il Fatto Quotidiano, 8 maggio 2023
Erdogan, manie di grandezza per affascinare gli elettori. Verso il 14 maggio
Nel promontorio di Sarayburnu, affacciato sul Bosforo, che separa il Corno d’Oro e il Mar di Marmara, a Istanbul, migliaia di persone si sono accalcate, domenica 23 aprile, per vedere da vicino la TCG Anadolu, la nuova nave ammiraglia della flotta turca. La grande nave, inaugurata di recente dal presidente turco Erdogan, era già attraccata alla banchina da alcuni giorni, ma durante il lungo weekend dell’Eid al-Fitr, la festa musulmana che segna la fine del mese di Ramadan, è stato possibile visitarla. È lunga 232 metri, larga 32 e alta 58. Tuncay, 48 anni, è seduto sul prato con i suoi figli nell’attesa di potere salire a bordo. “Non posso perdere l’occasione. Se necessario, tornerò domani. È un prodotto turco al 100%”, dice Tuncay che, come molti, riprende gli slogan del presidente Recep Tayyip Erdoğan, ovviamente ignaro che la nave è stata progettata in collaborazione con la marina militare spagnola, sul modello della Juan Carlos I.
Ma poco importa: la nave è “motivo di orgoglio, è il simbolo del ruolo centrale che la Turchia svolge ormai sulla scena mondiale”, continua. Per Tuncay, Erdogan ha fatto la scelta giusta di “voler dare priorità all’industria della difesa e delle nuove tecnologie per fare del nostro Paese – aggiunge – un precursore del settore”. La TCG Anadolu è una portaerei che può trasportare elicotteri, ma soprattutto è la prima portadroni al mondo. I droni turchi sono stati utilizzati per la prima volta all’interno degli stessi confini nazionali contro i guerriglieri curdi del PKK e accusati di essere all’origine della morte di molti civili curdi scambiati per combattenti. Sono stati poi schierati con successo anche in alcuni conflitti all’estero, come in Siria, Libia e anche nel Nagorno-Karabakh. I droni, venduti anche all’estero, hanno fatto la fortuna del loro produttore, Selçuk Bayraktar, a capo della società Baykar, che è anche il genero del presidente Erdoğan. I suoi droni TB2 sono attualmente utilizzati dall’esercito marocchino contro i separatisti sahrawi, dall’Etiopia contro i ribelli nel Tigray e dall’Ucraina, che li ha usati contro i carri armati russi per frenare l’offensiva su Kiev. L’opposizione turca ha promesso che, in caso di vittoria alle elezioni del 14 maggio prossimo, il settore, troppo strategico per essere lasciato in mano ai privati, verrebbe nazionalizzato. Il nuovo prototipo di drone, il TB3, presentato in pompa magna il 27 aprile a Istanbul, dovrebbe essere usato sulla TCG Anadolu, così come il primo drone da combattimento Kizilelma (i cui motori dovrebbero essere progettati da aziende ucraine), che prende il nome da un mito caro all’estrema destra turca, alleata del presidente Erdogan. La TCG Anadolu era stata progettata inizialmente come portaerei per l’F-35B, un aereo caccia di nuova generazione in grado di decolli su pista corta e atterraggi verticali. Ma la collaborazione tra Ankara e Mosca, culminata con l’acquisto di batterie del sistema missilistico antiaereo russo S-400, ha spinto il Congresso Usa a bandire la Turchia dal programma di progettazione e acquisto degli F-35, a cui il Paese partecipava in quanto membro della NATO. Ma Erdogan, da “abile giocatore di scacchi”, come lo definì l’ex presidente Usa Donald Trump, è riuscito a trasformare il fallimento strategico in vittoria simbolica, inaugurando il primo porta droni al mondo a qualche settimana dalle presidenziali.
