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 2023  maggio 07 Domenica calendario

Pezzi sull’incoronazione di Carlo III e di Camilla



Luigi Ippolito per CdS
l destino si è compiuto. Re Carlo ha cinto ieri quella corona agognata per 70 anni: ma è come un traguardo colto fuori tempo massimo. Perché lo scintillio regale si è fatto ormai polvere del tempo che si posa su un capo stanco.
Se l’incoronazione di Elisabetta apriva una nuova era, quella di Carlo sembra chiuderla. Lei era una giovane ventenne sulla quale la Gran Bretagna, appena uscita dalla guerra, proiettava come su un foglio bianco le sue speranze, Carlo porta invece su di sé tanti fardelli e tutto il peso della senilità.
Anche il tempo grigio di ieri, con una Londra decisamente autunnale, sembrava richiamare una temperie della spirito (seppure la Bbc, per darsi coraggio, lo ha definito «un tipico giorno di primavera britannica»).
La mattinata si è aperta con la sfilata di potenti che arrivavano alla spicciolata nell’Abbazia di Westminster: c’era Ursula von der Leyen, la presidente della Commissione europea, Emmanuel Macron con la moglie Brigitte, il nostro capo dello Stato Mattarella. Non Joe Biden, però, e così sua moglie Jill è stata relegata dietro a tutti. Arrivano pure in gruppo gli ex premier, con Boris Johnson che è riuscito a dimenticare di pettinarsi perfino in questa occasione.
Ma quello che colpisce è la processione dei leader del Commonwealth con le loro bandiere: una folla di tutte le razze e tutte le fogge, chiusa da Rishi Sunak, il premier di origine indiana. È un simbolo potente della «Global Britain», un Paese che ha sì una dimensione europea, ma che non è affatto riducibile ad essa e che vive del suo legame col mondo.
Così come la processione ecumenica, con i leader di tutte le fedi, dà l’idea di quanto multiforme sia la Gran Bretagna e di quanta strada abbia fatto negli ultimi 70 anni. E l’ingresso del Lord Mayor di Westminster, che è un giovane musulmano poco più che ventenne, dà la misura di una nazione irriconoscibile se la si guarda con gli occhi del passato.
Ma quando Carlo e Camilla emergono da Buckingham Palace a bordo della carrozza del Giubileo di Diamante, accolti dalle note di «God Save the King», lui ha una sguardo stanco e stralunato che si intravede attraverso il finestrino (mentre lei ha un sorriso stampato sulla faccia). La folla lungo il Mall acclama entusiasta, il re continua a guardarsi attorno con aria incredula.
Intanto a Westminster compaiono i membri della famiglia: il più atteso è lui, Harry, che arriva però assieme ai reali «minori», le figlie di Andrea, Eugenia e Beatrice, e Zara, figlia di Anna. Lo hanno messo a sedere in castigo, in terza fila, e non gli hanno fatto indossare l’uniforme militare: troppe ne ha dette e ne ha fatte. Ma lui sembra più che rilassato, chiacchiera e ride col marito della cugina, che gli siede a fianco. Il disgraziato Andrea entra spavaldo – e non si capisce che avrà mai da sorridere – ma nessuno lo degna di un cenno. William e Kate sono splendidi nelle loro vesti formali di principi di Galles, indossate su richiesta esplicita del re.
Per ultimi fanno il loro ingresso in chiesa Carlo e Camilla: lui avanza lungo la navata a passo lento, quasi affaticato, ma finalmente riesce ad abbozzare un sorriso: ce l’ha fatta, il momento atteso da una vita è arrivato. Quanto a lei, quello che le sfugge è quasi un ghigno: e quando prende posto, non rinuncia a una battuta col sacerdote che le passa il messale.
Non vengo per essere servito ma per servire
«Vengo non per essere servito, ma per servire», sono le prime parole che il re pronuncia. Dopo di che, si svolge la presentazione del sovrano: e tra chi la officia c’è una donna nera, la baronessa Valerie Amos, così come è una donna, Penny Mordaunt, nel suo ruolo di Lord Presidente del Consiglio Privato del re, a portare la Spada di Stato, mentre è un’altra donna nera, la Baronessa Floella Benjamin, a portare lo scettro. Sono le più eclatanti «prime volte» storiche di una cerimonia che intesse di contemporaneità una tradizione medievale: a officiare l’incoronazione di Elisabetta c’erano infatti solo maschi bianchi, ora abbiamo anche un premier induista e di colore come Sunak che legge la Lettera ai Colossesi e una donna vescovo che legge il Vangelo.
E a sorpresa arriva addirittura una «citazione» dal matrimonio di Harry e Megan, con un coro gospel di cantanti neri che ballano ondeggianti. È l’estremo tocco innovativo in uno sforzo per parlare alla Gran Bretagna contemporanea, a un pubblico che mostra sempre più disaffezione verso la monarchia, soprattutto nelle sue fasce più giovani.
