il venerdì, 5 maggio 2023
Intervista a Emanuela Fontana - su "La correttrice" (Mondadori)
Roma. Il primo a parlarne è Massimo d’Azeglio, al tempo in cui tiene in conto più la pittura che la politica: con una punta di soddisfazione annuncia al suocero Alessandro Manzoni di avere trovato "una buona ragazza" che faccia da bambinaia alla figlioletta. Si chiama Emilia Luti, ha 24 anni. Suo padre, cancelliere in tribunale, è morto, e verosimilmente la povertà si fa sentire se lei, la più grande di quattro sorelle, nel 1838 lascia la sua Firenze per Milano, dove diventa la tata della piccola Rina, nipotina di Manzoni, rimasta orfana della mamma (Giulia è scomparsa a 26 anni, uno dei tanti lutti che angustiano l’illustre scrittore).
A Milano, in una casa frequentata da artisti e letterati, questa ragazza colta non passa inosservata e "don Alessandro" - nella sua tribolata ricerca di una lingua comune a tutti gli italiani vent’anni prima che l’Unità d’Italia fosse proclamata - chiede a d’Azeglio: "Ei, ei, Massimo, vorrai bene prestarmela, eh, la tua fiorentina".
Ecco, dunque, Emilia chinarsi con lui sui Promessi Sposi del 1827 (la Ventisettana), per la grande revisione che porterà all’edizione della Quarantana, quella definitiva. Rigo dopo rigo, pagina dopo pagina, a passo a passo, come racconta lo stesso Manzoni, è lei a correggere "abito positivo e modesto" in "abito semplice e dimesso"; le "vesti" in "vestiti"; a suggerire termini nuovi, come "spremi limoni". Collaborano insieme anche a unaparte delle postille del vocabolario milanese. Il bacio con lo schiocco, chiarisce la Luti, a Firenze si dice "bacione". Di quei quattro anni di lavoro restano 25 biglietti. Su una colonna le domande di lui, sull’altra le risposte di lei: la lingua italiana si va perfezionando così, con dei pizzini che fanno su e giù tra la casa dei d’Azeglio e quella di Manzoni in via Morone. Finché correggere i Promessi Sposi non diventa un lavoro a tempo pieno ed Emilia Luti trasloca nel palazzo dello scrittore. La "risciacquatura in Arno" è dunque anche, forse soprattutto, il risultato di questa collaborazione straordinaria.
Ignorata nelle scuole, a stento nominata nelle università, la tata di Firenze adesso è la protagonista di un romanzo Mondadori, La correttrice, in uscita il 9 maggio, firmato da Emanuela Fontana, insegnante, giornalista (e anche guida ambientale escursionistica).
Come mai è così poco nota questa vicenda? E lei quando ne ha sentito parlare?
"Mentre leggo un manuale per un esame universitario sulla lingua, mi imbatto in un capitolo dedicato a questa Emilia Luti. Nel libro è anche riprodotto lo schizzo dove lei spiega a Manzoni che cosa si intenda a Firenze per "scala a pioli". Ma quante cose non ci vengono insegnate, penso, come mai nessuno ha mai parlato di questa ragazza? Invece il professor Claudio Marazzini (presidente della Crusca dal 2014 fino a pochi giorni fa, ndr) le dedica un capitolo. Gli sono molto riconoscente, lo scriva se può".
E lei? Che cosa dice ai suoi studenti?
"L’anno scorso, in una seconda liceo, faccio girare tra i banchi le fotocopie con qualche pagina corretta: ragazzi, guardate quanti ripensamenti, che pasticci faceva anche Manzoni! Erano sbalorditi".
Da dove è partita per il suo libro?
"Da un piccolo saggio del 1936 di Emilio Sioli Legnani, Madamigella Emilia Luti, collaboratrice del Manzoni. Nel libro è allegata una fotografia, che la mostra ormai anziana, e ci sono alcune fotografie dei bigliettini e della pagina dei Promessi Sposi con la dedica. Poi, ho trovato informazioni inedite sulla vita e sulla famiglia. Il nonno era un impresario teatrale. La madre, Giovanna Feroci, doveva essere dotata di una certa arguzia. È da lei, infatti, che Emilia qualche volta si fa aiutare".
