Tuttolibri, 6 maggio 2023
Su "Conversazioni dopo un funerale" di Yasmina Reza (Adelphi)
Mentre il vecchio Simon viene interrato, Julienne ha un cruccio che pizzica e prude. La maglia della salute. Tenerla o toglierla? Fa caldo, infatti, ma chi se l’aspettava, a novembre?
Siamo in pochi e confusi, nella tenuta di famiglia nel Loiret - i tre figli del morto, lo zio Pierre con la moglie Julienne, la ex di un figlio - ma l’importuna maglia della salute imprime già, col suo peso intimo e prosaico, un alone umido e comico alla storia. C’è già tutta Yasmina Reza, col suo furore ilarotragico, in questa pièce scritta a soli 23 anni, Conversazioni dopo un funerale e che già nel 1983 l’ha consacrata al successo.
C’è già tutto sì. Ad esempio la morte, che affiora sempre e giocosamente nei suoi testi, dall’omicidio liberatorio, a sorpresa (in Babilonia, del 2016), alle ceneri caparbiamente stipate nella borsa da palestra (Felici i felici, 2013), ma anche l’amore conflittuale tra fratelli (qui come in Serge, 2021), e poi le coppie sempre in guerra e il tradimento, che infiamma e gela tra formalismi e vaniloquio. Qui è l’arrivo inatteso di Elisa, ex di Alex ma innamorata del fratello Nathan (con cui ha vissuto tempo fa una notte d’amore, e Alex lo sa, ma l’ama ancora) che muove l’ordigno narrativo. Perché, anzi per chi, è venuta questa donna «dalla faccia da pioniera, con la pupilla avventurosa»?
E andrà via davvero, come ripete ogni mezz’ora, o resterà a dormire in villa?, e con chi? E che fa Alex con le cesoie in mano?
Eccola qui la vita, mischiata al fango e al desiderio, alla noia e alla fame («già, chi fa la spesa per cena?»), e mentre Alex parla al padre che finalmente può ascoltarlo, perché è là sotto, con «le narici piene di terra», Nathan ed Elisa faranno l’amore tra i cardi e le ortiche, «per scacciare un dolore con un altro». E Edith, la sorella, rimpiange e aspetta l’antico innamorato Jean, sempre deriso e respinto.
Perché l’amore è indispensabile, anche se faticoso e deperibile. Ed è difficile, raro, essere felici - dice Reza - perché ci vuole un talento speciale, personale e incondizionato, una specie di grazia. Meglio raccogliersi nel più comodo e premuroso ego, e mentre il cicaleccio fra i presenti si avvita e svita sul filo dello zero termico, tra offese reticenze e blande rivelazioni, meglio pelare patate e rape, tutti insieme, e mettere al fuoco il bollito, aspettando che il tempo decida per noi. E ad esempio arrivi la pioggia, che è almeno un segno indubitabile.
«Siamo persone civili – dice Nathan alla sorella Edith – soffriamo secondo delle regole, ognuno trattiene il fiato, niente tragedie. Siamo discreti, eleganti, siamo perfetti».
No, proprio nessuno è perfetto, e da questa smania autodistruttiva non c’è scampo, perché se tutto è relazione (fra noi, fra me e me, fra me e le cose, noi e il paesaggio) tutto è attrito e sfregolìo, vincolo o aspettativa, sforzo di adeguamento, livore e nostalgia. Ed è così, sbeccati e macchiati, deformati, un po’ crepati e guasti, in pezzi, che ci sorprende il buio, a travisarci. «Momenti di buio - come si legge in didascalia - graduali o repentini», ma continui.
Certo, c’è la letteratura. Già qui, poco più che ventenne, Reza le riconosce un ruolo se non proprio salvifico, almeno medicamentoso, tanto che Pierre con applicazione legge al mattino Victor Hugo e la sera Baudelaire, mentre Alex, peraltro critico letterario, soffre perché non riesce a scrivere, e specialmente perché non ha «niente da dire».
«Sembra uscita da un romanzo», del resto, anche l’immancabile auto in panne di Elisa, che ritorna a casa dopo i saluti almeno tre volte, a ribadire un tempo che non scorre, e si ripiega su di sé, prosciugato, nel borbottio della grondaia rotta.
Ma sono (siamo) tutti vorticosamente in panne, coi fili scoperti e quella spia intermittente, indecifrata. Smarriti e irrisolti sino alla fine, tra vezzi borghesi e brividi intellettuali, lacrime e cigarillos, grappa e trabocchetti. Sempre sull’orlo, tra collera e impotenza, della resa dei conti che non torneranno. Non c’è ancora, in queste Conversazioni, l’umorismo spietato e la feroce ispezione dell’anima che segneranno i lavori successivi, ma c’è già - ad esempio in Alex - quel grumo di candore che nascondiamo a noi stessi come fosse una debolezza, quella forma di ingenuità scampata al tempo e alle violenze che per questa sua tenacia, e resistenza, ti commuove. Quella tenerezza che illumina sghemba, come un’insegna storta nella notte, molti dei suoi personaggi che verranno.
Il bollito è pronto, fine della pièce. Tutti illesi e tutti feriti, ma finalmente a tavola.
Se compare una pistola in un romanzo dovrà sparare prima della fine, certo. Ma Reza capovolge il detto di Čechov. Una storia può essere un’amabile strage anche senza mostrare la pistola.