Corriere della Sera, 9 maggio 2023
Francesco Facchinetti si racconta
A un concerto dei Pooh di colpo mancò la corrente.
«Dietro il palco c’era questa leva gigante del generatore, con la scritta Off. “Vediamo che succede se la tiriamo giù”, ci siamo detti io e Daniele Battaglia, bambini, afferrandola a quattro mani. Pof. Buio. Silenzio. Abbiamo confessato il misfatto solo dieci anni dopo», si ri-autodenuncia Francesco Facchinetti, 43 anni, conduttore radio e tv, dj, doppiatore (se serve pure attore), imprenditore, cacciatore di talenti e a breve, per non farsi mancare niente, agente di calciatori. Oltre che, orgogliosamente e per sempre «figlio di Roby», lo stesso che al momento lo sta martellando di telefonate sul cellulare. «Più gli sbatto giù e più richiama a manetta. Come tutti gli artisti è convinto che il mondo gli giri intorno, non molla eh». Del resto il dna da Duracell è quello e non mente.
Mi sa che fate sempre così, voi due.
«Siamo teste dure, ci scontriamo spesso, discutiamo ogni santo giorno, su qualunque cosa. E da buoni bergamaschi ci diciamo tutto in faccia. Poi però ci passa e finisce lì».
Anni fa siete partiti per la Lapponia.
«Papà si avvicinò a una renna per accarezzarla e quella gli mollò un calcio in faccia che per poco non perde un occhio. Poi gli organizzai un volo sul girocottero, quella specie di elicotterino che ti costruisci da solo. Funziona. A 300 metri da terra il pilota ha spento il motore lasciandosi precipitare per qualche istante, prima di riaccenderlo. Quel matto di papà si è divertito».
Pure lei ogni giorno se ne inventa una.
«Sono un climber, scalo montagne. E al diavolo se è difficile».
Del resto se da piccolo ti chiamano Attila...
«Parevo un vichingo, occhi azzurri, capelli quasi bianchi. Un casinista nato. Mi sono fatto cacciare dalla Montessori, unico al mondo. Ero scappato dall’asilo per farmi un giro».
La sua migliore scorreria da baby Unno.
«Dodi aveva una bellissima Golf cabrio parcheggiata in giardino. Spalancai lo sportello, tolsi il freno a mano e restai a guardare l’auto correre e schiantarsi nel bosco. Ringrazio il cielo che nessuno dei miei figli ha ripreso da me».
A 14 anni era un improbabile catechista.
«Frequentavo il liceo classico di Comunione e Liberazione vestito da punk con la cresta multicolore. Ai bambini insegnavo religione e le mosse di wrestling. Nella mia testa ero convinto di essere un genio e di poter andare avanti senza aprire un libro. Ho recuperato dopo, studiare mi ha aiutato a non sentirmi a disagio».
Nascere figlio dei Pooh è stato un marchio?
«Una figata, dai. Però non ho mai osato paragonarmi a papà, lui è una rockstar, un genio della madonna. Lo apprezzavo persino nella fase da punkabbestia, quando ascoltavo i Sex Pistols e frequentavo il laboratorio anarchico. Nessuno lo sapeva, capirai, i Pooh, il simbolo borghese. Quando lo scoprirono fui cacciato».
La cosa più insensata che ha fatto?
«A 18 anni sono partito per Cuba, solo e senza meta. “E ora che faccio?”. Impari ad affidarti alla Provvidenza. E scopri che la vita è piena di sorprese. A Los Angeles, mi sono ritrovato alla festa di compleanno di Quincy Jones che mi suonò al piano Man in the Mirror di Michael Jackson».
Gli anni da pr all’Hollywood.
«Mi affidavano Leo DiCaprio, Britney Spears, George Clooney, Jim Carrey, ero una sorta di giullare che li portava a spasso in quel paese dei balocchi che era Milano, da mezzanotte alle sei del mattino, quando può accadere di tutto».
«Porta in alto la mano/Segui il tuo capitano/Muovi a tempo il bacino/Sono il capitano uncino», cantava nel 2003 il suo alias Dj Francesco. Ci è affezionato o ha rimosso?
«E perché dovrei? È stato un momento bellissimo della mia vita, ero un pischello mezzo svitato di Mariano Comense, mi sono ritrovato primo in classifica per venti settimane, la Canzone del Capitano la cantavano tutti».
Vanta persino un duetto con Pavarotti.
«Ero in macchina con Claudio Cecchetto. Mi chiede: “Che ti andrebbe di fare?”. “Scelsi la risposta più assurda: Un pezzo con Pavarotti”. Lui imperturbabile: “Va bene, chiamo Nicoletta”. Luciano si divertì un sacco a cantare con questo schizzato con metà testa rasata e metà no».
Naufragò all’Isola dei Famosi con Aida Yespica.
«Ho avuto relazioni con donne molto belle, Aida è una di queste. Mi sono ritrovato su un’isola deserta con lei, cosa potevo chiedere di più?»
Ha condotto quattro edizioni di X Factor. A 43 anni ha capito il suo qual è?
«Non sono un uomo di talento, sono portato a fare troppe cose insieme, però ho un pregio: sono un visionario, riesco ad immaginare prima quello che potrà accadere. Cecchetto l’aveva capito: “Diventerai come me”. Io invece sognavo di essere Jovanotti».
Sua moglie Wilma le è (letteralmente) caduta tra le braccia.