Però è curioso che ne abbia voluto fare un romanzo, e non un saggio.
"Inventare, come ci ricorda proprio Manzoni, in latino vuol dire trovare. Alla storia bisogna dare un’anima, tantopiù alle storie ingiustamente poco conosciute. Ho dovuto riempire dei vuoti sulla vita di Emilia. Ma il resto è tutto vero, testimoniato e provato. Quanto al saggio, sì, sono già al lavoro".
I biglietti, le lettere e la dedica ci mostrano un Manzoni ironico e affettuoso.
"La sua fede tormentata lo sosteneva nei lutti, ma credo che l’ironia avesse lo stesso peso della fede. Era anche modesto, dichiarava i suoi limiti. Definisce i Promessi Sposi "la mia tiritera". A Emilia scrive: "Le invio il mio colonnino...". Le lettere hanno sempre un tono scherzoso. Alla fine dell’impresa, le regala una copia con una dedica divertita: "Madamigella Luti, gradisca questi cenci da Lei risciacquati in Arno, che le offre, con affettuosa riconoscenza, l’autore". Al pittore Francesco Gonin, l’illustratore della Quarantana sempre in ritardo nella consegna dei disegni, scriveva cose come: "Dammi sempre tue nuove, che sai quanto mi son care, e ama sempre il tuo Manzoni". Andrebbero usate nelle scuole per spiegare ai ragazzi come comporre una email, e ottenere pronta risposta".
Nel romanzo lei lo descrive preda di una crisi di... di che cosa?
"In una lettera si definisce "convulsionario". La madre Giulia Beccaria racconta di un episodio avvenuto davanti al figlioletto Pietro, che ne resta sconvolto. Epilessia? Forse attacchi di panico. Cercava ordine in un fuoco interiore. Nonostante ciò, si mostrava sempre calmo. Leopardi lo definisce "pieno di amabilità". Un uomo di estrema mitezza, che poi è il sentimento che ti lasciano i Promessi Sposi quando hai finito di leggere: una sensazione di pace".
Manzoni, a non citare Emilia mai per bene, a non tributarle il posto che le spettava, ha sbagliato, no?
"Ma non chiamiamolo errore, direi invece pudore".
Guardi che non si offende.
"Sicuramente tra loro c’era una grande confidenza, e anche dell’affetto. Lui è roso da mille dilemmi (gli ultimi cambiamenti li apporta in tipografia) e lei lo incoraggia: la ricorderanno anche per tutti questi dubbi, gli dice nel romanzo. Nelle lettere, Manzoni sembra avere con lei lo stesso tono che riserva agli amici più intimi. Non nominarla potrebbe essere stato un modo per mostrarle rispetto. C’era un imbarazzo? Possibile. Non doveva essere facile giustificare la presenza al suo fianco di una giovane bambinaia".
Per curiosità, la fiorentina mise mano anche alla frase "questo matrimonio non s’ha da fare"?
"No, quella andava bene così".
Come si conclude il rapporto nella realtà storica?
"Proprio come nel romanzo, quindi non scenderei nei dettagli. Posso dire però che Manzoni, durante la pubblicazione della Quarantana, illustrata con oltre quattrocento vignette pagate di tasca sua, perse parecchi soldi. E non c’erano figli piccoli in casa di cui Emilia si potesse occupare. Comunque la fine del lavoro sui Promessi Sposi non è la fine della storia".
Dove si trova la copia con i ringraziamenti per la "risciacquatura" in Arno? Lei l’ha vista?
"L’edizione illustrata del 1840-’42 fu pubblicata a dispense e si chiuse con la Colonna infame. Poi Manzoni la fece rilegare e donò una copia a Emilia. C’è la foto della dedica nel saggio di Sioli Legnani. E anche Stefano Stampa, figlio della seconda moglie, nel suo libro ne fa cenno... Qualcuno deve avercela in casa, questa copia. Sono in contatto con gli eredi degli ultimi bambini di cui Emilia si occupò. Sono sicura che un giorno o l’altro salterà fuori".