Ma poi il punto centrale della cerimonia riporta subito alla tradizione millenaria nella quale è radicata l’incoronazione: l’unzione del re, il passaggio in cui l’uomo si trasforma in sovrano. È un momento mistico, che avviene dietro un paravento, perché gli occhi dei comuni mortali non possono esserne testimoni.
Carlo viene spogliato del mantello di Stato e resta in tunica bianca, nudo davanti a Dio: dalle fessure del paravento si intravedono le mani dell’arcivescovo di Canterbury che lo consacra, mentre attorno risuona solenne la musica di Handel.
Quindi, rimosso il paravento, Carlo viene rivestito di una sovratunica dorata e si siede sul trono, visibilmente commosso (avrà pianto?). Lì riceve le offerte – i braccialetti, il mantello, l’anello, il guanto – portati da musulmani, ebrei, indù, sikh: ed è la prima volta che fedi non cristiane diventano parte integrale della cerimonia.
Infine il momento più atteso, a mezzogiorno in punto, quando l’arcivescovo aggiusta sul capo di Carlo – con qualche incertezza – la corona di Sant’Edoardo. Lui sembra quasi piegarsi in avanti per il peso, ma non si può fare a meno di emozionarsi, quando viene finalmente accompagnato sul trono, investito di tutte le insegne regali. E il momento più toccante è l’omaggio di William che lo bacia: perché il volto di Carlo si illumina di emozione.
Conclusa la cerimonia, Carlo appare provato, avanza a fatica verso l’uscita della chiesa, da dove emerge al suono delle campane. La processione di ritorno verso Buckingham Palace, a bordo del cocchio dorato del Settecento, restituisce l’aspetto fiabesco della monarchia: ma la Grande Magia si sta ormai spegnendo.
Solo sul balcone, quando saluta circondato dai paggi e dai familiari, Carlo appare finalmente disteso, rilassato, quasi raggiante, come se si fosse tolto un peso. La Corona è finalmente sua.

Simonetta Agnello Hornby
Vivo in un appartamento ad “Ashley Gardens” un complesso di vari palazzotti vittoriani a sette piani, a Thirleby Road, una traversa di Victoria Street, con parcheggio accanto ai marciapiedi, a circa trecento metri dal Palazzo Reale e mezzo chilometro dal Parlamento. Sui suoi lati parcheggiano le automobili degli inquilini. Ma ieri mattina sulla strada né macchine né scooter. Decine di cartelli “No Parking” erano stati attaccati sulle ringhiere durante la notte, e gli inglesi, ligi, avevano obbedito. Alle 8 non c’era anima viva per strada. Alle 10 sono scesa per fare la spesa. Thirleby road era piena di limousine nere, grandi e lucide. Vuote. I portieri perplessi dalla mia ignoranza, mi hanno spiegato: «Signora, qui devono parcheggiare i notabili invitati dal Re alla Messa a Westminster Cathedral!». E soltanto allora ho ricordato ciò che mi era stato detto dalle due ragazze venete mie ospiti. Il giorno dell’Incoronazione, quasi quasi me ne ero dimenticata. E incuriosita mi sono diretta anch’io verso la Cattedrale, alla fine di Victoria Street. La folla andava soltanto in quella direzione: Westminster Cathedral. Tutte le altre traverse erano bloccate. Una marea di persone determinate e serene, nessuno che ritornasse sui suoi passi. I poliziotti erano dappertutto, benigni. Un nugolo di vigili impedivano ai passanti di attraversare Victoria Street. In marcia londinesi, turisti e gente delle colonie ancora rimaste nel pericolante Commomwealth britannico. L’atmosfera cupa della Londra sotto il Covid è cambiata tutto a un tratto. La gente sorride benigna e fiera, e mantiene lo stesso passo. Non di corsa, ma veloce e controllato. Tra la gente uomini e donne anziani, ma nessun bambino, adolescente o disabile. I radi invitati che vivono vicino alla cattedrale ci vanno a piedi: sono vestiti per l’occasione, abiti formali, uniformi militari, le donne camminano imperterrite con tacchi altissimi, cappelli e abiti eleganti. Noto le loro acconciature, in genere di buon gusto ma talvolta bizzarre, come certe inglesi sanno fare. Davanti alla cattedrale, una gran folla, anche questa controllata. Scendono dalle limousine nere che poi parcheggeranno nelle strade laterali. Riconosco un anziano giudice che vive nella mia strada: cammina a grandi passi, vestito per l’occasione. Mi suggerisce di tornare a casa e accendere subito il televisore. E seguo il suo consiglio.La musica, i canti e la coreografia sono perfetti. In questo gli inglesi danno punti a tutti. L’atmosfera, seppur solenne e densa di emozione, è serena. Carlo III controlla la tensione, Camilla, gli sta accanto tranquilla. L’intesa tra i due, lo