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 2023  maggio 07 Domenica calendario

Intervista a Lodo Guenzi

Frasi rubate prima della presentazione ufficiale.
Un caffè?
No, grazie.
Sicuro?
Non l’ho mai assaggiato.
Mai?
All’inizio non mi piaceva, poi è diventata una forma di originalità; se è per questo non ho neanche la patente, come Mentana e Guccini.
Bene.
Una volta Mentana mi ha intervistato per la Citroën: bel paradosso; (pausa) non mi sono mai neanche drogato. Solo una volta mi hanno messo qualcosa in un cocktail: sono andato di fuori.
(Lodo Guenzi è l’inaspettato. Con quei capelli perennemente arruffati, il viso rassicurante da perfetto fidanzatino di famiglia borghese, il tono della voce lieve e l’atteggiamento di chi davanti alle avversità sventola, a prescindere, bandiera bianca, all’improvviso può dimostrarsi altro. Può diventare uno che affronta la direzione ostinata e contraria pure se non ne è totalmente convinto; che sale sul palco di Sanremo “anche se non so cantare”; che chiama la sua band Lo Stato Sociale in un periodo in cui di “Stato” e di “Sociale” c’è ben poco; uno che accetta di recitare per Pupi Avati nel suo ultimo film, “La quattordicesima domenica del tempo ordinario”, e risultare bravissimo).
Insomma niente droga.
A una festa sui colli bolognesi mi hanno buttato qualcosa in un cocktail: sono stato male, ho smascellato tre giorni.
Non ricorda nulla…
Solo il viaggio di ritorno in macchina con Bebo (membro della band, ndr) e Fioco: siamo stati quasi sempre in silenzio, l’unico rumore che sentivo ero io che digrignavo i denti.
Perfetto.
Giorni dopo Bebo mi ha rivelato: “Vivevo un problema enorme e quella sera mi hai portato in un posto, mi hai parlato e lo hai risolto”; (pausa) il bello è che non ricordo minimamente cosa ho detto.
Quindi niente droghe.
Mi suscitano paura, soprattutto la cocaina; (ride) per me solo alcol, rock e tanta sfiga, anche se fino a 18 anni ero astemio.
E poi?
Sono entrato all’Accademia di Arte drammatica di Udine e ho subito una fascinazione culturale.
Cioè?
Se fossi nato in Afghanistan, magari figlio di un pastore, sicuramente sarei stato un appassionato di hashish; così in Friuli uscivo presto di casa e vedevo i vecchietti che alle nove stavano già al secondo bicchiere di vino e all’ennesima mattina ho iniziato a inquadrare l’alcol come cultura.
Violante Placido sostiene che è un grande attore.
(Sognante) Che tatona. Per favore scriva che le voglio bene.
Aggiunge che viene sottovalutato perché è un musicista.
Ora cosa rispondo? Che sono un gran fenomeno.
In che senso?
Non ho mai preso una nota, eppure mi inquadrano come cantante, già questa non è una prova attoriale?
Le note le prende.
Ma va là. Sono un disastro.
Esagerato.
Non sto scherzando: ho iniziato, vagamente, a suonare la chitarra dopo il 2015.
Quindi ha la sindrome dell’impostore.
Certo; resta che la parte della recitazione mi è più semplice rispetto alla musica.
Nel film è bravo.
Sento il mio personaggio.
Come mai?
Mi sembra la somma di una serie di amici le cui vite ho attraversato come un angelo della morte.
Tradotto.
In questi anni ho incontrato tante persone che sognano e provano a vivere di musica: qualcuno ci riesce, qualcun altro tenta di vendersi un po’, ma nessuno li compra; poi c’è chi si droga, chi ci rimane sotto, chi muore e chi va a lavorare in banca. E tu condividi con loro un momento di entusiasmo, quando si è tutti convinti che il domani sarà migliore.
Invece…
A te le cose vanno bene e agli altri no.
Si è sentito in colpa.
È una roba che ti fa stare di merda.
Pensa di aver tradito qualcuno?
Ognuno ha progetti, ma senti che il loro entusiasmo si è risolto in nulla.
