di pulirmi la testa dai fantasmi che la attraversano». Una scatola-contenitore aperta, nel vasto ambiente in cui lavora dietro piazza Navona (rigorosamente solo di pomeriggio dopo pranzo) ospita piccoli assemblaggi, frammenti di idee, spunti per future opere, una sorta di appunti diventati oggetti. Sa di essere amato da molti giovani artisti: «Sì, lo so, me ne rendo conto, c’è un rapporto di fiducia. Forse è l’incontro di tante piccole solitudini, o per la malinconia comune, o per mille altre cose, chissà». Per chi ha seguito le vicende dell’arte contemporanea in Italia alla fine del secolo scorso è inevitabile interrogarlo sulla Transavanguardia, movimento teorizzato da Achille Bonito Oliva che inserì Cucchi nel 1979 in un elenco di sette artisti che fece la fortuna mediatica del gruppo. Sorride ancora: «Davvero non so dire, chiedete ad Achille, lui sa cosa sia la Transavanguardia. È una definizione di un momento storico: prima ce ne sono state altre e dopo ne sono seguite altre ancora...».
In quanto al Novecento, Cucchi ha le sue predilezioni: «Secondo me Pier Paolo Pasolini e Paolo VI sono stati due giganti, due grandi protagonisti. Il Papa del discorso agli uomini delle Brigate Rosse è un intellettuale coraggioso e di eccelso livello. Usa la parola “uomini”… un passaggio splendido». E poi il pensiero corre a Giovanni Pozzi, altro uomo di fede, padre cappuccino e studioso d’arte, autore del celebre saggio Adelphi La parola dipinta che per Cucchi fu la bussola per esprimersi a Santa Maria degli Angeli sul Monte Tamaro in Svizzera, progettata da Mario Botta, in particolare per le ventidue formelle con le metafore attribuite alla Madonna nella cultura popolare e le litanie di Pozzi.
Un appuntamento diverso dalle solite mostre, anche per il Maxxi. Ammette Cucchi: «C’è voluta la fiducia e il bel coraggio di Bartolomeo Pietromarchi, per tutto questo, non è semplice lavorare in un certo modo. Il mio, diciamo». Spiega proprio Pietromarchi: «C’è una sensibilità comune verso alcuni valori, in particolare verso quello della libertà. Cucchi è l’espressione incarnata, umana della libertà di espressione: per questo è così amato dai giovani artisti. Rompe costantemente gli schemi e le certezze acquisite: è uno stimolo enorme lavorare con lui. Il Maxxi è una istituzione e come tutte le istituzioni ha le sue regole: stavolta il Maxxi segue altre regole, abbiamo fortemente voluto costruire questo appuntamento insieme a Enzo Cucchi seguendone lo spirito. Sono sicuro che stupirà molti perché sarà un modo diverso, tutto nuovo, di “vedere” il Maxxi».