sappiamo, dura dalla loro adolescenza, come ha dimostrato Carlo in una sua indimenticabile intervista con Diana dopo il loro fidanzamento, voluto intensamente dalle rispettive nonne, o così si dice. Non riesco a dimenticare lo sguardo sofferente della povera giovanissima Diana alla prima intervista ufficiale dopo il fidanzamento, che alla domanda: «Quando vi siete innamorati?» risponde: «Se di amore si può parlare...». Una vera crudeltà, indimenticabile. Osservo adesso Camilla, che chiaramente ha mantenuto la generosa sensualità del corpo e lo sguardo saldo e amorevole nei riguardi di Carlo, suo corteggiatore e forse fidanzato da giovani, e poi amante e finalmente suo marito, dopo la tragica morte di Diana in un incidente di automobile a Parigi. Quando Camilla guarda il marito, lui sembra rifiorire e rilassarsi, grato. Una coppia che si è amata e si sostiene da più di mezzo secolo. Non mi è mai piaciuta, Camilla, e non mi piace pensare che sia rimasta l’amante di Carlo durante il suo matrimonio con la ingenua e giovane Diana. Ma devo accettare che il suo grande amore per Carlo merita rispetto. L’intera famiglia reale partecipa all’Incoronazione dai piccoli ai grandi. Chi trionfa, a mio parere, è la famiglia di William, il figlio maggiore di re Carlo, che assieme alla moglie Catherine succederà al trono. Catherine è splendida: una gran lavoratrice, moglie paziente e madre affettuosa, sarà una grande regina. La prima non di “sangue blu”. I loro figli – giovani, sani, allegri, compiti, attenti, e anche curiosi – sembrano a loro agio. Nella cattedrale dominano la musica e il canto. I discorsi – ben dosati e interessanti – si accavallano uno all’altro in armonia. La regia è davvero bella e ha fatto godere milioni di persone. Una cerimonia fluida e affascinante. I rappresentanti del Commonwealth – l’unione delle nazioni e dei territori all’estero un tempo colonie e possedimenti britannici – gli artisti e gli amici della coppia si intersecano, sereni. Noto e apprezzo la grande attenzione che re Carlo ha voluto dare ai rappresentati dei Paesi del Commonwealth, vedo in posizioni di rilievo persone (anche giovani) di tutte le razze e culture, e questo mi fa sentire orgogliosa di essere britannica. C’è tutto il corpo diplomatico e tanti altri, anche quelli sorridenti e luminosi. La cerimonia nell’insieme è vigorosa e positivi. Vi si respira un’aria di libertà, di unione, di ricordi, di valori e di affetto per la Gran Bretagna e il Commonwealth che però in futuro potrebbe diventare pericolante. —
Veronica Cursi per MessMolti sognavano di vedere lei, ieri, sul trono all’abbazia di Westminster: Kate Middleton, la futura regina. Si dice che Carlo si sia spesso innervosito perché, in varie occasioni, la principessa del Galles gli abbia rubato la scena (destino che condivide con la compianta Diana). Nel giorno dell’incoronazione non è stata da meno. Regale e impeccabile. Soprattutto per la scelta di un royal look dall’alto valore simbolico e sono molti i sudditi che l’hanno già definita “The real queen”, la vera regina. È per lei e William che batteva il cuore del Regno Unito e del Commonswealth ieri. Lui in alta uniforme, leggermente commosso dal bacio al padre, mentre lei sembrava una dea scesa dall’Olimpo (e con mini-me al seguito, la figlia Charlotte).LA TRADIZIONELa Principessa del Galles ha infatti scelto la tradizione optando per un abito avorio, colore da sempre utilizzato per l’incoronazione delle regine. L’abito di Alexander McQueen, stilista molto amato da Kate che lo scelse anche per il giorno delle sue nozze, era celato dal mantello lungo blu, che svelava maniche adornate da importanti ricami preziosi, i quattro fiori delle nazioni d’origine: rosa inglese, cardo scozzese, narciso gallese e trifoglio irlandese. Ma quello che è saltato all’occhio sono stati gli omaggi che la futura regina, spesso paragonata per lo stile all’amatissima Diana, ha voluto fare sfoggiando un set di orecchini di perle e diamanti regalati proprio a Lady D prima del suo matrimonio con il principe Carlo nel 1981. Gli orecchini, realizzati da Collingwood, segnano un commovente passaggio di consegne da una principessa del Galles all’altra. Erano i preferiti di Diana e sono stati sfoggiati in diverse occasioni. Li indossava anche con l’abito nero aderente, diventato famoso come il “Revenge dress”, alla festa di Vanity Fair nel 1994. Ma Kate ha reso omaggio anche alla defunta regina indossando la collana con festone di Giorgio VI, che fu un regalo del re proprio