il Giornale, 8 maggio 2023
Biografia di Pep Guardiola
«S’era capito fin da piccolo che sarei diventato uno importante, ma per riuscirci ho avuto bisogno di tanti nemici e li ho. Caratterialmente ho bisogno di persone che mi odino perché il calcio è cercare di migliorare se stessi e loro mi aiutano a raggiungere i miei obiettivi. Per averli non devo farmi remore, tutto è lecito». Di parola. Quando ha lasciato il Bayern di Monaco nella sua ultima dichiarazione prima di alzarsi fa: «Vado a cercare nuovi nemici in Premier, lì sono sicuro di trovarli, da quelle parti se non riescono a batterti ti screditano, è perfetto per quello che cerco». E così è arrivato al City, stagione 2016, dove dopo sette anni in Europa non ha ancora vinto niente con il club più ricco del mondo, ma è rimasto una delle teste più perlustrate del calcio, attacco, possesso e anche tante frottole, la bugia dietro ogni sorriso da furbastro, simpatico e scafatissimo, con un traguardo supremo davanti agli occhi. I nemici comunque non se li è mai fatti mancare, una ricerca continua, Luis Enrique, Josè Mourinho, Carlo Ancelotti, mica gente qualunque, cinque minuti prima li esalta, cinque minuti dopo li affossa, sempre dando l’idea che stia scherzando, ma tira pallonate che prendono alla testa. Adesso fa uno degli Orazi che deve affrontare i Curiazi, ci sguazza in queste leggende epiche, è rimasto solo contro tre emiliani, Ancelotti, Pioli e Inzaghi, uno alla volta, inizia col primo e già prepara il colpo sul secondo. Dopo aver schiantato il Bayern nei quarti è diventato il primo a giocarsi più semifinali di sempre in Champions, una con re Carlo se l’è già concessa e che botta, lui sulla panchina del Bayern, il nemico su quella del Madrid, 29 aprile del 2014 a Monaco, ritorno, due gol di Ronaldo, il primo e il secondo di Sergio Ramos dopo venti minuti, la testa meticolosamente rasata del Pepp rifletteva la resa incondizionata dell’Allianz Arena. Quindi sotto con le stoccate, partendo da lontano, molto lontano: «Ricordo quel Milan, squadra fantastica, club che ha fatto la storia del calcio europeo con dentro il Dna della Champions, fantastici». Poi la botta: «Però il Napoli è stato sfortunato, quel rigore si poteva anche dare anche per lo splendido campionato che sta facendo». E su Ancelotti: «Lo ammiro come uomo, come allenatore e come ex calciatore, è stato in tutto il mondo e ha guidato squadre fantastiche, l’ho conosciuto, è uno che sa controllare le sue emozioni, ma a volte ha ottenuto vittorie che non meritava». E qui partono i nemici e le sue bugie smascherate, storica quella del signor Leonel El Castillo, papà del Kun Aguero: «Ha pianto quando mio figlio ha lasciato il City? Lacrime da coccodrillo, non è mai stato onesto con lui, non lo ha mai voluto perché vuole sempre essere il protagonista assoluto delle squadre che allena. È solo un bugiardo, altre qualità non ne ha». E allora vai con le repliche, i bugiardi sono gli altri. Yaya Tourè lo accusa di razzismo e lui la gira, accuse ridicole, è lui il bugiardo. Bellingham gli fa gol e lui: «Complimenti ma è un bugiardo, non può avere solo 17 anni». Sempre sorridendo. A volte meno e lo hanno multato, 15mila euro dalla federazione spagnola per aver dato del bugiardo all’arbitro Carlos Clos Gomez reo di aver redatto un falso rapporto al termine della gara contro l’Almeria, attento però con Josè Mourinho che lo ha attaccato più volte dandogli del mentitore seriale: «Se ami il calcio non perdi i capelli, guardate Guardiola, lui non ama il calcio». E in occasione di un Clasico, con finto riguardo, Pepp lo ha definito Puto amo, letteralmente il più figo, in realtà il più perbene figlio di buona donna, maestro nelle conferenze stampa, ma poi non sempre vincente sul campo. E poi il Pepp re delle illusioni, prima con l’Inter poi con la Juventus, a pranzo con Paratici, promesse e progetti, poi è arrivato Sarri. Il bambino che a 13 anni faceva il raccattapalle al Camp Nou a 21 è il calciatore più forte del mondo poi il più giovane a vincere da allenatore una Champions anche se deve tanto, tantissimo, a Lionel Messi. La storia di questo calcio però l’ha fatta e anche alla grandissima, finissima mente tattica, quasi irraggiungibile, Johan Crujff lo adorava e lo ha fatto esordire in prima squadra, ma in linea con il suo carattere ha scelto come suo principale maestro uno in qualche modo fuori dal giro, Julio Velasco: «L’ho invitato a cena e lui mi ha aperto gli occhi, mi ha spiegato come comportarmi con i giocatori, mai obbligarli a fare quello che non vogliono, ti si rivoltano contro, più importante trovare il tasto giusto per saperli stimolare e tirare fuori le loro qualità». Venticinque milioni netti all’anno fino al 2025, adesso comunque è davanti al grande sogno del City: «Desidero la Champions, la voglio e questa può essere la volta buona. Devo solo dire grazie a Haalland? No, no, non facciamo confusione, il mio centravanti preferito è lo spazio». Ridendo, la penultima bugia?