Mentre il suo.
Si è risolto in una forma di successo.
Cos’è il successo?
Una forma di incompiutezza e un mancato appagamento sconfinato.
De André da sempre viene accusato di plagio. Lei ha mai “rubato”?
(Inizia, poi si blocca) Ora la mia risposta sembrerà una cazzata, ma giuro che sono serio: siccome non so suonare né cantare, quando rubo non se ne accorgono, perché esce fuori una roba un po’ pastrocchiata che appare mia.
Esempio.
Nel primo album ci sono pezzi che volevano risultare la copia esatta di altri brani, invece non c’entravano nulla.
Che differenza trova quando rivede i suoi concerti o i film in cui recita?
Di solito non vedo quei film; invece per i live cerco i video su YouTube girati dai fan: mi piace rivivere quell’atmosfera, perché il nostro pubblico è un popolo che si identifica nelle nostre canzoni.
Descriva il suo popolo.
Ceto medio riflessivo tra i 20 e i 35 anni che sta vivendo la fine del capitalismo e ha vissuto la fine del berlusconismo e non sa cosa c’è dopo; in dieci anni le cose sono cambiate.
Come?
Quelli che dieci anni fa stavano nelle prime file, scalmanati, oggi sono in fondo con un cocktail in mano, sostituiti dai ventenni; però quelle canzoni hanno compiuto un piccolo salto generazionale: noi le abbiamo scritte per raccontare la vita di chi oggi beve i cocktail, per raccontare di noi e di loro, ma oggi in mezzo ci sono i ventenni.
Quindi?
Per una banale questione ormonale il concerto è la festa dei ventenni e ti senti al centro di un party nel quale, in fondo, non sei invitato.
È un po’ morettiano.
Mi piace molto.
Moretti nell’ultimo film sdogana i “se” e i “ma”. Qual è il suo “se”?
Se la Comune di Parigi fosse durata un anno, la storia dell’occidente sarebbe diversa.
Il “se” personale…
(Ci pensa a lungo) Se avessi saputo dire di no a Sanremo 2021… Non volevo andarci.
Perché?
Non era giusto per noi; (pausa) nella vita resto sempre un passo indietro, tendo a farmi imporre le cose, ma se avessi realmente personalità avrei una carriera superiore.
Musicale o attoriale?
Non lo so, ma non sono spietato.
È un leader?
È una posizione che mi dà disagio, che non so sostenere; se lo sono, sono un pessimo leader.
Con quanto si è diplomato?
61 su 100.
Pochissimo.
Per l’orale ho portato un poeta italo-colombiano sconosciuto, Jose Walter Malaguti, bocciato quattro volte dalla commissione d’esame. E solo per dire: pure i geni vengono respinti.
Legge molto?
Poco, ma sono un po’ autistico e ricordo.
Cosa legge?
Preferisco le sceneggiature e la drammaturgia più che la saggistica: davanti alla pagina fitta mi viene l’agorafobia; sono sereno se vedo spazi bianchi.
Quando ha detto ai suoi: mi iscrivo all’Accademia?
L’hanno presa bene perché era un’attività ufficiale; mamma, giudice, mi ha sempre lasciato libertà di scelta a patto che non prendessi la sua strada; papà è un professore universitario, sempre stato super tranquillo.
Perché Avati l’ha scelta?
Credo che sia un’intuizione di Antonio (il fratello di Pupi, ndr), una delle sue belle follie. Avrà pensato: prendiamo uno in grado di tenere la parte, riconoscibile, di Bologna, non associabile immediatamente al cinema e musicista.
Frotte di attori pagherebbero per girare con Avati.
Li capisco: è stata una delle esperienze più belle della vita.
Spieghi.
È una persona che immediatamente si mette a nudo, mette in campo ragioni e storie fragili di cui qualcuno potrebbe vergognarsi; lui ha il coraggio di affrontarle e automaticamente tu, davanti a lui, devi stare sullo stesso livello altrimenti diventi uno stronzo, come uno che gira in un campo di nudisti con il cappotto; (pausa) recitare per Avati è un percorso quasi taumaturgico, ti guarisce come essere umano.