per sua figlia, l’allora principessa Elisabetta. È composta da 105 diamanti sciolti che erano di riserva a Garrard, conservati in sacchetti contrassegnati con la “C” per Corona nel caso in cui un monarca avesse voluto estendere una collana o migliorare una tiara. Si diceva che la regina Mary, la nonna della regina, usasse regolarmente questo servizio.LA PRINCIPESSANiente tiara. Kate ha scelto di coordinare il suo look con la piccola Charlotte. A partire dal copricapo in argento, con cristalli e ricami di foglie. Un richiamo al mondo naturale tanto amato dal nuovo re che, per la sua incoronazione, ha voluto richiami a fiori e piante ovunque. Bianco come quello della mamma anche l’abito della principessina, sormontato da un cappa.LE DAME “OLD” DI CAMILLAAnche la (vera) regina Camilla ha voluto onorare Elisabetta. La sua prima veste è stata un dejà-vu per i fan della Corona, perché la stessa cappa fu indossata da Elisabetta II 70 anni fa, durante la sua cerimonia d’incoronazione. Sotto Camilla ha sfoggiato un abito bianco firmato Bruce Oldfield lungo fino a terra (forse un po’ troppo lungo) impreziosito da ricami d’oro e d’argento, tra cui spiccavano margherite e nontiscordardimé, in omaggio all’amore, del re e della regina consorte, per la natura. Menzione d’onore alle sue damigelle, la sorella Annabel Elliot e Lady Lansdowne. Rispettivamente 74 e 68 anni: perfetti cloni della nuova Regina (quantomeno vanno tutte dallo stesso parrucchiere). Più che coronate, teste cotonate.TIARE VIETATEIn rottura con una tradizione che durava da 900 anni, il re Carlo ha aggiunto tra gli invitati tutti i reali d’Europa, aprendo così la porta a una scintillante parata di re, regine, principi e principesse di tutto il mondo. Il dress code imposto dalla casa reale è stato però rigoroso. Una scelta non di moda, ma politica: in linea con i tempi e con la volontà di snellire la monarchia, re Carlo ha voluto infatti evitare sfarzi inutili. Per gli uomini tight grigio o blu, per le donne un abito da giorno che coprisse le ginocchia, con maniche almeno fino al gomito e spalle coperte. Immancabili cappelli, guanti, scarpe chiuse e calze. Abolite, invece, tiare ed ermellini (persino quello di Carlo era ecologico), sostituite da eleganti cappelli fascinator e fiori tra i capelli. Così, tra tight, abiti bon-ton e cappellini originali, gli invitati si sono sfidati a colpi di stile, facendo trionfare i colori pastello e l’eleganza.Una delle più belle del reame, la regina Rania di Giordania, è arrivata insieme al marito Abdullah II. Rania ha scelto come nuance il giallo pallidissimo, sfoggiando un abito couture Tamara Ralph stretto fino al ginocchio, cappello e veletta, una clutch Bottega Veneta e Jimmy Choo bianche. La regina di Spagna, Letizia Ortiz ha optato invece per una gonna longuette e giacca con ricami floreali in rosa acceso, forse un po’ troppo acceso. L’effetto è stato quello di una barbie (anche se molto elegante). Decisamente sotto tono Charlene di Monaco, arrivata sotto braccio con il marito Alberto, nonostante le voci che negli ultimi tempi davano il loro matrimonio finito. La principessa Charlene ha sfoggiato un tailleur gonna color crema con stola annessa e un cappellino triste almeno quanto il suo sorriso. Dal giorno del matrimonio della sorella Kate, Pippa Middleton non sbaglia un colpo: anche ieri ha incanta to con un abito blazer giallo di Claire Mischevani. Applausi anche per Lady Louise Windsor, la figlia 19enne del principe Edoardo e Sophie, stretta in un lungo abito bianco con stampa floreale.LE FIRST LADIESTra gli esponenti di stato, si sono fatte notare Lady Jill Biden accompagnata dalla nipote, la 21enne Finnegan Biden, che hanno scelto un look coordinato, azzurro e giallo, che richiamavano volontariamente i colori dell’Ucraina. Mentre Olena Zelenska, moglie del presidente ucraino, ha sfoggiato un look verde salvia light, con soprabito e abito ton sur ton. Tra gli invitati anche Brigitte Macron, première dame francese, che ha varcato le porte di Westminister a braccetto del marito e presidente Emmanuel Macron. Radiosa in un total look color cipria, non era tra gli ospiti attesi. Katy Perry, che canterà oggi al concerto che si terrà a Windsor, ha rispettato alla lettera il dress code rendendo omaggio alla moda inglese con un abito al ginocchio e bustier scollato di Vivienne Westwood, abbinato a guanti e a blazer avvitato. La peggiore? Cherie Blair, tempestata di strass e con scarpe metal, a metà tra il mago di Oz e Michael Jackson.
