la Repubblica, 6 maggio 2023
Intervista a Gustavo Zagrebelsky
«Iprofessori di diritto costituzionale, specialmente quando sono dei pusillanimi opportunisti, trovano sempre argomenti per giustificare le tesi più assurde: è il loro mestiere». A pronunciare queste parole non è un irriducibile capopopolo, ma il re Vittorio Emanuele III inviperito contro il principe dei Costituzionalisti di allora, prono nel 1938 alle richieste di Mussolini. La citazione potrebbe fungere da esergo del nuovo importante saggio di Gustavo Zagrebelsky, la cui intenzione di denuncia è dichiarata sin dal titolo Tempi difficili per la Costituzione (esce oggi da Laterza). Una riflessione grave e malinconica di uno dei più grandi costituzionalisti italiani sullo stato di salute della nostra Carta fondativa, che però non inclina a rassegnazione ma pone le premesse culturali e politiche per una lunga battaglia civile. Il libro esce alla vigilia delle consultazioni promosse da Giorgia Meloni per la Bicamerale sulle Riforme costituzionali.Perché sono tempi difficili per la Costituzione?«Perchéla sua sostanza è andata disperdendosi in mille rivoli. E i principali responsabili di questo sbriciolamento sono proprio i costituzionalisti. Sono loro che hannoannacquatolaCartainun mare diopinioni diversedove ciascunpotere politico può pescare ciòche più gli serve. Un tempoesistevauna scienza costituzionale, oggi esistono tanti pareri diversi».Ma non è un bene la discussione sulle questioni costituzionali?«Ben venga la libera discussione, se però la Carta resta al di sopra di noi, non scivola sotto interessi particolari. Quandoho cominciato a studiare il diritto costituzionale, i nomi tutelari erano Costantino Mortati, Vezio Crisafulli, Carlo Esposito, poi sono arrivati Paolo Barile e Leopoldo Elia, il mio maestro. Anche tra loro esistevano opinioni diverse ma tutti cooperavanoperun’idea comune di Costituzione. Tutti insieme la difeseroconcordemente in anni in cui era stata congelata. La Carta stava al di sopra delle loro diverse sensibilità, oggi non è più così. Non ci si divide, oggi, sui dettagli, ma sui fondamenti».Lei arriva alla conclusione che i costituzionalisti non esistono più.«Nonesistonopiùcomegruppo omogeneo. Ne è lariprova il silenzio della nostra Associazione nazionale sulle questioni più importanti.Ha mai sentito la sua voce sulle riforme costituzionali? Si fannoconvegni sugli argomenti piùdiversi evitando però i temi cosiddetti divisivi. La verità è che siamoprofondamente divisi,ma nondobbiamo farlovedere.Intendiamoci,nonè una critica ma undispiacere, ancheun rimorso».Quando comincia il declino?«Fino alprincipio degli anni Ottanta soltanto l’idea di cambiare laCarta era considerata una bestemmia. Poi grazie alla Grande Riforma di Bettino Craxie al piccone del presidenteCossigaquell’idea è stata, come si dice, sdoganata.Moltihanno cominciato aparlare non della Costituzione ma di ciò che avevano in testa, e in questomodo l’hanno indebolita. In quegli anni comincia la diaspora dei costituzionalisti nei vari territori della politica. Ma la fede nella Carta – la nostra Bibbia – non è stata sufficiente a tenerli uniti in unprogettocomune».Che cosa intende?«Quelli della mia generazione scelsero di studiare il diritto costituzionale non per ragioni di successosociale o convenienza materiale,ma perchéspinti da un’urgenza civile, ossia dall’adesione ai valori costituzionali fondativi di un’identità democratica. In questo senso un costituzionalista è molto diverso da un giurista di altri campi dove ci si esercita per fini professionali. A me pareche quella adesione sia vacillante. Si propongono teorie costituzionali le più varie e distanti, indipendentementedalla responsabilitàpropria del nostro lavoro che è quella di tenere unito il corpo socialein nomedei principi del costituzionalismo».È prevalsa la tentazione di servire una parte politica?