Domenicale, 7 maggio 2023
Perché aiutiamo gli altri (i trucchi dell’evoluzione)
Gli esseri umani sono creature fortemente sociali. Ci piace stare insieme, giocare insieme, aiutarci a vicenda e cooperare. Tuttavia, non siamo gli unici mammiferi altamente sociali. Anche i lupi, gli elefanti, gli uistitì e molte altre specie hanno una natura sociale. A volte gli individui sociali devono sostenere un costo per aiutare un altro individuo, e questi costi possono essere non banali. Adottare un bambino orfano bisognoso e renderlo indipendente è una cosa che gli esseri umani fanno, anche quando hanno una propria prole. È interessante notare che anche altri primati adottano bambini.
Da dove viene la socialità dei mammiferi? Questo aspetto ha lasciato a lungo perplessi gli studiosi. Gli dei sono una risposta, ma insoddisfacente, soprattutto perché le divinità dei cacciatori-raccoglitori di solito si occupano di stagioni e fertilità, non di regole morali. Una teoria sostiene che siamo egoisti per natura e che la gentilezza che possiamo mostrare è essenzialmente appresa per la paura delle punizioni. Da questo punto di vista, la moralità è incoerente con l’evoluzione biologica, perché sostenere un costo per aiutare un altro non sarebbe adattativo. L’egoismo sfrenato trionferebbe sempre sulla gentilezza.
Sorprendentemente, lo stesso Darwin ha adottato una linea molto diversa. Sì, la sopravvivenza è una pulsione potente per ogni organismo. Darwin suggerì che nei mammiferi anche la socialità, che implica un comportamento di cura, è un istinto potente. La cura e la condivisione sono regolarmente presenti nei lupi e nelle orche. Ma, si potrebbe obiettare, come può questo comportamento essere compatibile con la sopravvivenza del più adatto? La gentilezza dovrà incontrare una selezionata negativa, se non nel breve periodo, almeno nel lungo periodo. Eppure, ecco i fatti: i mammiferi altamente sociali si prendono cura degli altri e hanno comportamenti di condivisione.
L’ipotesi basata sul cervello per spiegare la socialità dei mammiferi ha un’origine curiosa: l’evoluzione dell’endotermia, circa 233 milioni di anni fa. La capacità di mantenere una temperatura corporea costante (ovvero di essere a sangue caldo) era estremamente vantaggiosa. Gli endotermi potevano raccogliere cibo di notte, mentre gli animali a sangue freddo dipendono interamente dal calore prodotto da fonti esterne come il sole. Gli endotermi potevano anche prosperare nei climi più freddi, preclusi agli ectotermi. Fin qui l’endotermia sembra perfetta, ma c’è un aspetto negativo. La produzione di calore corporeo richiede molta energia. Grammo per grammo, un endotermo deve mangiare circa dieci volte di più di un ectotermo. Come ha fatto l’evoluzione a risolvere questo problema?
Un modo efficace per aumentare la ricerca di cibo è aumentare l’intelligenza. Un modo efficiente per aumentare l’intelligenza è aumentare le capacità di apprendimento. Questo può essere ottenuto in tempi molto più rapidi rispetto all’attesa che l’evoluzione produca mutazioni genetiche, alcune delle quali potrebbero alla fine aumentare le conoscenze e le capacità disponibili. L’apprendimento rapido consente anche la flessibilità. Chi impara in fretta può esplorare nuovi ambienti e acquisire nuovi modi di sopravvivenza. Qual è il trucco del cervello per imparare in fretta?
Una novità per i mammiferi è la neocorteccia, una grande struttura neuronale che copre strutture cerebrali più antiche come l’ipotalamo e si integra con esse. La neocorteccia si è evoluta probabilmente nella sua organizzazione attuale circa 200 milioni di anni fa da una struttura di apprendimento più semplice e più piccola, presente nei rettili e nei pesci, il pallio.
La neocorteccia è un grande apprendista e più una specie ha spazio corticale, più ampia è la capacità di apprendimento. Ma anche l’apprendimento rapido presenta un problema. Per i cervelli, imparare implica la costruzione di strutture: ramificazioni neuronali e connessioni tra neuroni. Di conseguenza, una macchina per l’apprendimento rapido, come la corteccia, deve avere molto spazio per ospitare nuovi collegamenti. Il risultato è che i cuccioli di mammifero devono nascere molto immaturi, in modo da garantire un ampio spazio nel cervello per le ramificazioni e le connessioni. A sua volta, questa soluzione presenta un problema.