Vittorio Sabadin per MessRe Carlo III ha sorriso un po’ rilassato solo una volta, nella lunga e faticosa cerimonia di incoronazione all’Abbazia di Westminster. È stato quando la regina Camilla, dopo avere anche lei ricevuto la corona, gli si è avvicinata per porgergli omaggio come prevedeva il rituale. Ha accennato a un inchino, guardandolo negli occhi. Per un attimo, un solo attimo, hanno sorriso, e sembravano dirsi: «Hai visto dove siamo? Ma l’avresti mai creduto?». Insultati e vilipesi per buona parte della loro vita, messi all’indice persino dal libro di un loro parente stretto, ieri erano nel luogo più sacro agli inglesi, appena incoronati dal rappresentante anglicano di Dio sulla Terra, incaricati di regnare in suo nome sul Regno Unito e sui reami d’oltremare. Fuori dall’Abbazia, migliaia di persone li avevano applauditi al loro passaggio e li attendevano per applaudirli di nuovo al ritorno a Buckingham Palace. Non si era mai vista tanta folla festante sul Mall, insensibile alla pioggia che cadeva battente. E improvvisamente, i sondaggi che davano la popolarità della monarchia in declino sono svaniti nel nulla. I contestatori repubblicani erano pochi, e quei pochi erano stati portati via dalla polizia prima di combinare qualche guaio. Solo il principe Andrea è stato fischiato quando è passato sul Mall, ma se lo meritava.IL RITO PERFETTOLa cerimonia è andata come vanno tutte le grandi cerimonie britanniche: splendidamente bene, con qualche piccolo intoppo subito risolto, con i magnifici soldati a cavallo e a piedi, bagnati fino alle ossa, 7.000 in tutto, e 19 bande musicali a scandirne il passo. Carlo e Camilla sono usciti da Buckingham Palace alle 10,20, le 11,20 in Italia, sulla Diamond Coach, la carrozza più comoda, dotata di ammortizzatori e aria condizionata. Si diceva che Carlo avrebbe indossato una divisa, invece portava l’abito cerimoniale già usato da suo nonno Giorgio VI, con la mantella di ermellino. Sulla porta dell’Abbazia l’ha accolto un ragazzo di 14 anni, Samuel Strachan, il membro più “anziano” del coro: «Maestà, come bambini del regno di Dio le diamo il benvenuto in nome del Re dei Re». Carlo ha risposto: «Nel Suo nome e dopo il Suo esempio io vengo non per essere servito, ma per servire». Le procedure dell’incoronazione di un re inglese sono scritte nel Liber Regalis, che da più di mille anni è custodito nell’Abbazia. La cerimonia è cambiata poco: essenzialmente un rito sacro, adattato con il passare dei secoli ai mutamenti religiosi, politici e sociali nel frattempo avvenuti.Carlo, come devono fare i re, è entrato per ultimo nel tempio, dove lo attendevano 2.200 invitati, quasi 6.000 in meno di quelli che avevano assistito all’incoronazione di sua madre Elisabetta nel 1953. C’erano capi di stato (per l’Italia il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) e di governo, ma anche per la prima volta decine di re e regine, principi e principesse venuti da ogni parte del mondo. C’erano anche 850 persone comuni, invitate per i loro meriti sociali e civili, per il loro impegno a favore della comunità. C’erano, di nuovo per la prima volta, anche rappresentanti di altre fedi, compreso il Segretario di Stato del Vaticano Pietro Parolin. Le due Chiese stanno facendo pace, ma all’incoronazione di Elisabetta era vietato ai cattolici entrare nell’Abbazia.I PASSAGGIA fianco dell’Arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, Carlo ha percorso la navata con un’espressione assorta, persino un po’ triste, consapevole del momento storico di cui era protagonista. Avrà pensato a quando, nel 1953, a cinque anni di età, era entrato in quella stessa Abbazia per assistere all’incoronazione di sua madre: gli avevano impomatato i capelli in un modo orribile, e si sentiva a disagio. Dietro di lui c’era ieri un altro bambino, pettinato meglio, il principe George, 9 anni, che sorreggeva il lungo mantello del re con altri ragazzi. Quando toccherà a lui, si ricorderà di questo giorno. Carlo era visibilmente teso ed emozionato, preoccupato di sbagliare qualcosa o che qualcosa andasse storto. Ha