Domenicale, 7 maggio 2023
Come cambia il dizionario
Il primo articolo che ho scritto per questo giornale – oltre vent’anni fa – prendeva spunto da un piccolo esperimento: avevo sottoposto alcune pagine di scrittori – Eco, Montanelli, Sciascia – alla verifica del correttore grammaticale installato in Word per Windows 98. Si trattava di uno dei primi correttori per la lingua italiana integrati in un programma di larga diffusione. Il correttore aveva ripreso Sciascia per la punteggiatura, Montanelli per aver usato ma a inizio di frase, Eco per una scelta lessicale considerata poco felice: nella pagina che avevo sottoposto a controllo compariva eccitante, che il programma giudicava «logoro e abusato» suggerendo, in alternativa, frizzante. Come è possibile, mi chiedevo, che uno strumento così avanzato dal punto di vista tecnologico sia così poco flessibile e aggiornato dal punto di vista grammaticale?
Non capivo, allora, che eravamo all’inizio di una mutazione profonda. Un cambiamento in cui alla dimensione umana, nel controllo della lingua, si affiancava qualcosa di automatizzato, di esterno, di non umano. Da allora – lo sappiamo – l’influenza dei dispositivi digitali nel nostro uso quotidiano della lingua, soprattutto scritta, è cresciuta in modo esponenziale. Gran parte delle parole che digitiamo sono filtrate da software che alimentano gigantesche banche dati in cui ogni segno grafico è analizzato, processato, valutato. È questo che permette ai nostri smartphone di suggerirci il modo di rispondere, di anticipare i nostri bisogni comunicativi, di correggere i nostri errori. È difficile dire quale sarà l’effetto di lungo periodo di tutto questo. È possibile che certe competenze maggiormente basate sulla memoria – quella ortografica, ad esempio – finiscano progressivamente con l’indebolirsi anche in coloro che ora le padroneggiano perfettamente. D’altronde, chi ricorda più un numero di telefono, oggi?
Anche strumenti di controllo linguistico tradizionali come i vocabolari hanno subito sensibili evoluzioni negli ultimi decenni. La transizione digitale in questo settore è iniziata, in Italia, alla metà degli anni Novanta quando ai volumi cartacei si sono affiancati i Cd-Rom. L’ordine alfabetico, che per millenni era stato l’unica soluzione possibile per la ricerca lessicale, diventava solo uno dei modi per orientarsi. Di colpo, era possibile fare agevolmente ricerche anche per desinenza, per datazione, per lingua di provenienza, ecc.
Tra i primi dizionari dell’uso a sperimentare il passaggio al digitale è stato il Dizionario Sabatini Coletti, pubblicato nel 1997 da Giunti in volume e Cd-Rom. Ora, a ventisei anni di distanza, esce una nuova edizione di questo dizionario, completamente rivista e disponibile solo in versione digitale. L’ha curata Manuela Manfredini insieme ai due autori, Francesco Sabatini e Vittorio Coletti.
Il tempo che ci separa dalla prima edizione permette di misurare i cambiamenti che sono intercorsi in questi decenni per strumenti come questi. In primo luogo, l’attenzione alla rappresentazione del femminile nella descrizione del lessico. Non c’è nuovo dizionario, oggi, che non valorizzi questa componente: c’è chi ha scelto di anteporre la forma femminile a quella maschile se precedente nell’ordine alfabetico (bella prima di bello, insomma); e chi – come appunto il Sabatini Coletti – ha optato per una soluzione diversa: affiancare le forme femminili nel lemma a quelle maschili: assessore assessora, avvocato avvocata, ma anche: antico antica, combinatorio combinatoria, ecc.
Questa innovazione recente si affianca a quella, di più lungo periodo, che riguarda l’impostazione stessa dei dizionari. Mi riferisco all’attenzione alla dimensione testuale del lessico. È un aspetto a cui il Sabatini Coletti ha prestato particolare cura fin dal principio: «L’intento fondamentale – si leggeva nell’introduzione all’edizione del 1997 – è stato quello di cogliere ed esaminare la lingua nella concretezza della comunicazione, in cui lessico e sintassi non sono separabili e le regole grammaticali non sono scindibili dagli usi testuali che le applicano e le modificano». Questa impostazione era figlia dei modelli grammaticali che si erano andati consolidando a partire dagli anni Ottanta: modelli che prestavano sempre più attenzione al contesto d’uso, alla situazione comunicativa, all’uso effettivo della lingua.
È un aspetto che è stato ulteriormente rafforzato nella nuova edizione. «L’obiettivo» – scrivono i curatori nella presentazione – «è quello di realizzare un dizionario che si consulta non solo per controllare l’esatta grafia e la corretta pronuncia delle parole poco note o per conoscere il significato di quelle ignote, ma altrettanto, e anche più frequentemente, per essere guidati nella costruzione delle frasi e per scegliere le parole con criteri di efficacia comunicativa». Indicativo, da questo punto di vista, il modo in cui vengono valorizzate le funzioni logiche che possono svolgere, nel discorso, espressioni come dunque, infatti, tuttavia, per cui, nondimeno oppure l’uso di ma a inizio di frase che era sembrato sbagliato al correttore di Word.
Questa attenzione alla dimensione funzionale del lessico mi pare vada incontro alla mutazione d’uso che questo strumento sembra sempre più destinato ad avere anche per effetto dell’evoluzione tecnologica. Quando ero bambino il vocabolario era l’unico strumento disponibile per verificare la grafia o il significato di una parola. È prevedibile che queste funzioni primarie siano in futuro sempre più supplite dai dispositivi che usiamo. Il vocabolario servirà per ricerche più complesse, più meditate, per i casi di cui di una parola vogliamo sapere veramente di più, capire come usarla meglio, in modo più preciso.