il Fatto Quotidiano, 6 maggio 2023
Ritratto al veleno di Daniela Santanché
Per dare un’occhiata alle meraviglie della neoministra Daniela Santanchè, in arte, la Pitonessa, bisogna aprire il freezer delle sue molte dimore – la Pagoda in riva al mare al Twiga di Forte dei Marmi, la villa a Marina di Pietrasanta, la palazzina di quattro piani a Milano, l’attico a Roma, le case a Londra e a Cortina – spostare le provviste di cuori infranti che fanno curriculum, aspettare che scongeli il suo incarnato e si vesta per scalare la dura giornata di lavoro e di litigi che la aspetta.
Se è lunedì e ha dormito a Milano, dopo la fitness, il parrucchiere, le telefonate ai suoi amici più cari, Luigi Bisignani, piduista di lungo corso, Denis Verdini, faccendiere di nuovo in sorprendente libertà, dovrà issarsi sui tacchi a spillo da public relation, sbrigare qualche appuntamento, per poi infilarsi nella carrozza ministeriale che la condurrà, all’ora di colazione, a mangiare un paio di grissini e fragole a Casa Cipriani, nuovo specchio della razza padrona, una specie di Club inglese per i molto ricchi, niente accesso senza presentazione dei soci, ristorante adeguato allo standard, un arredo finto coloniale con maggiordomi incorporati, zona relax con sauna e massaggi, sale da bagno in marmo rosa, camere da 1.500 euro a notte. In cima, la terrazza affacciata sui giardini Montanelli, il principe dell’inchiostro che fa la guardia alla sua gloria, e che a Casa Cipriani non ci avrebbe mai messo piede.
Dani ha il suo tavolo fisso, guai a toccarlo. Tutto intorno la allieta un fritto misto di potenti, per lo più banchieri come Gaetano Miccichè di Banca Intesa e Massimo Ponzellini, presidente onorario della Banca europea degli investimenti, qualche ereditiera tipo Giulia Ligresti, e naturalmente l’inseparabile Ignazio La Russa, attuale governatore del business politico in Lombardia, incidentalmente seconda carica dello Stato, che onora quasi ogni giorno con il braccio teso e una risata. Più spesso viceversa.
Gomitata dopo gomitata, la nuovissima ministra del Turismo con titolarità turistico-balneare in proprio, scandalo che indossa come fosse un bikini (embè, che c’è da guardare?) è finalmente in cima alla piramide del potere e se lo gode. Perché è il potere il suo personale Open to Meraviglia, la campagna pubblicitaria che ha trasformato l’Italia in cibo per comitive planetarie.
Celebrata per il suo sangue freddo, veste luminescente e aggressiva. Riempie le sue case di lampadari con le piume di struzzo e divani di coccodrillo, i suoi armadi di (finte) borse Hermes. Il lusso in modalità oligarca russo è il suo modo di cancellare le tracce del suo passato. Viene da lontanissimo e qualche scheggia ancora si vede, a cominciare dal cognome di famiglia, Garnero che è fatto di sassi del cuneese tra i quali è nata nell’anno 1961. Padre imprenditore nel ramo trasporti. Lei figlia insofferente che non vede l’ora di levarsi di dosso quella polvere di gente comune che le fa “sgiai”, locuzione piemontese a significare disgusto, da pronunciarsi sempre con la smorfia. Il suo gemello diverso di quei tempi antichi e cupi si chiama Flavio Briatore, cuneese anche lui, impaziente come lei di scendere nelle pianure del jet-set, coltivare soldi, detestare in santa pace i perdenti e i comunisti. Briatore scala il mondo con le carte da gioco e le automobili. Lei con i mariti. Il primo, sposato a 21 anni, è il chirurgo plastico Paolo Santanchè. Lo scuote, lo motiva, lo issa per il bavero verso la celebrità. Per lui, dirà, organizza cene e vita mondana. Lo lancia a Milano e a Porto Cervo, dove ogni estate attraccano con la barca battezzata nientemeno che “Bisturi”. Dirà: “Lasciavo credere che mi avesse rifatto tutta. In verità solo il naso. Gli ho fatto da testimonial, facendogli guadagnare miliardi”.
Il business funziona, l’amore meno. L’ingrato chiede l’annullamento alla Sacra Rota, lei si tiene il cognome, butta il resto. Evolve nel ramo farmaceutici, sposando l’imprenditore Caio Mazzaro. Sogna un figlio. Lo ottiene. Sogna l’impresa, si inventa Visibilia, che è comunicazione, editoria, mondanità e debiti che vanno e vengono.
Il passo successivo è la politica. Ignazio è il suo primo mentore. Di notte sudano insieme al Gilda e al Nepentha, di giorno si risciacquano a Fiuggi, dove la fiamma diventa Alleanza nazionale. Nel 2001 entra alla Camera dei deputati, adora Gianfranco Fini, ricambiata. Il secondo mentore, Bisignani, la affida a Paolo Cirino Pomicino, una garanzia, che le insegna a far di conto dentro ai velluti della Commissione Finanza. “Io sono come i giapponesi – dirà –. Osservo. Imparo. Copio”.
Anche il secondo marito dilegua, scappandosene con Rita Rusic che ha appena rottamato Vittorio Cecchi Gori. I rotocalchi e la tv la adorano, specialmente quando avanza sulla scena incazzata e addobbata Versace. Odia i sinistri. Irride le “false femministe dalla penna rossa”. Esibisce diamanti al dito. Assalta l’Islam e insieme il conformismo piccolo borghese: “Le donne sognano me o Rosy Bindi?”. Cerca uomini risoluti, ma si ritrova circondata da maschi “con le palle di velluto”. Politicamente imbocca ogni incrocio a destra. Ma sempre a suo vantaggio. Lascia Fini per gli scarponi chiodati di Francesco Storace. Lascia Storace per i forzieri di Silvio B. Diventa la sua amazzone e insieme la fidanzata del suo scudiero Alessandro Sallusti, il giornalista. All’alba fa jogging con Francesca Pascale, al pomeriggio arreda la sede sontuosa di Forza Italia a Roma, alla sera organizza le cene di finanziamento del partito in villa Gernetto, 10 mila euro a tavolo. Incarico che salterà per incomprensioni contabili e poi litigi che finiranno per cancellare tutto il resto. Il tempo di un addio – “Silvio usa le donne come un predellino per salirci sopra e sembrare più alto” – e Dani si è già riaccomodata sulla scia di Giorgia, l’altra underdog, che morde più di lei. Con il solito Ignazio a coprirle le spalle, ha chiesto un ministero. Lo ha ottenuto. Ha festeggiato l’evento proprio al suo Twiga, lo stabilimento balneare che ogni anno incassa 6 milioni di euro e paga la concessione con 17 mila euro di spiccioli. Si sente furba, si sente spietata. Una sera delle tante in tv se l’è presa con un ragazzo in collegamento: “Lei bello paffuto, prende il Reddito di cittadinanza?” gli ha detto con sgiai. Il privilegio è il suo napalm, profuma di vittoria.