pronunciato le formule di rito e il giuramento leggendone il testo da un libro tenuto aperto al suo fianco, anche quando si trattava di risposte brevi come “I am willing”, “I solemnly promise to do so”, “I will”. Ha dovuto giurare, lui che in cuor suo crede in un Dio ma pensa anche che non importi da quale religione venga rappresentato, di difendere la fede protestante anglicana, della cui Chiesa è capo supremo. Ma ha introdotto così tante novità nella sua incoronazione da far capire che intende cambiare molte altre cose pur nel poco tempo che, rispetto a sua madre, avrà per farlo.LA SACRALITÀLa parte più sacra della cerimonia è rimasta la stessa, con l’unzione da parte dell’Arcivescovo nascosta agli occhi degli astanti da quattro pannelli disegnati dallo stesso Carlo con un albero che aveva 56 foglie, tante quanti sono gli stati del Commonwealth. Welby ha unto le sue mani, la testa e il petto con l’olio profumato consacrato nella Basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme, ripetendo l’unzione di re Salomone descritta nella Bibbia. Lo si fa da secoli allo stesso modo: Elisabetta I, nel 1559, aveva detto che l’olio sembrava grasso, e puzzava. Dopo l’incoronazione con la leggendaria corona di Sant’Edoardo, che Welby ha spinto con cura sulla testa del re per assicurarsi che non cadesse, Carlo ha abolito l’interminabile omaggio dei duchi, dei conti e dei baroni al Sovrano mantenendo quello, obbligatorio, del figlio erede al trono, che si è avvicinato e gli ha detto: «Io, William, principe del Galles, prometto la mia lealtà a te, e fede e verità ti porterò come tuo vassallo, con la vita e l’incolumità. E che Dio mi aiuti». Poi ha baciato suo padre su una guancia. Carlo, commosso, ha sussurrato: «Grazie, William».Harry era seduto in terza fila, non così in castigo come si profetizzava. Non ha detto né fatto nulla, un’ora dopo la cerimonia era già sull’aereo per Los Angeles. Al balcone di Buckingham Palace, per il saluto di una folla immensa, si sono affacciati con i Sovrani solo i pochi royals in servizio, circondati dai nipotini. Meghan con i suoi veleni è solo un ricordo, ma se la cerimonia è stata così inclusiva, se vi hanno partecipato in ruoli chiave così tante persone di colore, di fede e di etnie diverse, il merito, dovrà ammetterlo persino chi proprio non la sopporta, è anche un po’ suo.

Maria Corbi per Sta
Carlo aveva un’aria perplessa, ieri, nella solennità di Westminster, quando l’arcivescovo di Canterbury gli posava sulla testa la pesante corona di Sant’Edoardo il confessore, un macigno di pietre preziose, storia e responsabilità. E nell’emozione del momento, in quello sguardo liquido, anche il timore per la sfida che dovrà affrontare: essere un re capace di unire la nazione, all’altezza del servizio della madre, Elisabetta II, difficile da dimenticare tanto che in molti ancora dicono «God Save the Queen». E non è solo l’abitudine. Eppure gli inglesi dovranno abituarsi al nuovo monarca, considerato per anni inadatto a questo ruolo, non solo per la sua movimentata vita privata, ma anche per quella sua voglia di dire sempre la sua, una delle poche cose che a un sovrano contemporaneo non sono consentite. Davanti a lui una dura salita, con un paese in difficoltà, isolato, che deve fare i conti con la Brexit ma anche con una crisi strutturale della sua economia e con la fine dell’Impero. Sarà lui, Carlo, l’ultimo re del Commonwealth, cioè di quell’insieme di Paesi appartenuti un tempo all’impero britannico? Certamente nei 14 paesi (su 56 che fanno parte della associazione di Stati) che lo riconoscono come monarca c’è un certo fervore indipendentista.
Due anni fa, al posto della madre, Carlo è andato a Barbados per presiedere all’insediamento della presidente Sandra Mason. E di qui a breve di queste gite di addio ne dovrà fare altre visto che le isole Antigua e Barbuda decideranno con un referendum se diventare una Repubblica, passo finale per completare il cerchio dell’indipendenza e diventare una nazione veramente sovrana. Il legame non è più lo stesso dopo l’era elisabettiana.