Un mammifero neonato è indifeso, a differenza di un cucciolo di tartaruga che si schiude dall’uovo e scende immediatamente in acqua a caccia di cibo. La cura è la soluzione al problema dell’immaturità del neonato. L’evoluzione dei mammiferi come grandi apprendisti doveva essere accompagnata dall’evoluzione della “motivazione” cerebrale per garantire che qualcuno si prendesse cura del neonato umano indifeso. In genere si tratta della madre, poiché è vicina durante il parto. Se non fa il suo lavoro di madre, il neonato morirà. A meno che non ci sia qualcosa di molto sbagliato, l’impulso materno è molto potente. Come tutti gli impulsi, anche quello materno dipende dal cervello.
Per ottenere l’attaccamento, l’evoluzione ha reclutato un antico peptide, l’ossitocina, per nuovi usi nei mammiferi. Necessaria per l’espulsione del latte, l’ossitocina viene rilasciata anche nel cervello della madre e del bambino durante le coccole. Lavorando con altre molecole, come le endorfine e la dopamina, l’ossitocina media le sensazioni di piacere e favorisce l’attaccamento. Il risultato è che la madre si prende cura dei piccoli e li protegge. La vasopressina, un peptide fratello da cui si è evoluta l’ossitocina, ha un ruolo nella risposta aggressiva della madre all’attacco. Per semplificare, è come se nei mammiferi la sfera delle cure si espandesse da “io” a “io e mio” attraverso la complessa mediazione dell’ossitocina e della vasopressina.
Qual è il passo evolutivo successivo che porta alcuni mammiferi dall’accudimento madre-bambino all’accudimento di fratelli, compagni, altri membri del gruppo e persino di estranei? Piccole modifiche genetiche che riguardano i sistemi di ossitocina-vasopressina (OT-VP) possono espandere o alterare lo spazio dell’attaccamento e delle cure. Tra le specie di mammiferi esistono diverse forme di vita, dai piccoli gruppi ai grandi gruppi, fino allo stile di vita solitario. Queste diverse strategie evidenziano come i sistemi di ossitocina e vasopressina (OT-VP) possano dare origine a diversi assetti sociali.
E noi? La socialità umana sembra essere radicata nelle particolari caratteristiche del sistema OT-VP umano e nella nostra immensa capacità di apprendimento. Data la nostra “piattaforma” di base, risulta utile un assortimento di diverse strategie, che variano dalle regole sociali adatte a comunità che raccolgono cibo a quelle emerse quando l’agricoltura è diventata prevalente. Come tutti i mammiferi, gli esseri umani sono motivati fin dai primi giorni di vita ad apprendere le abilità necessarie al loro mondo sociale. A tempo debito, le norme sociali locali vengono recepite senza sforzo e integrate profondamente nelle funzioni decisionali del cervello. La straordinaria varietà delle regole morali umane ci invita a riflettere sulla nostra tendenza a ritenere che le norme del proprio gruppo siano assolute e immodificabili, mentre quelle degli altri siano immotivate o sbagliate. Sebbene la lealtà di gruppo possa dare origine a forme produttive di cooperazione e di ricerca del consenso, la lealtà che sconfina nel fanatismo porta spesso all’aggressività distruttiva verso gli altri.
Questo resoconto delle origini della moralità umana è un semplice schema e la terza legge di Orgel (dal biologo Leslie Orgel) dovrebbe essere l’ultima parola: la biologia è sempre più complicata di quanto ci si aspetti, anche quando si tiene conto della terza legge di Orgel.
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L’articolo in questa pagina è una sintesi dell’intervento che la filosofa e neuroscienziata Patricia S. Churchland, pioniera della neurofilosofia, terrà mercoledì 10 maggio a Pisa nell’ambito del XIV convegno della Società italiana di Neuroetica (Sine). Churchland sarà premiata con la medaglia Sine per la filosofia insieme a Helen Mayberg, psichiatra impegnata nella cura della depressione, che riceverà la medaglia Sine per le neuroscienze. I tre giorni di lavori (10-12 maggio) si svolgono all’Università di Pisa, coordinati da Silvia Pellegrini, e all’IMT di Lucca, coordinati da Pietro Pietrini. Info: societadineuroetica.it