la Repubblica, 8 maggio 2023
Cassese dice la sua sul presidenzialismo
Professor Sabino Cassese, lei è per il presidenzialismo o per il premierato?
«Guardiamo la sostanza delle cose: abbiamo avuto 68 governi in 75 anni e le coalizioni faticano a parlare con una voce sola. Al vertice del nostro esecutivo c’è quindi un problema di durata e di coesione».
Non è anche una questione di poteri?
«No, palazzo Chigi, non da ora, è diventato un centro enorme di poteri, tanto che il governo ha assunto ormai la funzione legislativa. Il punto è come assicurare più durata e più coesione».
Quale formula suggerisce?
«Basterebbe scrivere in Costituzione che il governo ha una durata, può essere sostituito solo con una sfiducia costruttiva, e pensare a un premier non come primus inter pares, ma in grado di dismettere i ministri».
E il presidente della Repubblica che fine farebbe?
«Manterrebbe un potere di orchestrazione».
Con meno poteri di adesso?
«Con gli stessi di adesso, nulla di più e nulla di meno. Un direttore di orchestra non suona, ma si assicura che gli orchestrali seguano lo spartito, in questo caso la Costituzione e le leggi della Repubblica».
Insomma, lei propone una terza via creativa?
«Il medico prima di darti la medicina ti fa la diagnosi. È quel che consiglio: di concentrarsi sui mali, i rimedi verranno di conseguenza».
Che nome dare a questa riforma?
«L’obiettivo primario della presidente del consiglio è rendere più stabile l’esecutivo, bisogna lavorare per questo: quanto alle formule, ce ne possiamo inventare di nuove. L’ha detto a dicembre l’attuale presidente del consiglio».
Insomma, no all’uomo della provvidenza eletto al Quirinale?
«Ma nessuno vuole più un Mussolini, o anche l’uomo solo al comando».
Ma il rischio di ritrovarsi con un Orbàn non è reale?
«Le democrazie sono organismi, non meccanismi. E quindi naturalmente servono dei bilanciamenti, delle autocorrezioni dell’organismo. Anche quello umano ha anticorpi. Bisognerà aumentare il tasso di policentrismo, pensare ad una maggiore pluralizzazione dei poteri, come bilanciamento, e ridare la funzione legislativa al Parlamento, assicurando più sollecite procedure di approvazione».
Come nel concreto?
«Vogliamo rafforzare le Regioni, i Comuni, per cominciare? Ce ne sono altri. Certo è che non possiamo impedire al governo digovernare».
Questa maggioranza è ampia, eppure va sotto com’è accaduto col Def.
«Questo apre un altro problema, la formazione delle classi dirigenti. Se lo poneva già Pietro Nenni nei suoi diari, ancor prima del craxismo: un tempo, scriveva, si arrivava al vertice dopo aver fatto la gavetta, gradino dopo gradino, oggi invece.
E poi, una volta, c’erano i partiti…».
Il problema sono le classi dirigenti?
«Abbiamo bisogno di strutture esecutive che funzionino meglio.
Abbiamo avuto più morti per Covid di Francia, Germania e Russia, e poco meno degli Stati Uniti. Li rapporti alla popolazione di questi Paesi. Cosa significa se non un atto d’accusa nei confronti della nostra sanità? E intanto i giornali dedicano cinque pagine all’incoronazione di re Carlo e seguono quotidianamente la storia di JJ4».
Non affrontiamo i veri nodi?
«L’Italia è penultima in Europa per numero di laureati. E metà Paese è composto di analfabeti in senso proprio, analfabeti di ritorno e funzionali. E intanto l’attenzione è concentrata sull’orso».
Come giudica il governo sulle nomine?
«Modificare le leggi per cambiare i vertici di Inps e Inail è grave: si tratta di un uso strumentale delle norme».
Pensa che alla fine Meloni ce la farà?
«Ad una condizione: che la sua proposta raccolga i due terzi dei voti dei parlamentari».
Insomma, serve il voto anche dell’opposizione?
«Sì, perché non supererebbe il vaglio del referendum. È quel che è successo a Berlusconi nel 2006 e a Renzi nel 2016».
Non tira aria di accordo.
«Come ottenerlo è esattamente il problema che il governo ha davanti a sé».