E non importa che alla vigilia dell’incoronazione i leader del Commonwealth fossero tutti a Marlbourough House, a Londra, per la foto ricordo con il re. Sono infatti molti i paesi che stanno riconsiderando il ruolo della monarchia. Sicuramente la Giamaica, dove il partito laburista al potere ha dichiarato l’obiettivo di tenere un referendum per diventare repubblica indipendente, entro il 2024. Ma anche il Belize è in procinto di cambiare aria. Mentre il dibattito riprende quota anche in Canada e in Australia, dove l’effigie del sovrano è stata spodestata dalle banconote da cinque sterline. Sugli eventuali referendum Carlo III si è espresso a giugno all’ultimo vertice tenuto in Ruanda: «Restare sotto la monarchia o diventare repubblica è materia su cui spetta a ogni Paese decidere liberamente». E ancora: «L’esperienza della mia lunga vita mi ha insegnato che cambiamenti possono essere concordati con calma e senza rancore». Da principe del Galles poteva permettersi di esternare senza fare troppo danni. Memorabile il rimprovero, nel 2019, all’allora presidente americano Donald Trump quando decise di non rispettare gli accordi di Parigi sulla lotta ai cambiamenti climatici dovuti al surriscaldamento dell’atmosfera terrestre. E pochi mesi prima della morte della madre, a giugno scorso, criticò la decisione dell’allora ministro dell’Interno Priti Patel di spedire gli immigrati illegali sbarcati in Gran Bretagna in Ruanda. «Mi sembra un’idea terribile», disse. Quando è diventato re, subito dopo la morte di Elisabetta, lo abbiamo visto innervosirsi per una penna che non funzionava. E la sentenza è stata senza appello: sarà un sovrano irascibile, con un brutto carattere. Ma è Camilla, la sua regina, a raccontarlo meglio, in una intervista concessa alla BBC: «È piuttosto impaziente. Vuole che le cose siano fatte entro ieri. È così che le fa».
Le regole, in assenza di una costituzione scritta, prevedono che il re sia politicamente imparziale e non esprima opinioni personali se non nell’udienza a tu per tu con il primo ministro. Ma sarà difficile che Carlo riuscirà a trattenersi quando in gioco ci sono le cause per cui si batte da sempre, i temi ambientali, l’agricoltura biologica, la medicina omeopatica e dei rimedi naturali, la difesa dell’architettura classica (che lo ha portato a esercitare la sua influenza per modificare progetti non graditi). Ma Sir Lloyd Dorfman, che ha lavorato con Carlo III per molti anni nel Prince’s Trust, non prevede che abdichi da queste sue battaglie. «È molto ben informato, molto efficace. È difficile immaginare che rinuncerà a tutto questo». E si è visto anche nella cerimonia di incoronazione dove dettagli hanno ricordato le sue convinzioni, come il paravento, servito a nascondere il momento dell’unzione con l’olio santo, e fatto di pannelli ricamati con disegni “ecologisti”. Certo Carlo III è ben preparato visto che il suo “apprendistato” è durato 70 anni, e ha visto passare generazioni di leader mondiali, tra cui 16 primi ministri del Regno Unito e 14 presidenti degli Stati Uniti. E consapevole della necessità di essere meno esplicito. «Non sono così stupido. Mi rendo conto che essere un re è diverso», ha detto in un’intervista alla BBC nel 2018. «L’idea che mi comporterò nello stesso modo è un’assurdità». Una frase che da ieri è alla prova della storia. Tanto più che dovrà tenere unita la Chiesa anglicana sempre più frammentata nelle componenti nazionali che formano la Comunione da lui guidata.—
Antonello Guerrera per Rep
Tra le maestose navate gotiche di Westminster Abbey, i duemila invitati tuonano “God Save the King!”, “God Save King Charles!”.Ma lui, re Carlo III, sembra solo. Spaurito, gli occhi addolorati di fronte al suo glorioso destino: il più vecchio monarca britannico, 74 anni, finalmente incoronato come sua madre e gli altri 38 predecessori dell’ultimo millennio. «Sono qui per servire, non essere servito», proclama il re, trepido quasi come il balbuziente Giorgio VI. Al nonno e a mamma Elisabetta si è ispirato per questa straordinaria cerimonia.
Quanto gli “pesa” quella corona di Sant’Edoardo, direbbe l’Enrico IV di Shakespeare, in questa cerimonia dal cuore senescente e forse decadente, dominata dalla vecchia guardia della monarchia britannica e dal 67enne arcivescovo di Canterbury Justin Welby. La “crown” è sempre la stessa, con 400 gemme, sin dal 1661 dopo la distruzione dell’originale inflitta da Oliver Cromwell. È stato un infinito viaggio per Carlo riuscire a indossarla e sono lunghe anche queste due ore di cerimonia antiquata e sfarzosa, che il Regno Unito e centinaia di milioni di persone nel mondo non avevano visto per 70 anni dopo l’incoronazione di Elisabetta II. Perché questo è il passaggio esistenziale di un primogenito eccentrico e irascibile, che finalmente diventa re, bacia la Bibbia, accarezza il globo d’oro divino e si siede sulla leggendaria Coronation Chair del XIV secolo.