«Ci siamo conosciuti su una chat tra amici, si programmava una vacanza di gruppo a Marrakesh. Per un po’ è rimasto un rapporto epistolare e basta. Quando finalmente ci siamo incontrati, uscendo dalla porta finestra della cucina, Wilma è inciampata ed è caduta ai miei piedi. Da lì è cominciata. Due persone agli opposti, bianco e nero, che si attraggono con intensità».
Ha ammesso di essere un marito faticoso.
«La vita con me è complicata, piena di continui imprevisti. Ogni tanto ho bisogno di stare solo, perdermi nei pensieri, trovare stimoli».
Vive attaccato al cellulare, per questo siete finiti in terapia di coppia.
«Ho smesso di parlare al telefono tre anni fa, comunico solo per WhatsApp, dalle sei del mattino a mezzanotte, spaziando tra fusi orari diversi. Lei si inserisce in questo flusso lanciandomi dietro cose, verbali e no. E io le ricordo: guarda che se sto a casa tutto il giorno poi è peggio».
Il suo difettaccio.
«Che è anche il mio miglior pregio: sono testardo. Non ascolto consigli, voglio sbagliare perché l’ho deciso io».
Con la sua ex Alessia Marcuzzi avete allestito una gioiosa famiglia allargata.
«Io e Alessia siamo molto simili, abbiamo una grande considerazione di noi stessi, un forte amor proprio, che ci ha portato a realizzarci nella vita. Se decidi di fare un bambino con una persona, è chiaro che c’è amore, c’è passione, c’è tutto. E tra noi è stato così. Quando è finita, è rimasta una grande amicizia, l’affetto. Resto sempre legato alle persone con cui ho condiviso una parte di vita, ancor più se è la madre di mia figlia. E il nostro obbiettivo era ed è il bene di Mia. Creare una zona protetta ci è venuto naturale».
Sua sorella Alessandra ha raccontato di quando la cacciò di casa, esasperata.
«Mamma mi aveva già buttato fuori e lei mi accolse come un pulcino bagnato. Appena arrivato, lanciai la borsa e spalancai la porta. Prendendo in pieno uno specchio del Cinquecento grosso tre metri che si era comprata con i primi risparmi. Si ruppe in cinquantamila pezzi, lei si buttò in ginocchio a piangere. Facevo feste su feste, disastri continui, capirai, era una casa in centro a Milano e io avevo 19 anni. I vicini presentarono non so quanti esposti per schiamazzi, la donna delle pulizie fece la spia, svelandole che ci dormivamo in ventidue».
Sta sempre a dieta pollo, bresaola e riso?
«Ormai sono quasi vegano, mangio piante. Mi dedico al massimo a lavoro e famiglia perciò non posso stare male e questa è l’unica dieta che me lo permette. Non fumo e non bevo, nemmeno la birra, lo so, sono triste».
Con la sua Newco, oltre a seguire i Pooh, ha lanciato oltre 100 artisti – tra cui Frank Matano, Fedez, Mariasole Pollio, Elettra Lamborghini, Irama, Rocco Hunt e Mr Rain. Se n’è lasciato scappare qualcuno da sotto il naso?
«Come no. Blanco. Avevo intuito il potenziale ma non ho avuto tempo di seguirlo e dopo era tardi, porca vacca. E Ultimo. Mi piaceva molto, non ho intercettato il momento. Matteo Paolillo, prima che esplodesse in Mare fuori. Quelli che spaccano però prima o poi li ho visti tutti».
E adesso metterà in scuderia i calciatori.
«Un progetto che parte da lontano, con una nuova società, ci ho messo 5 anni. Intanto mi occupo già dei diritti di immagine di Sergej Milinkovic-Savic e Sandro Tonali. Poi passerò alla procura, ho un patentino inglese, spagnolo e quello Fifa, l’unico impossibile è quello italiano, bisogna passare un esame da avvocato. Il calciatore è un artista, un’icona, un supereroe».
Era stempiato, poi si è ripresentato con il ciuffo e lo ha raccontato ai quattro venti.
«Ho sempre avuto questo problema dei capelli che mi trapanava il cervello. Li perdevo e ho provato di tutto. Fialette, polverine colorate, un disastro, sporcavo il cuscino, imbarazzante. Poi ho trovato la soluzione con una patch cutanea e l’ho ammesso, pazienza se mi dicono che ho in testa un gatto morto, mi sento meglio».
Ha ancora la Rolls Royce?
«Più d’una, mi piace collezionare auto di lusso come le Rolls, in onore al mio idolo John Lennon che la sua la dipinse a fiori. Le ho avute nere, verdi, bianche, me le merito perché mi sono fatto un c..o quadrato. Ci giro, non le tengo in garage. Ma crescendo capisci il giusto peso da dare ai beni materiali, che non sono fondamentali».
Il suo stile nel vestire è piuttosto originale.
«Il mio scopo è stare comodo e perdere meno tempo possibile. Per cui: o tuta o pigiama, ai piedi ciabatte, sneakers o espadrillas. Wilma è disperata. Non metto jeans da dieci anni, non li sopporto, come fate? Tirano. Sfregano. Senza attrito sulle cosce mi sono ricresciuti i peli».
Insegnò a Berlusconi i segreti del web?
«Mi aveva scelto come punto di riferimento per la sua discesa in campo digitale e mi convocò ad Arcore. Gli dissi: “Presidente, lei è l’italiano più famoso al mondo, più di Leonardo da Vinci, ma ha meno follower della Boschi”. Si illuminò. Però ero un consulente costoso e alla fine non se ne fece niente».