La Stampa, 8 maggio 2023
Lunga intervista a Michel Platini
Michel Platini, quando è stata l’ultima volta che ha tirato un calcio al pallone?
«L’estate scorsa a casa con i miei nipotini, hanno 14 e 8 anni e del nonno sanno tutto. Se ti chiami Platini non è che a scuola ti puoi nascondere, così loro chiedono, vedono i filmati con i miei gol. I ragazzi di oggi sanno tutto. Mi spiace solo che non abbiano del futuro una visione positiva come quella che avevano noi».
Torino, fine domenica pomeriggio, hotel del centro. L’appuntamento è alle 18 e alle 18 in punto si materializza un signore che in questa città ha vinto tre Palloni d’oro e due scudetti (più coppe assortite) e l’ha fatto con la maglia della Juventus. Per tutti era Le Roi, poi le President. Poi più niente, solo memoria e un oblio cercato, voluto. Oggi sarà sul green vicino a Milano per la «Vialli e Mauro golf cup» («Luca era una persona davvero per bene»). Chiede un bicchiere di Chardonnay, alla fine prende un calice di Arneis.
Torino è?
«I ricordi della mia vita e quelli legati al calcio. Due cose diverse. Senza la Juventus, senza l’Avvocato non sarei mai diventato Michel Platini. Se fossi rimasto a Nancy la mia vita avrebbe preso tutta un’altra piega. E poi la collina, la scuola francese dei miei figli, il ristorante Giudice. Sa qual è alla fine la cosa più bella?».
Prego.
«La passione dei tifosi della Juventus per me. In fondo io sono sempre rimasto uno di loro».
Lei ha smesso a 32 anni, come un giocatore qualsiasi. Nel calcio di oggi Platini uscirebbe di scena così presto?
«Non avrei smesso a 32 anni se fossero esistiti ancora i Cosmos. Ecco, un’esperienza negli Stati Uniti l’avrei fatta volentieri, l’Avvocato aveva degli ottimi rapporti con loro. Purtroppo stavano scomparendo e non se ne fece nulla. Mi voleva il Barcellona, mi chiesero di restare alla Juve ma io sentivo di non farcela più in quel ruolo. Una volta con la Samp sono partito su un pallone con 5 metri di vantaggio e mi sono ritrovato staccato di 5 metri dal difensore... Avrei potuto arretrare ma io giocavo per fare gol, per questo lasciai».
Oggi avrebbe potuto imitare Ronaldo e farsi ricoprire d’oro nei paesi arabi? Come giudica la sua scelta?
«Non giudico. E poi le dico che se ti offrono duecento milioni, diventa quasi immorale rifiutarli. Anche se sei straricco».
Quanto calcio guarda?
«Non tanto. Non è nella mia agenda. Ho smesso di mettere il calcio nei miei programmi quando ho finito di essere il presidente dell’Uefa. Seguo, so chi vince, ma non organizzo la mia vita in base ai calendari. L’ultima partita vista? Lens-Marsiglia sabato sera. Allo stadio non ci vado, con me in tribuna la squadra di casa perde sempre, così non mi vogliono più».
Che cosa le piace del calcio di oggi?
«I giocatori. Ora è tutto cambiato. C’è un gioco muscolare, in mezzo al campo c’è molto traffico, si gioca sulle fasce. Poi arriva Mbappè e fa sfracelli».
Lo mettiamo nella categoria fenomeni?
«Decisamente sì».
Invece, che cosa detesta?
«Oggi contano le statistiche, ma fanno male. Rendono individualista il rapporto tra il calcio e i giocatori, si contano i passaggi, gli assist, i dribbling. Numeri e statistiche sono usati da chi non capisce nulla di pallone».
Ma le statistiche di Haaland sono impressionanti, non si può far finta di nulla.
«Guardi con chi gioca Haaland. La legge Bosman e i soldi degli sceicchi hanno rivoluzionato il calcio. Io a 18 anni giocavo nel Nancy, lui nel Borussia Dortmund, c’è una bella differenza».
Che fine ha fatto il suo Fair Play Finanziario? Non è stato calpestato?
«Chieda a quelli dell’Uefa. Qualcosa resiste ma è complicato per il presidente dell’Uefa Ceferin farlo rispettare se il suo principale sostenitore è l’emiro Al Khelaifi del Psg. La verità è che sia Ceferin sia il presidente della Fifa Infantino sono degli usurpatori di poltrone. Io facevo calcio, loro politica».
Spieghi?
«Non c’è una riforma nei loro programmi, se non fare più partite e incassare più soldi. E così non rispettano le competizioni che hanno fatto la storia del calcio».
Oltre alle sentenze, che cosa rimane della sua vicenda giudiziaria?
«Solo l’idea di un complotto per farmi fuori».
Nessun rimpianto?
«Solo quello di non avere più vent’anni e non giocare più a pallone. Chi mi ha sostituito non sa nulla di calcio».
Platini che cosa farebbe ora?
«Ho delle idee ma senza potere le idee non valgono nulla. E io sono vecchio. Mi piacerebbe però mettermi a disposizione di qualcuno che la pensi come me. Anche in politica mi servirebbe uno come era Bonini in campo».
Farebbe il regista?
«Ecco, si farei il regista».
