La Lettura, 6 maggio 2023
Galline in fuga
Piccoli personaggi in plastilina si muovono – o, meglio, sono mossi da mani esperte – su set dettagliatissimi. A ogni passo sono fotografati dalla macchina da presa. Sullo schermo rivediamo le immagini in rapida sequenza... Così prendono vita in stop motion le avventure di Morph; le invenzioni di Wallace con il fedele cane Gromit; la pecora Shaun; le peripezie delle Galline in fuga; le scorribande dei «briganti da strapazzo» del film Pirati!. Tutti personaggi nati sotto lo stesso tetto. Quello, nell’inglese Bristol, di Aardman Animations; studio premio Oscar fondato nel 1972 dai compagni di scuola Peter Lord (1953) e David Sproxton (1954). Specialità? L’animazione in stop motion di pupazzi di plastilina.
Mezzo secolo di storia ripercorso dal 12 maggio al 24 settembre in una grande mostra negli spazi del Paff! International museum of Comic Art di Pordenone (che la organizza con l’Art Ludique-Le Musée di Parigi, dove ha fatto già tappa): Shaun the Sheep & Friends. The Art of Aardman Exhibition. Un’avventura che Peter Lord – il produttore e regista riceverà anche il Premio alla carriera al festival Cartoons On The Bay (Pescara, 31 maggio-4 giugno) – racconta via Zoom a «la Lettura».
Che cosa ci dobbiamo aspettare dalla mostra in arrivo a Pordenone?
«Voglio mostrare tutto ciò che sta dietro a un film. Facendo stop motion abbiamo il vantaggio di poter mostrare non solo disegni ma oggetti reali: i pupazzi, i set (in mostra ce ne saranno più di 30, ndr). Un film richiede il contributo di tantissimi: artisti, artigiani, produttori, ingegneri, elettricisti, falegnami... Voglio condividere la forma d’arte che amo. E trasmettere la cultura dello studio: un organismo creativo con un cuore e un’anima».
Lo studio nacque tra i banchi di scuola. Come ricorda quel periodo?
«Avevamo 16 o 17 anni quando per divertimento David ed io abbiamo iniziato a fare esperimenti con una telecamera. Il risultato era terribile, ma c’era già della magia: facendo muovere un’immagine davamo vita a qualcosa che prima vivo non era. Un produttore della Bbc ci ha sfidati a raccontare una storia. Abbiamo creato Aardman, una specie di supereroe. I suoi corti non erano buoni ma c’era un’idea: li abbiamo venduti per 25 sterline. Così è iniziata la nostra carriera nell’animazione. Una possibilità che fino ad allora non avevamo considerato. Per tre anni, all’università – io studiavo Letteratura inglese, David Geografia – ci trovavamo per realizzare brevi film per la Bbc: abbiamo imparato l’animazione facendola».
Lo studio prese il nome da quell’eroe disegnato. Ma poi vi siete dedicati all’animazione in stop motion.
«Trovavo l’animazione disegnata molto difficile, non istintiva. Così è nato Morph (Lord ci mostra il pupazzo nato nel 1977, ndr): è fatto di plastilina, nient’altro. Allora tutti si occupavano di animazione tradizionale. Noi ci siamo dedicati a un mondo inesplorato».
Che cosa ama di quest’arte?
«È più istintiva: quando hai davanti un pupazzo percepisci il modo in cui vuole muoversi. È difficile farlo bene, ma è piuttosto semplice dargli la vita: si seguono buon senso e gravità. Con i disegni si deve programmare, qui ci si diverte».
Negli anni avete creato una grande squadra di personaggi...
«Siamo riusciti a fare una cosa ai tempi non scontata: li abbiamo resi espressivi. In altri casi serviva un narratore per spiegare cosa provavano i personaggi; con Morph lo vedevi dal volto e dai movimenti... Fondamentale è stato l’arrivo dell’intelligenza comica di Nick Park: fu lui a creare nel 1989 Wallace & Gromit. È sempre stato un gioco di squadra: Galline in fuga, che diressi con Nick nel 2000, è l’esempio perfetto di questa sinergia».
Negli anni come è cambiato il lavoro?
«Negli anni Ottanta la tecnologia era totalmente diversa: i pupazzi erano di sola plastilina, non avevano, come oggi, scheletri al loro interno. Giravamo in pellicola e il girato non si poteva vedere fino al giorno dopo: riprendevamo solo 20 secondi al giorno. Oggi vedi tutto mentre lo giri. La tecnologia è liberatoria. Ora un pupazzo in volo è sorretto da una struttura metallica che poi cancelliamo digitalmente; ai vecchi tempi dovevamo usare un filo da pesca e il pupazzo continuava a muoversi. C’era meno precisione».
C’è qualcosa che le manca?
«La spontaneità. Ma amo la precisione che si ottiene oggi».
L’animazione in stop motion richiede ancora tempo e dedizione?
«È un modo di lavorare speciale. È fisico: gli animatori stanno sul set e usano il loro corpo per muovere i pupazzi. Richiede grande attenzione. Come si vedrà in mostra i set sono bellissimi, pieni di oggetti realizzati con cura: mondi reali in cui ci si può immergere».
Entro l’anno arriva «Galline in fuga 2» ed è in cantiere un nuovo «Wallace & Gromit». Che storie ci aspettano?
«Il secondo non ha ancora un titolo. Invece il sequel di Galline in fuga in originale sarà Chicken Run: Dawn of the Nugget (traducibile come “L’alba della crocchetta”). Ritroveremo alcuni personaggi del primo film e ce ne saranno di nuovi. Abbiamo lasciato le galline su un’isola, al sicuro e felici; ma si accorgeranno che c’è qualcosa di più importante che stare al sicuro, qualche volta bisogna rimettersi in gioco. Ventitré anni dopo ritroveremo lo spirito del primo film: l’idea vincente era stata fare delle galline, per tutti stupide e codarde, delle figure eroiche. C’è voluto molto tempo per trovare una nuova avventura che funzionasse davvero».
Per questi due nuovi film avete fatto squadra con Netflix.
«Ci piace vedere i nostri film sul grande schermo e per Galline in fuga 2 ci saranno uscite in sala. Ma i tempi cambiano e bisogna evolvere con loro. È fantastico l’impatto che Netflix ha già avuto sul mondo dell’animazione».
Nel 2019 avete reso Aardman una società partecipata dai dipendenti. Perché questa scelta?
«Io e David non ci saremo per sempre e non vogliamo che lo studio, una famiglia, sia venduto a un colosso. Ora è gestito da un fondo di cui i dipendenti sono partner. Vogliamo mantenga l’indipendenza e non perda ciò che per noi è importante: essere britannici, europei, e responsabili del nostro destino».
A inizio anno Guillermo del Toro, ritirando premi come l’Oscar per il suo «Pinocchio» in stop motion (sempre Netflix) ripeteva: «L’animazione è cinema. L’animazione non è un genere per bambini». Un’idea che condivide?
«Oh sì! Quello che facciamo è per prima cosa narrazione; poi cinema, che è un tipo di narrazione; e infine animazione, il modo con cui noi facciamo i film».
Cosa si augura per il futuro dell’animazione?
«Che i narratori continuino a regalare nuove storie realizzate splendidamente».