la Repubblica, 6 maggio 2023
Intervista a Cesare Ragazzi
Il suo nome è sinonimo di capelli.
Capelli folti e resistenti. Nato nel 1941 a Bazzano, un piccolo comune vicino a Bologna, Cesare Ragazzi diventa famoso negli anni Ottanta attraverso alcuni spot televisivi in cui pubblicizzava il suo metodo per risolvere il problema della calvizie con l’innesto naturale. Per fare vedere che funzionava, in una storica réclame riemerge dall’acqua mostrando la capigliatura ancora perfetta.
Cesare Ragazzi, il suo tuffo in mare è entrato nell’immaginario collettivo degli italiani.
«Esatto. Diciamo che è entrato nella testa degli italiani. A tanti ho risolto un problema per cui non dormivano la notte. Tutto grazie alla mia idea meravigliosa. Si ricorda lo slogan vero?».
“Tutto può succedere a un calvo che si è messo in testa un’idea meravigliosa”.
«Proprio così. A essere sinceri questa frase è dell’agenzia di Milano che mi seguiva. Tutto il resto è mio, come la formula iniziale di tutte le telepromozioni: “Salve, sono Cesare Ragazzi”. Semplice e diretta. Ma soprattutto indimenticabile. Sono passati più di 40 anni e mi tocca ancora dirmi bravo, la trovo un’idea geniale. Anche quella di andare sott’acqua non era mica male».
Come le viene quell’intuizione?
«Volevo dimostrare che quello che vendevo era reale, senza imbrogli.
Perché se fai un lavoro sbagliato, appena ti lavi i capelli la chioma diventa come una pallina da tennis.
Ecco allora la scelta del bagno».
In quel periodo era nel campo della tricologia già da una decina d’anni. Il successo vero arriva con la tv?
«È innegabile. Solo davanti alla tv un uomo avrebbe ammesso di avere il problema della calvizie. Così cominciavano a telefonare. I nostri telefoni diventavano roventi. Ai tempi d’oro passare con uno spot su una rete nazionale, e parliamo di Fininvest, la Mediaset di allora, poteva farti avere più di cento chiamate al giorno. Erano in pochi quelli che rinunciavano a fare il colloquio. Un 20% poi lo convincevi a fare il trattamento».
Durante la giornata, quali erano i momenti migliori dove inserire gli spot?
«All’ora di pranzo. Poi sicuramente in mezzo agli eventi sportivi e di notte».
Scusi ma a notte fonda davanti alla tv chi c’era?
«Un sacco di uomini che si guardavano i film porno o erotici. E in mezzo chi saltava fuori? Io! “Salve, sono Cesare Ragazzi”. Quanti ne ho incontrati che mi hanno confessato di aver deciso di farsi vedere proprio a notte fonda. “Mi hai rovinato”, mi dicevano. Poi mi ringraziavano soddisfatti».
Le tv di Silvio Berlusconi le hanno dato una grossa mano.
«È stata la mia grande fortuna perché senza rovinarti riuscivi a farti conoscere in tutta Italia».
E il Cavaliere l’ha conosciuto?
«Ovvio. Quando veniva per le sue convention in Emilia, a Palazzo Albergati, aveva già la riga da una parte con il riporto. Per due volte ho provato ad attaccarlo per cercare di convincerlo a passare da me. Ma non voleva. Ancora oggi mi piacerebbe metterlo a posto».
Quando ha deciso di fare questo lavoro?
«Intorno ai 20 anni ho iniziato a perdere i capelli e mi è tornato in mente quando da piccolo vendevo le noccioline al cinema. Davano sempre un mucchio di western americani.
Quando gli indiani sconfiggevano i cowboy come trofeo gli facevano lo scalpo. Allora mi sono detto: se si possono togliere i capelli a un morto si possono anche mettere a uno vivo.
Da allora sono cominciati i miei studi per l’innesto naturale sul cuoio capelluto che sono poi approdati a realizzare la base della protesi con materiali polimerici e traspiranti. Era il 1968 ed è partito tutto da una cantina, il primo laboratorio».
Dalla cantina ha creato un impero.
«Sono riuscito ad aprire circa 80 centri in Italia. Più otto all’estero. Per 40 anni abbiamo avuto 700 stipendi.
Ma prima di arrivarci ho sofferto la fame e lavorato come un pazzo».