«La tentazione di farsi fiancheggiatoridi qualche parte politica, non solo per ricavarne premi di carriera e benefici— questoè l’aspetto deteriore – ma ancheperché oggettivamente ildiritto costituzionale è quello più vicino alla vita della polis, la politica nell’accezione più alta».Lei fa una distinzione tra costituzionalisti e costituzionisti.E sostiene che questo è il tempo dei costituzionisti.«È unadistinzione importante.I costituzionalisti sono figli della democrazia liberale dell’Ottocento; i costituzionisti discendono dalla cultura guglielmina e identificano la Costituzione con lo Stato. Più di tutto, hanno a cuore la così detta governabilitàe per questo sono inclinia passare sopra a tante cose cheinvece interessano i costituzionalisti. Sono gli eterni servitori dello Stato, i cosiddetti grands(o petits)commis, capaci di passaresenza batter ciglio dall’Italia liberale al fascismo e più tardi alla democrazia repubblicana. Tecnici al servizio delpotere».Senta professore, è evidente che lei si sta riferendo anche all’attualità, al dibattito sul presidenzialismo e a insigni giuristi accondiscendenti alla riforma costituzionale voluta dalla destra.«Lainterrompo subito.Non ho volutofare nomi. Credo che ciascunodi noi possa rispecchiarsi nelladistinzioneche ho appena fatto».Fermiamoci all’asservimento della Costituzione alle ragioni politiche di parte. Le conseguenze non sono di pococonto.«LaCostituzione è paragonabile a unapianta: se si smette di innaffiarla, fatalmente si dissecca.Lasua vitalità dipendeda come la alimentiamo.Mi limito ad alcuni esempidi opposte prospettive.La Costituzioneè un disegno duraturo della vita civile o è il prodotto di una serie di compromessidiun’epoca superata? Ancora: qual è lostato dellamemoria circa il mito fondativodella Repubblica? Che ideaabbiamo dellevicendeche dallacaduta delfascismo attraversola Resistenza hanno condotto all’Assemblea Costituente?Nonmipare che siamo tutti d’accordo».Il presidente del Senato, seconda carica dello Stato, insiste sul suo antiantifascismo rimarcando l’assenza della parola antifascismo nella Carta.«Appunto: c’è statauna reazione dei costituzionalisti come tali?Proseguo.Il sistema parlamentare fondato sul pluralismo dei partiti e suunParlamento deliberante esprime un’idea ancora valida di politica partecipativa oppure la concezione del futuroè la cosiddetta“democrazia decidente”,dove le elezionisono ridotte acampo di battaglia senza esclusione di colpi? In altre parole: democrazia opresidenzialismo?».Martedì la premier Meloni comincia le consultazioni per la Bicamerale sul presidenzialismo.«A me pare che i presidenzialismi stiano dando pessima prova anche in Francia e negli Stati Uniti. E non è certo una soluzione per il nostro paese. Ci lamentiamo dell’odio sociale che pervade la società italiana. Il presidenzialismo, fondato sulla spaccatura del corpo elettorale in due fronti avversi, sembra fatto apposta per esaltare l’aspetto distruttivo. Una riforma costituzionale in questa direzione potrebbe alimentare un humus pericoloso».Che cosa la preoccupa?«Mi inquieta un tratto culturale di questa fase politica: l’idea di unità concepita nonsecondo l’accezione dellademocrazia liberale – unità nel libero confronto – ma unitàche espungeledifferenzecome attentati alla comunità e le qualifica come dissidenze. L’enfasi sulla parola nazione, l’uso martellante del termine italiani al posto di cittadini, l’obbligo della “memoriacondivisa” cheè un’espressione nonsaprei dire se piùsciocca o più vuota. Il compito dellapolitica non è annullare le distinzioni, ma far convivere cose diverse. Oggi non c’è la violenza d’untempo,manon sottovalutiamoun altro tipo di violenza, il silenziatore.Tocqueville lo chiamava “il cerchio feroce delle opinioni”: se ne sei messo fuori, latua voce non conterà più niente».Il suo libro sembra nascere da un’urgenza profonda.«A giugno compirò 80 anni.Questo libretto vorrebbe essere una testimonianza di ciò in cui ho creduto e ancora credo. C’è, ma forse m’illudo, anche un poco di autobiografia».