Poi però, nonostante l’assenza di “mommy” Elisabetta, Carlo non è più solo. Infatti sorride due volte, in questa cerimonia multiculturale e multireligiosa al ritmo di salmi, l’inno nazionale, quello dell’incoronazione di Andrew Lloyd Webber, Purcell e canti gospel. La prima è quando William si inginocchia, dichiara devozione al padre benedetto dall’olio sacro dietro paratie made in Bergamo e lo bacia sulla guancia: «Thank you, Will…». Ma Carlo splende anche quando Camilla viene incoronata. Per lui è una rinascita, la rivincita di una vita.
A differenza del consorte, Camilla pare molto più rilassata. Abbozza sorrisi, un sereno fatalismo, finalmente la pace. Addio rottweiler, addio “donna più odiata del Paese”, addio Parker Bowles. A lei tocca la corona di Queen Mary e lo scettro di avorio di Maria Beatrice d’Este nel 1685. E quando l’arcivescovo di Canterbury le barda la testa, lei alza il braccio e quasi se la sistema da sé. Come ha sempre fatto con la sua vita e reputazione, nonostante Diana. Regina, per sempre.
I veri reietti della Royal Family ora sono altri. Di nome fanno Harry e il famigerato Andrea fischiato dalla folla. Li chiamano ancora principi ma in famiglia reale non contano nulla. Arrivano in automobile invece che in carrozza, li relegano ai banchi in terza fila, dove Harry ha la visuale offuscata persino dalla piuma del cappello della zia principessa Anna. Il secondogenito ribelle, arrivato da solo dalla California per timbrare il cartellino e tornare da Meghan, Archie e Lilibet dopo nemmeno 24 ore, a metà cerimonia sciabola un’occhiata al fratello William. È il suo unico graffio, triste, solitario y final, prima di sparire e di volare via, senza parlare con nessuno.
Ma “the show must go on”, e lungo il Mall, tra Buckingham Palace e Westminster Abbey, decine di migliaia di curiosi e fedeli monarchici salutano con Union Jack il re e la regina che si avviano sulla carrozza Diamond Jubilee alle 11 locali per poi ritornare a palazzo sulla dorata Gold State Coach. Sono tanti i fan, ma non tantissimi e di mattina si arriva piuttosto facilmente alle barriere. Nulla a che vedere con il recente Giubileo di Platino di Elisabetta. Carlo non è ancora un re di cuori, come sua madre o Lady Diana.
Come previsto, la pioggia inizia a battere forte, ma come dice un commentatore della Bbc, «questo è un tipico giorno di primavera inglese, è solo un po’ umido…». Fatto sta che la parata degli aerei Raf viene ridotta per maltempo e sulla balconata, a fine giornata insieme a Camilla, l’incoronato Carlo saluta la folla fuori da Buckingham Palace per presentare al mondo la sua “monarchia snella” osteggiata dalla sorella Anna: spariti Harry, Meghan e prole, ma anche Andrea e le figlie Eugenia e Beatrice, oltre alla Queen. È la nuova, ristretta “ditta”. Mai si era vista una balconata così sfiorita a Buckingham Palace.
Jill Biden vestita di blu, lady Zelensky, Emmanuel e Brigitte Macron, Felipe e Letizia di Spagna, Alberto di Monaco, Abdullah e Rania di Giordania, i sette ex primi ministri britannici, il presidente italiano Sergio Mattarella che poi visita la National Gallery per una nuova mostra su San Francesco. Cento leader e capi di Stato arrivano a Westminster Abbey entro mezzogiorno, tra 30mila agenti e 7mila soldati, beefeater e pelose Irish Guards. Infine, ecco Carlo e Camilla, costretti a uno stallo in carrozza di qualche minuto. Perché, per errore, William, Kate vestita “Union Jack” da Alexander McQueen e i figli arrivano dopo di loro.
Il primogenito e principino George, secondo in lizza per il trono e paggio di nonno Carlo, sul volto intreccia stupore e inquietudine al pensiero che tutto questo capiterà anche a lui. Il dispettoso fratellino Louis, invece, come al solito ne combina di tutti i colori: smorfie con la sorella Charlotte, sbadigli plateali, canta “God Save the Queen”, invece di King. A un certo punto scompare dal banco di famiglia. Punizione? Mistero.
Di certo, fuori vengono puniti severamente gli anti-monarchici. Arrestati decine di attivisti repubblicani “Not my King”, tra cui il leader del movimento Republic, Graham Smith. Colpa: avevano un megafono. La nuova controversa legge sulle manifestazioni, approvata qualche giorno fa dal governo Sunak e bollinata da Carlo, punisce chi «molesta grandi manifestazioni sportive o culturali». Bufera su Scotland Yard, indignazione di Human Rights Watch: «Non si può più contestare in una democrazia?». Anche per questo, a Liverpool ieri i tifosi hanno subissato di fischi “God Save the King”. Pesante è la testa del re incoronato.