Alla sua presentazione, oltre agli alleati di estrema destra (MHP e BBP), erano presenti anche i leader dei due partiti islamisti, lo Yeniden Refah Partisi (YRP) e l’Hüda-Par, che hanno raggiunto la coalizione di governo. “La Turchia è una grande potenza in piena espansione e questo causa inimicizie e gelosie. Abbiamo bisogno di questa nave per difenderci”, osserva Dogukan Bekarolu, un operaio di 38 anni, che aspetta da più di quattro ore per visitare la TCG Anadolu. “La Turchia è leader nel mondo musulmano, deve poter intervenire in acque internazionali, dove necessario, come già fa in Siria o in Libia”, aggiunge Reat Kalkan, 58 anni, impiegato nel settore automobilistico, anche lui in fila. Anche se la vita è dura e gli stipendi sono bassi, entrambi voteranno per Erdogan il 14: “Sono in gioco l’indipendenza e la sopravvivenza del nostro Paese, i nemici sono ovunque, non venderemo il nostro Paese per una manciata di cipolle”, esclama uno di loro. La cipolla, il cui prezzo è raddoppiato negli ultimi tempi in Turchia, è diventata per il candidato dell’opposizione, Kemal Kiliçdaroglu, il simbolo della politica economica di Erdogan. In un video postato sui social a metà aprile, Kiliçdaroglu si è messo in scena in una modesta cucina con una cipolla in mano: “La mia elezione segnerà il ritorno della democrazia, degli investimenti esteri e del potere d’acquisto. Ma se Erdogan rimane al suo posto, il prezzo di questa cipolla triplicherà”. La politica monetaria del Paese viene decisa direttamente nel palazzo presidenziale. Erdoğan ha licenziato il ministro dell’economia e i direttori di banche centrali per sostituirli con figure vicine alla sua visione poco ortodossa dell’economia. Da allora il Paese è precipitato nell’iperinflazione (che era del 67% nel 2022). L’ENAG, un gruppo di economisti indipendenti, ha stimato l’aumento generale dei prezzi al 137%. Kiliçdaroglu, ex alto funzionario di 74 anni, appoggiato da un’alleanza eterogenea di sei partiti di opposizione, è poco carismatico ma ha la reputazione di uomo onesto che vuole combattere la corruzione. Erdoğan, in difficoltà nei sondaggi, sa che la crisi economica può pesare sul risultato delle elezioni. All’inizio dell’anno ha annunciato un aumento del 50% del salario minimo e prepensionamenti per 2,2 milioni di persone. Ma l’inflazione che corre annulla l’aumento degli stipendi. A fine aprile, quando il nuovo giacimento di gas naturale nel Mar Nero è entrato in funzione, Erdogan ha dichiarato che le bollette del gas delle famiglie turche sarebbero state gratuite per un mese e che la misura poteva essere prorogata per tutto l’anno, lasciando intendere che la Turchia sarebbe diventata in futuro un gigante dell’energia, autosufficiente e persino esportatore. Non è detto però che tutte queste dichiarazioni altisonanti siano sufficienti a convincere gli elettori a votare per lui il 14. A due passi dalla TCG Anadolu, una fitta folla si accalca nel quartiere dello shopping di Eminönü. Sono soprattutto turisti che approfittano del cambio favorevole, con la lira turca che ha perso il 35% del suo valore rispetto al dollaro nel 2022 e che continua a sprofondare.
Rari sono i turchi che si fermano davanti alle colorate bancarelle dei bazar. “Ho sempre meno clienti e quelli che continuano a venire comprano in quantità sempre più piccole. I miei costi stanno esplodendo e non so quanto tempo ancora potrò resistere”, osserva preoccupato un venditore di formaggi. Eppure l’Eid al-Fitr è tradizionalmente un periodo in cui si consuma di più, l’occasione per acquistare vestiti nuovi e pasticcini per festeggiare. “Già faccio fatica a pagare l’affitto! – esclama Gülay, 43 anni, madre e insegnante di inglese – Non so cosa fare. Prendo degli antidepressivi, ma non mi aiutano a risolvere i miei problemi finanziari”. Secondo i dati dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, l’uso di farmaci antidepressivi è esploso negli ultimi anni nel Paese: tra il 2008 e il 2020 sono state vendute il 76% di scatole in più. Da 54 milioni di scatole nel 2021 si è passati a 59 milioni nel 2022, secondo un’inchiesta del principale partito di opposizione, il CHP. Il 14 Gülay non voterà per Erdogan, che considera responsabile della situazione difficile in cui versa il Paese. La crisi economica e il disastro sismico del 6 febbraio scorso, mostrando le profonde lacune di uno Stato che invece si dipinge come superpotenza in divenire, potrebbero far cadere Erdoğan dopo ventuno anni al potere? I sogni di grandezza imperiale basteranno a garantire la continuità del suo potere, anche a costo di far precipitare il Paese sempre più in basso?
(Traduzione di Luana De Micco)