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 2023  maggio 07 Domenica calendario

Mutui impossibili

Due stipendi sopra i 2 mila euro. Famiglie alle spalle che possono dare una mano. «Siamo dei privilegiati, lo so», dice Anna Parolini. Solo che «neanche un privilegio basta» per comprare la casa giusta a Milano. Anna, 39 anni, project manager, e il compagno Agostino, programmatore, ora vivono in un appartamento di 70 metri quadri nel quartiere Città studi. Andava bene, ma vorrebbero fare «il grande salto», allargare famiglia e spazi. «Sotto i 650 mila euro in zona non si trova nulla – racconta – sarebbero oltre mille euro di mutuo, troppo per il costo della vita di Milano. Stiamo considerando di uscire fuori, ma già impiego 45 minuti per arrivare al lavoro. E se devo andare a Gorgonzola, con tutto il rispetto, torno nella mia Brescia». Anna e Agostino allora restano nel limbo, aggrappati al loro posticino nella metropoli, resistendo alla forza centripeta che li spinge via: «Non più giovani e non del tutto adulti». Storia comune: perché nel limbo della casa impossibile, nuovo fronte delle diseguaglianze, sono intrappolati sempre più italiani. Soprattutto nelle grandi città più attrattive, dove i metri quadri sono contesi tra lavoratori qualificati e non, studenti, fondi immobiliari e affitti turistici. Soprattutto tra i più giovani: universitari alla ricerca di affitto, lavoratori a inizio carriera. Dove sono le opportunità, per loro non c’è spazio.
Emergenza nazionale
Così, nel Paese dove oltre 7 famiglie su 10 possiedono casa, con 35 milioni e 271 mila abitazioni di cui quasi 9 milioni e 600 mila non abitualmente occupate, l’abitare sta diventando emergenza. Tre emergenze. La prima nelle aree interne, che lo spopolamento condanna al degrado. La seconda, la più drammatica, nelle periferie, dove un milione e mezzo di famiglie vivono un “disagio abitativo”, non riescono o fanno molta fatica a pagare l’affitto. La terza, la più nuova, nelle città “calamita”, da cui la (presunta) classe media viene invece respinta o espulsa.
Bisogna guardare un numerino,si chiama indice di accessibilità: misura la percentuale del reddito di una famiglia necessario a pagare un mutuo per comprare casa. Oltre 30 il peso è troppo, la casa inaccessibile. Per l’Italia il valore è 15, ma in un Paese divaricato la media inganna. Scorporando i dati per Comune, come ha fatto il think tank Tortuga, si scopre che quasi un municipio su cinque è in zona rossa: lì una famiglia “media” non può permettersi l’acquisto. Quali? Le località turistiche, come Cortina o la Costiera Amalfitana. Ma soprattutto capoluoghi del Centro e del Nord che sommano opportunità di studio, di lavoro e turismo: Roma (33), Milano (35), Bologna (34), Firenze (41), Napoli (47), ma anche Padova e Verona. «È un’emergenza», dice Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma. «Una fascia crescente di popolazione è esclusa dal mercato della compravendita e una altrettanto grande dalla locazione».
Quindici metri quadratiStime inquietanti, visto che precedono la stretta monetaria della Bce, che sta facendo impennare i tassidei mutui e stringere i cordoni del credito: nei prossimi mesi sarà in banca la prima barriera, specie per chi ha contratti precari o per le famiglie con un solo reddito. L’altro motivo per cui il problema sta esplodendo è il ritorno in massa verso le città, dopo la fine del Covid e della parentesi smart-bucolica: negli ultimi due anni il prezzo a metro quadro è ripartito, con incrementi di almeno il 4% nei grandi centri del Nord, e anche più alto per gli affitti. Ma è sbagliato ridurre tutto ai costi, che perfino a Milano sono cresciuti meno che in altre metropoli europee. Il problema più strutturale è il rapporto con le buste paga, ferme da trent’anni ed erose dall’inflazione: «Nelle città europee sono molto più alte: è questa la criticità per chi arriva da fuori come studenti o neolaureati», spiega Massimo Bricocoli, direttore del dipartimento di Architettura e Studi urbani del Politecnico di Milano.