Tra le sue idee c’è la Superlega?
«Prima o poi si farà, ma non così. E... non mi faccia dire di più».
Il Platini spettatore quali allenatori sceglie?
«Ancelotti e Guardiola. Li conosco, Guardiola ha cambiato il calcio, seguendo le orme di Cruyff. Voglio bene a Pep a e anche ad Ancelotti per il suo approccio alla partita. Domani in Champions sarà una grande sfida».
Quante sono le squadre spartiacque nella storia del calcio del dopoguerra?
«Due e mezzo. La prima è l’Ajax di Rinus Michels, giocavano un calcio globale e fisico. Poi il Barcellona di Guardiola, figlio di quello di Cruyff, globale e tecnico».
E la mezza?
«La Juve del Trap. Se vinciamo la Coppa dei Campioni ad Amburgo ne vinciamo tre di fila e apriamo un ciclo, me lo dice sempre anche Boniek»
Quella finale persa ad Atene resta un buco nero?
«No, ogni sconfitta è un buco nero».
C’è una partita che rigiocherebbe?
«No».
E una che non rigiocherebbe?
«Neanche. All’Heysel dovevamo giocare per proteggere la gente dentro lo stadio. Non mi sono mai pentito di quella scelta».
Ieri a Bergano Vlahovic è stato ricoperto di insulti razzisti, prima di lui Lukaku. Perché non si riesce ad estirpare il razzismo dagli stadi?
«La società è razzista. Il calcio ci prova a tenere fuori il razzismo dagli stadi, ma è complicato. Se avessi avuto un’idea quando ero presidente dell’Uefa l’avrei applicata. So solo che si dovrebbe partire dalle scuole per debellarlo».
La Francia è un paese razzista?
«Non credo. Ma sono sicuro che come l’Italia vuole combattere il razzismo».
Il nostro governo contro quello francese, Meloni contro Macron. Non è che l’Eliseo l’ha mandata in missione di pace?
«Non ancora... La verità è che la questione dei migranti complica i rapporti tra i Paesi: ma i francesi hanno sempre amato l’Italia, forse gli italiani un po’ meno la Francia anche per le questioni legate alle precedenti immigrazioni».
Che cosa le è rimasto di italiano?
«Brera diceva che facevo il francese in Italia e l’italiano in Francia. Io adoro l’Italia, le persone, l’arte. Tutto».
Come guarda ora il calcio?
«Smetto di essere Michel Platini, guardo la partita e un minuto dopo la fine cambio canale. Se mi rompo, cambio dopo dieci minuti».
Una squadra in cui giocherebbe Platini?
«Non sono andato in Inghilterra perché non c’erano le feste a Natale e si doveva giocare sempre. Andiamo in Italia, dicevo, quello è un paese cattolico e a Natale vanno tutti in chiesa e non si si gioca. Conta dove hai voglia di vivere e so che a New York avrei vissuto molto bene».
Per la Juventus è una stagione complicata, ma adesso è seconda. Che giudizio dà al campionato?
«L’ho vista giocare poco, l’ultima volta con l’Eintracht, non posso dare un giudizio tecnico».
Ma una penalizzazione sulla testa può condizionare?
«Molto, se sei attaccato alla società. Altrimenti i giocatori se ne possono anche fregare, tanto sanno di poter cambiare facilmente squadra. Non certo come ai miei tempi, quando cambiavi solo se Boniperti era d’accordo».
La Juve le ha mai offerto un ruolo da dirigente?
«No. Tornare qui dopo oltre trent’anni non avrebbe avuto più senso. Di quel mondo non ci sarebbe stato più nessuno. Le storie d’amore non si vivono due volte».
Ci sono cinque squadre italiane impegnate nelle semifinali di coppa: successo del sistema o dei club?
«Sono contento. Non credo sia l’inizio di un ciclo, ma abbiamo bisogno che l’Italia torni al vertice. Fa bene al calcio e anche a tutti i Platini sparsi per il mondo con le radici italiane».
Da dirigente era contro la Var. Sempre di quell’idea?
«Sì. La Var ha solo spostato il problema, ha fatto di ogni tocco un fallo, l’interpretazione la si dà sul campo, non davanti a uno schermo. La applicherei solo alla gol line technology e al fuorigioco. Così sta uccidendo gli arbitri, sono molto più scarsi di prima. Ma non si tornerà più indietro, l’avevo detto a Blatter anni fa. Finiremo a giocare senza arbitri e come ai primordi del calcio».
Ha visto in giro qualcuno che le somiglia in questi anni?
«Non me lo sono mai chiesto, ma credo di no. Non c’è più il mio ruolo, io coprivo sessanta metri per segnare. Maradona, Messi, De Bruyne sono dei nove e mezzo».
Le tv fanno bene al calcio?
«Fanno bene ai calciatori. Prima non guadagnavano così tanto».
Oggi Platini quanto varrebbe?
«Sicuro che avrei giocato a pallone ora? Da bambino il mio era un sogno, ora ti mettono in un centro di formazione con quelli che si scannano per diventare famosi. Non so se a 11 anni sarei stato pronto a farlo. Anzi, lo so. Quel bambino non ci sarebbe andato e suo papà non ce l’avrebbe portato».