Domenicale, 7 maggio 2023
Tutte le parole italiane venute dall’oriente
Che cos’hanno in comune le parole albicocco e alchimia, ambra e zaffiore? Per saperlo, basta consultare qualsiasi dizionario che informi sull’etimologia: facile accertare che si tratta di termini giunti, più o meno direttamente, dall’arabo. È la lingua orientale che ha irradiato i suoi influssi lessicali e culturali sulle lingue d’Europa soprattutto attraverso l’italiano (in Sicilia o nei fondachi d’Oriente) e attraverso lo spagnolo (dai minareti iberici di Al-Andalus). Per avere un’idea più precisa di quali siano i sentieri talora tortuosi, e talaltra sorprendentemente diretti, che hanno portato queste parole e queste cose dall’Oriente alle nostre terre servono strumenti più raffinati. Servono cioè guide e portolani della lingua, che forse non è facile consultare ma di cui è utile conoscere l’esistenza e la disponibilità.
Partiamo da una constatazione: il migliore vocabolario etimologico del francese (il Französisches etymologisches Wörterbuch) non è scritto in francese, ma in tedesco. Fu fondato e diretto da uno svizzero, Walther von Wartburg. E il migliore vocabolario etimologico dell’italiano, il Lessico Etimologico Italiano, si produce («non si fabbrica, si fa», disse una volta uno dei suoi autori, prendendo a prestito un motto della pubblicità) in Germania, a Saarbrücken. Il LEI iniziò ad uscire nel 1979 sotto la direzione del grande Max Pfister (1932-2017); succesivamente è stato diretto o co-diretto dal suo allievo Wolfgang Schweickard e da Elton Prifti. Il censimento delle parole d’origine latina, fascicolo dopo fascicolo, occupa attualmente una ventina di grossi volumi e naviga tra le lettere D ed E.
Molti di coloro che lavorano nel cantiere di questo vocabolario sono linguisti italiani per origine e formazione. Ma è un fatto che l’aria che si respira di là dalle Alpi sembra conferire tono e salute a simili imprese. Lo studio delle lingue e delle culture neolatine pare realizzarsi felicemente nella forma di amoroso incontro fra materia (anche grigia) romanza e intelligenza (o fatica) germanica. Sui confini tra lingue e culture, insomma: confini cruciali anche nell’ultimo lavoro uscito da questa fucina.
La serie principale del vocabolario illustra tutto ciò che all’italiano e ai suoi dialetti arriva dal latino. Ad essa, il Lessico etimologico italiano ha affiancato da tempo una serie parallela, quella dei Germanismi, ossia delle parole italiane d’origine – all’ingrosso – gotica o longobarda, di cui con perfetta simmetria si occupa Elda Morlicchio, una germanista attiva a Napoli, assieme al linguista pugliese Sergio Lubello.
All’alba del 2023, ecco aggiungersi una terza serie di fascicoli (si riuniranno in due grossi tomi, che usciranno nell’arco di qualche anno). Sono gli Orientalia, ossia le parole arabe, turche e persiane accolte, anche solo occasionalmente, nella nostra lingua e nei nostri dialetti. A farsene carico è il già citato Wolfgang Schweickard, tedesco di nascita, di studi e di costumi, architetto di vari altri monumenti di carta e inchiostro sorti attorno al corpo di fabbrica centrale del Lessico.
Il modello è già sperimentato: anche il citato vocabolario etimologico francese è dotato di una serie speciale, separata, dedicata agli apporti delle lingue orientali. Nel caso dell’italiano, lingua sommamente mediterranea, questo contributo è ancora più cospicuo. Per documentarlo, Schweickard ha spogliato minuziosamente la letteratura medievale e moderna sui pellegrinaggi in Oriente, gli zibaldoni dei mercanti e le relazioni degli ambasciatori, oltre naturalmente alla colossale produzione che, almeno dai tempi della scuola salernitana, traghetta in Italia la tradizione medica, fisica, naturalistica della civiltà araba. Per non parlare dei testi religiosi o di quelli dei viaggiatori, delle traduzioni filosofiche e di quelle scientifiche. Dall’arabo proviene dunque il grosso del materiale: ma a questa lingua sono state affiancate le due che con essa condividono percorsi di diffusione e luoghi d’irradiazione, cioè il turco, lingua dell’impero Ottomano, e il persiano, lingua di un Oriente spesso mediato da quello arabo nei suoi riflessi occidentali.
Il risultato è che la maggior parte delle parole confluite in questa raccolta riguarda termini occasionalmente raccolti nelle lingue orientali da visitatori culturali ed esposti ai lettori dell’Italia medievale o post-medievale: «una herba, chiamata da loro Afium, dalli antichi oppium», «uve secche, che si chiama zibibo», «In Egitto chiamasi il pane haeb». Queste parole restano perlopiù prive di discendenza nell’italiano. Ma alcune (come lo zibibbo dell’esempio appena citato, o quelle richiamate in apertura) vi si naturalizzano, facendo quasi perdere le tracce della propria origine. Così, nel fascicolo uscito (che parte da ’ab? e arriva ad a?hab) si ritrovano un gran numero di parole misteriose e rare, ma anche esemplari ben noti, come alambicco (arabo al-anb?q) ed elisir (al-iks?r), almanacco (al-man?k) e argan (arg?n). Di molte di queste parole una nota ricostruisce il percorso che all’italiano porta attraverso, poniamo, l’arabo e il turco (è il caso di asappo ’fante turco’), oppure il persiano e il turco (come capita per besestan ’mercato’). In altri casi si va dal latino al greco bizantino e da questo si passa per il turco (l’italiano giambrucco ’dogana’ alla lunga discende dal latino commercium, tramite il greco komerki e il turco gümürk). O ancora, si transita dall’oriente arabo attraverso l’occidente iberico (l’italiano giannetto ’cavallo’ passa attraverso il catalano). Le vie della lingua sono infinite. E il LEI «orientale», con una novità rispetto alle altre parti del grande vocabolario, non è redatto in italiano, né nel tedesco west-östlicher di Goethe: tutto qui è spiegato al lettore nell’inglese che oggi a quanto pare collega Oriente e Occidente.