Il suo Osservatorio casa abbordabile ha fatto i conti per Milano: dal 2015 al 2021 i prezzi di vendita e affitto sono saliti tra il 25 e il 30%, i salari del 7. Una perdita di potere d’acquisto immobiliare che misura in metriquadrati: se nel 2015 un quadro poteva permettersi con il suo stipendio 37 metri nuovi o 64 di usato da ristrutturare, nel 2021 è sceso a 30 e 51 metri. Per un operaio, salario di 1.500 euro, l’accessibilità del nuovo è scesa da 19 a 15 metri, una stanza, l’usato da 33 a 25. Ma anche un laureato del Politecnico a un anno dalla laurea guadagna in media 1.550 euro. Significa che a Milano comprare casa è un miraggio, al massimo può affittare un posto letto.
Due mesi di frustrazione
Se Milano è l’emblema, Bologna segue a ruota. «Ti racconto i due mesi più frustranti della mia vita», attacca Dario Punzi, 36 anni, che lavora nel marketing di una multinazionale alimentare e ha accettato di trasferirsi con la compagna, ora alla ricerca di lavoro, da Roma al capoluogo emiliano. Con un contratto indeterminato da 30 mila euro netti l’anno credeva di non avere problemi ad affittare. Finché nella vetrina di un’agenzia immobiliare, a fianco alle case in offerta, ha visto la bacheca di chi domanda: «Coppia di medici cerca…, Diplomatico con famiglia cerca… budget 2.500 euro».
Inizia l’Odissea. Bilocali a non meno di mille euro al mese, bagni nei sottoscala, garanzia di due contratti – non uno solo – e sei mesi di fideiussione. Dopo l’ultimo affitto sfumato («la signora ha deciso che “con Airbnb si guadagna di più”), i due hanno ripiegato ad Anzola, 15 chilometri fuori Bologna, tra la via Emilia e il West. «Dovremo prendere una seconda macchina, spese in più, ma almeno abbiamo un posto».
Negli ultimi mesi, a Bologna e in tutta Italia, gli affitti turistici sono finiti sul banco degli imputati: dopo il Covid, Airbnb & Co. sono tornati a occupare spazi crescenti nei centri storici. I dati non sono univoci: l’Associazione italiana gestori affitti brevi calcola 600 mila annunci online, l’1,7% del totale delle case e il 6,3% di quelle non occupate. Il numero, anche nelle grandi città, è inferiore a quello delle abitazioni lasciate vuote, da proprietari che non possono o non vogliono affittarle, magari spaventati da problemi di morosità. Anche le case che ci sono, quindi, restano sottoutilizzate, indipendentemente da Airbnb. Le storie però raccontano di tanti proprietari che si spostano dall’affitto tradizionale a quello breve, più lucrativo e meno rischioso, togliendo metri quadri dal mercato. Dice Francesca, 43 anni, libera professionista di Verona che «il centro sta facendo la fine di Venezia: dovrò lasciare il mio monolocale perché ci vogliono fare una locazione turistica. Andrò a vivere a Mantova, pur avendo l’ufficio qui».
Disuguaglianze al quadrato
La “turistificazione” delle città è solo un aspetto di un fenomeno più ampio: nell’Italia dei proprietari di casa, forse proprio per questo, da anni sono scomparse le politiche abitative. Lo mostra il buco nero dell’edilizia pubblica e sociale, che all’estero è anche per la classe media: da noi copre meno del 5% delle abitazioni, non basta neppure per i più poveri. Mentre le risorse per la casa, mezzo punticino di Pil, sono la cenerentola delle politiche sociali. Nel frattempo la casa è diventata sempre più rendita, sempre meno abitazione.
Undici assessori di città amministrate dal centrosinistra hanno appena sottoscritto un manifesto per il rilancio delle politiche abitative, chiedendo risposte al governo. «Difendere il sistema attuale significa difendere l’iniquità, ma i sindaci non hanno le leve economiche e una svolta a livello nazionale mi pare difficile», dice Luca Dondi di Nomisma. Vedere la rimozione dal dibattito della questione tasse, nonostante tutte le organizzazioni internazionali ci raccomandino di spostare l’imposizione dal reddito alla rendita, che almeno per gli affitti cresce molto di più. La riforma del catasto, primo passo per redistribuire i pesi, è stata stralciata dalla nuova delega fiscale del centrodestra. «I giovani sono agganciati alle famiglie attraverso il patrimonio – dice Bricocoli del Politecnico – e questo produce una divaricazione crescente tra i figli di famiglie che possiedono e quelli che contano solo sul proprio stipendio». Disuguaglianza tra chi ha casa e chi non ce l’ha. Tra chi la possiede nelle città delle opportunità e chi lontano. Disuguaglianza al quadrato, che lascia fuori dalla porta sempre più italiani.