Tuttolibri, 6 maggio 2023
Un romanzo inedito di Singer
Isaac Bashevis Singer è uno scrittore che non muore. Non solo perché la sua opera durerà nel tempo, ma perché diabolicamente lui resta in vita, continua a scrivere anche dopo la morte fisica avvenuta ormai trent’anni fa. Vi racconto come. Già mi pare di prendere il tono dei suoi libri. Nei suoi romanzi potenti lui comincia rapido, non ha tempo da perdere, va dritto come nelle favole: «Cinque anni dopo la morte della sua seconda moglie, Reg Meshulam si sposò per la terza volta». O «Il giorno incominciò con il verso di un singolo uccello». O «Daniel Kaminer si ammalò improvvisamente». Dice, mettiti a sedere che ora ti racconto. E dopo non ti puoi distrarre un attimo, pagina dopo pagina dà pennellate rapide, passa da un luogo all’altro, da un protagonista all’altro in modo subitaneo, inaspettato. Un personaggio è caritatevole in un capitolo e in quello dopo svela il suo cinismo, ama e odia, è fedele e traditore. I sentimenti, i pensieri, i destini si accavallano contraddittori, pazzi. Le strade, i negozianti, i bambini, la zozzeria e la bellezza, il gelo, i fumi, i cibi, le donne di malaffare, le ragazzine ingenue, il sesso, le cucine, le minestre, le bistecche, le torte, grembiuli, corpetti di seta, zucchetti e parrucche, sono tocchi di una tela gigantesca popolata da moltitudini di esseri vivi che ci pare di toccare.Questo mago della vita è entrato tardi nella mia. Alla fine degli anni settanta qualcuno mi ha regalato La Famiglia Moskat. Non ho potuto smettere un secondo di leggere, come mi capitava con i russi quando ero adolescente. L’aveva scritto trent’anni prima. Finito quello, il mio problema era procurarmene altri, subito, come una droga. Non potevo iniziare nessun altro scrittore. In edizioni tascabili scoprivo all’improvviso decine di volumi, un mondo sconosciuto e inaudito. Nella Polonia ebraica del seicento, dell’ottocento, del novecento, fino alla seconda guerra mondiale, viveva una popolazione meravigliosa, vitalissima, in cerca di Dio e delle più terrene passioni fisiche, correva e si dannava in strade strette, dove bambini giocavano per strada, e le comari si sedevano a commentare la vita come a Napoli. Entravo in luoghi, passioni, cibi, riti, espressioni bibliche, feste. Alla fine di ogni volume c’era un glossarietto con le parole ebraiche che imparavo a conoscere un volume dopo l’altro. Vivevo con loro e aspettavo la sera per farli di nuovo volteggiare intorno a me come folletti, maghi, santi, streghe e fate. Non ho mai pensato per un solo momento che i loro discendenti non fossero ancora in vita in quei paesi e in quelle città della Polonia.E poi, una nota dell’autore in una raccolta di racconti mi ha fatto vergognare di me stessa, per non averci pensato, per non aver collegato quel mondo alla sua scomparsa. Singer scriveva: «Più vivo con loro e scrivo di loro, più sono sconcertato dalla ricchezza della loro individualità e (dal momento che sono uno di essi) dai miei stessi capricci e passioni. Mentre da un canto spero e prego per la redenzione e la resurrezione, dall’altro oserei dire che, per me, tutte queste persone sono ancora oggi in vita. In letteratura, come nei sogni, la morte non esiste». Non aggiungeva nulla di più ma all’improvviso realizzavo che quell’universo così rigoglioso non era morto di morte naturale, le generazioni non si erano succedute una dopo l’altra con le loro memorie, rivoluzioni, eternità. No, non era andata così. L’ultima era stata cancellata dai nazisti e aveva ingoiato tutte le altre. Strade deserte, giochi e pentole abbandonate, case occupate da altri, parole dimenticate. Tabula rasa, nessuno, silenzio. E lì era arrivato l’immortale con la sua penna e aveva rimesso ogni personaggio al suo posto. Si erano di nuovo innalzate nell’aria le voci, i pianti, le risate, le tragedie e le commedie. Ora capivo perché quegli uomini e quelle donne erano così pieni di energia e perché lo scrittore passava da uno all’altro con la velocità del creatore, non c’era tempo, doveva scrivere di tutti, uno per uno, rimetterli in piedi e forse non gli sarebbe bastata la sua vita. Nella Polonia reale non c’è più nessun discendente di quei personaggi straordinari ma vivono tutti ancora e per sempre lì.Avevo finito di leggere i suoi libri, anche i due ambientati negli Stati Uniti. Era morto, non ne avrebbe scritti più. Ora sapevo anche tutto della sua vita, di come avesse raggiunto in America a trent’anni il fratello maggiore, scrittore molto conosciuto, autore di grandi romanzi come I fratelli Ashkenazi. Ero riuscita a trovarlo usato e l’avevo letto d’un fiato. Più asciutto, meno magico, lucido e pessimista ma perfetto. Poi era spuntata una sorella emigrata in Inghilterra, oppressa dal padre e dai due fratelli, che aveva lottato per riuscire a scrivere e aveva raccontato la sua storia in un romanzo. Anche Isaac aveva scritto di lei in un racconto che era poi diventato un film. Che famiglia!Ordinati tutti i volumi Singer in un ripiano della mia libreria, li guardavo, tra qualche tempo avrei potuto rileggerli, per fortuna le trame si dimenticano. Ogni volta che mi chiedevano chi erano i miei scrittori preferiti, lo citavo, a chi non lo conosceva regalavo subito il primo che avevo letto, sicura che avrebbe comprato tutti gli altri.Finché un giorno, anni dopo, mi è arrivato un pacchetto a casa, l’ho scartato ed è apparso un suo nuovo romanzo con una bellissima copertina. Ero senza parole. Me lo mandava Elisabetta Zevi, la sorella della mia agente, editor di una delle più belle case editrici italiane. Conosceva la mia passione e voleva farmi felice. Sapeva dell’esistenza di manoscritti inediti, li cercava con grande pazienza, li trovava, ne era la curatrice. Il romanzo nuovo era formidabile come gli altri. Da quel momento, sono usciti di lui e del fratello una decina di nuovi libri, l’ultimo l’ho ricevuto poco prima di scrivere questo pezzo. Li immagino nell’al di là, a braccetto, i due fratelli immortali, se la ridono di noi increduli. In letteratura e nei sogni, la morte non esiste.