Che famiglia era la sua?
«Mio padre e mia madre erano braccianti e in casa c’era una fame che non si può immaginare. Tra gli 8 e i 20 anni ho fatto più di dieci lavori».
Per esempio?
«Il meccanico, il venditore porta a porta di padelle, il rappresentante, ho gestito un bar. Ho avuto anche un complesso musicale dove cantavo esuonavo: i Vagabondi. C’è stato un momento in cui addirittura facevo tre lavori al giorno».
Non si fermava mai.
«Volevo togliermi anche qualche soddisfazione e c’era solo un modo: lavorare. Ricordo quando comprai la prima auto, una 500 familiare che costava 30 mila lire. A forza di firmare della cambiali il braccio rischiava di prendere fuoco».
Non sarà rimasto tutta la vita con la 500.
«Be’ Maranello è qua vicino, qualche cavallino sotto il sedere l’abbiamo avuto. La Testarossa, un paio di Dino».
Una delle soddisfazioni più grandi?
«Aprire il centro a New York sulla 47esima strada, a un passo dalla Quinta. Non sapevo nemmeno dire buongiorno o buonasera in inglese.
Avevo imparato solo poche parole: bere, mangiare, dormire, lavorare, taxi e volare. Quarant’anni fa mi sono bastate».
Col tempo il suo personaggio diventa quasi mitologico.
«Ho iniziato ad andare in tv a fare delle comparsate. Mi hanno citato in decine di canzoni. Sono anche finito al cinema, con una controfigura, nel filmArrapaho di Ciro Ippolito. Da poco ho fatto un nuovo film firmato da Mario Chiavalin. È una commedia gialla dove faccio il maresciallo che indaga su una truffa. Si chiama La banda del Buffardello».
In tutti questi anni di attività chissà quanti vip sono passati dai suoi centri.
«Tanti personaggi noti sono venutida me: giocatori di serie A e B, gente che correva in bicicletta o in moto.
Protagonisti della tv».
Ci faccia qualche nome.
«Non posso. In tutti questi anni non ho incontrato nessuno capace di ammettere di essersi sottoposto all’innesto di capelli. Avrebbero confessato con più facilità un omicidio. Un po’ lo capisco, anche io ci sono rimasto male quando ho cominciato a perdere i capelli».
Quindi niente nomi?
«Va be’ dai, un cliente super famoso che poi è diventato un amico: Lucio Dalla. È uno dei pochi che non soffriva per la calvizie e ci scherzava.
Si è presentato da me quasi per gioco. Un giorno voleva essere biondo, un altro voleva le mèche. Una volta si era messo in testa di andare in tv e dire: “Salve sono l’apostolo di Cesare Ragazzi”. Mi manca molto».
Ora ha venduto tutto.
«Sì, l’azienda è stata comprata sei anni fa da un fondo d’investimento inglese. Nel frattempo, ho brevettato un altro tipo di impianto di capelli sicuro e funzionale che vorrei vendere».
Come passa le giornate oggi? Non sembra un tipo da giardinetti.
«Neanche per sogno. Ho 82 anni ma la vita mi piace e non mi arrendo: gioco a golf e a tennis e almeno tre volte a settimana faccio delle lunghe camminate. L’inverno poi vado a sciare. Per me è importante starebene fisicamente e curo molto l’alimentazione. Dentro mi sento ancora un ventenne. Mi piace anche andare qualche volta in discoteca.
L’altra sera ero in un locale a Bologna, a un certo punto qualche trentenne mi ha riconosciuto e il vocalist ha detto al microfono: “È qui con noi Cesare Ragazzi” e giù con gli applausi. Che ridere».
Ha qualche rimpianto?
«Forse non aver imparato l’inglese, mi avrebbe aiutato in certe situazioni».
Spesso il suo nome viene accostato alle celebrità delle televendite come Guido Angeli, Wanna Marchi, Roberto da Crema e Giorgio Mastrota. Le fa piacere?
«Eh no, piano. Loro vendevano delle cose, buone o cattive, non sta a me dirlo. Io vendevo e vendo una mia invenzione che risolve un problema estetico. È un po’ diverso. Io vendevo la mia idea meravigliosa. Perché c’è poco da fare, che piaccia o no, sono l’imperatore del pelo della cabeza».