Si è chiesto come mai uno così è di destra.
Vale la stessa risposta che ha dato lui su Dante: “Non è di destra, è un poeta”; credo sia legato a un mondo di tradizioni anche rassicuranti, poi c’è la parte legata all’amore che lo rende quasi francescano.
Quali consigli le ha dato sul set?
Mi ha raccontato cosa c’era dietro le parole del personaggio, nei dettagli, con aspetti privati della sua vita. Ha un orecchio straordinario: si accorge alla perfezione se pronunci una sillaba senza la giusta intensità.
Era angosciato prima del ciak?
Sì, ma non per il film: avevo da giorni una congiuntivite terribile e ho girato con la preoccupazione di svegliarmi con un occhio enorme; mentre sulla recitazione sono un po’ presuntuoso e ogni volta mi dico: lo hai già fatto, non avrai problemi.
Finalmente un po’ di presunzione.
Quanto li invidio.
Chi?
I presuntuosi tipo gli Oasis che all’inizio suonavano nei pub con quattro persone davanti, ma erano convinti di diventare la più grande band del mondo.
Da solista ci si vede?
Mi occupo di musica per stare con gli amici.
È egocentrico?
Sì.
Narcisista?
Credo di sì, ma ormai lo sono tutti gli uomini.
L’accusa più frequente.
Per anni gli altri della band mi hanno rimproverato di essere un “ministro della fretta”, ora si lamentano perché spesso sono altrove.
Hanno ragione?
All’inizio ho rincorso tutti per ottenere un colloquio, per raccontare di noi, poi quando ho ottenuto l’attenzione di tanta gente, di troppa gente, mi sono sentito a disagio e ho iniziato a scappare.
Cosa accade il giorno dopo aver cantato a Sanremo?
Il Festival è una delle sensazioni più inebrianti, di onnipotenza: hai 5 minuti nei quali puoi scoprire se la storia che ti sei raccontato per anni è forte e può raggiungere chiunque, o se c’è un motivo per cui tutto il resto del mondo non ti ha filato.
Come si gestisce una cosa del genere?
Pianti, risse, scenate, botte.
Tra chi?
Noi della band: abbiamo passato l’estate successiva in maniera devastante; ricordo un concerto in Piazza del Campo, a Siena, davanti trentamila persone in festa e noi dietro il palco ad ammazzarci.
Lei che fa a botte…
Infatti le prendo, ma sono un passivo aggressivo inchiavabile.
Un provocatore.
Merito di essere menato.
Pure da piccolo.
Sono in giro con un monologo teatrale e la premessa è: mi picchiavano da ragazzino e vi spiego perché avevano ragione.
Vantaggi della fama.
Ti svegli la mattina e sai che se hai voglia di esprimere un’opinione troverai almeno uno ad ascoltarti.
È un buonista?
Spero di no.
Da giudice di X-Factor è passato per buonista.
Per il meccanismo televisivo quello era il mio unico spazio possibile.
La sua ossessione?
Di non avere abbastanza tempo.
È più una paura.
Per due o tre anni, nel massimo dell’esposizione, ero convinto che qualcuno avrebbe detto qualcosa di male su di me; poi ho capito un aspetto peggiore e liberatorio: gli altri non pensano a te quanto tu pensi agli altri.
Svantaggio della fama.
(Ride) Sul citofono ho sempre il mio nome e per molto tempo, tutte le notti, si sono attaccati alla suoneria; (ride) ora di sera la stacco.
Non ha tolto il nome.
Mi sembrava un atteggiamento da famoso vero, da uno che vuole apparire fenomeno.
I suoi colleghi si atteggiano da fenomeni?
A me i fenomeni un po’ piacciono.
Tipo?
Tommaso Paradiso lo è diventato con stile; con lui, da un po’, non ho più rapporti stretti, ma per una fase della vita è stato importante.
Meglio un David o la vittoria a Sanremo?
Il David, perché al Festival non torno per alcun motivo.
Lei chi è?
Un mitomane che coltiva un sogno di fallimento all’ennesima potenza.