la Repubblica, 6 maggio 2023
La prima vota di Elly Schlein a Palazzo Chigi
Giorgia Meloni versus Elly Schlein. Per la prima volta una di fronte all’altra, non esattamente a quattrocchi visto il parterre allargato a ministri e sottosegretari, ma comunque a distanza ravvicinata come mai prima: senza microfoni, tempi contingentati, né scranni a ostacolare parole e sguardi.
Due donne con incarico da leader, inedito della politica italiana a cui i colleghi maschi faticano ad abituarsi, chiamate a un faccia a faccia che andrebbe trasmesso in streaming se solo avessero coraggio: diverse nelle idee come nello stile – una di destra l’altra di sinistra, tailleur Armani contro trench no-logo – ma simili nel modo di comunicare, social e videotape in prevalenza, il canale preferito per illustrare decreti legge e segreterie, anche per dribblare le domande scomode. Roba che se ancora fosse in vita Mankiewicz ci farebbe un film: il remake diEva contro Eva in salsa tricolore, storia di emulazione nella quale una sconosciuta apprendista si accosta alla diva di Broadway copiandone abitudini e movenze fino ad ottenerne la sostituzione e dunque il ruolo.
La scena in cui la giovane assistente abbraccia l’abito della grande attrice immaginando di avere il suo pubblico davanti non è in fondo quel che Schlein pensa possa accaderle un giorno? Vestire i panni di Meloni e prenderne il posto a palazzo Chigi, dopo aver scalato l’opposizione e imposto la sua leadership agli alleati. Le stesse orme calcate dalla premier che per cinque anni ha presidiato la minoranza in Parlamento per poi tramutarla in maggioranza nel Paese. Con una differenza, però, segnalata in una bella analisi di Giuseppe Mazza su Doppiozero:quella fra le due è «una somiglianzaper opposti, nella quale ogni caratteristica dell’una corrisponde all’esatto contrario dell’altra». Inaugurata da Schlein quando, invitata da Enrico Letta a chiudere la campagna per le Politiche, si è proposta come l’unica alternativa di sinistra alla capa della destra italica: «Sono una donna, amo un’altra donna, non sono una madre, ma non per questo sono meno donna», urlò l’allora candidata alla Camera dal palco di piazza del Popolo. Rovesciando l’ormai famoso «io sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana» scandito da Meloni al raduno di Vox, il partito estremista spagnolo, diventato presto un rap virale. L’inizio di una marcatura a donna destinata a non finire.
Quando, a metà marzo, la segretaria del Pd incalzò in aula la «signora presidente» sul salario minimo, dai banchi dell’esecutivo arrivò una replica stizzita: «Non è la soluzione». La reazione che Schlein aspettava per affondare il colpo e svelare la strategia dello specchio riflesso: «Vorrei ricordare», partì in crescendo, «che lei oggi è al governo. Ci sono io all’opposizione e non è più il tempo di dare le responsabilità ad altri, ma di dare le risposte alle italiane e agli italiani». Esordio studiato per non darle tregua. «Saremo un bel problema per il governo Meloni», il refrain ripetuto a ogni piè sospinto dall’inquilina del Nazareno fin dalla notte del trionfo alle primarie. Il verbo sempre usato al plurale, che è declinazione di sinistra, contro l’io di una destra individualista.
È il copione che andrà in scena martedì: uno scontro tra due mondi e persino fra colori, quelli freddi dell’armocromia e i toni caldi dell’haute couture. Elly contro Giorgia. Peccato solo non poterle guardare su Instagram.