il Fatto Quotidiano, 6 maggio 2023
Troppo Fuortes
Le scorrerie banditesche della Brigata Meloni per mettere le mani pure su Rai, Inps e Inail con largo anticipo sulla scadenza dei vertici, come se le istituzioni fossero bottini di guerra, rischiano di oscurare l’ultima impresa del noto tanguero Carlo Fuortes, intronato da Draghi&Pd alla carica di ad e dg della Rai. Siccome non voleva andarsene anzitempo senz’avere pronta un’altra poltrona su cui accomodare le nobili terga, il governo gli apparecchia un decreto ad personam, anzi contra personam: quello che riduce a 70 l’età pensionabile dei sovrintendenti degli enti lirici. Anzi di uno solo: quello del San Carlo di Napoli, Stéphane Lissner, che deve fare le valigie per liberare il posto a Fuortes, che a sua volta lascia la cadrega a una coppia comica voluta da Meloni&C.. Già, perché per fare il nulla che faceva lui, ora ce ne vogliono due: il nerissimo meloniano Rossi come Dg e il casinian-renziano Sergio come Ad, pronti a invertirsi i ruoli fra un anno. Lissner, che accettò il San Carlo nel 2019 quando non c’erano limiti di età, ricorrerà contro la norma retroattiva e illegittima. Ma il fatto stupefacente è che Fuortes, nei suoi vari pellegrinaggi a Palazzo Chigi, abbia accettato o addirittura caldeggiato l’ignobile legge che fa fuori l’illustre collega per fregargli il posto.
Tutto ciò non ha nulla a che fare con lo spoils system e col diritto del governo di amministrare con uomini suoi. E non c’entra nulla neppure con la lottizzazione. Ci tocca rimpiangere persino gli editti bulgari e le epurazioni leopoldine di berlusconiana e renziana memoria, che almeno reagivano a qualche barlume superstite di informazione: qui, a parte un paio di programmi (Report, Cartabianca e Presadiretta), da censurare non è rimasto nulla. Il promoveatur ut amoveatur del tanguero non ha alcuna motivazione politica, se non la fame atavica di questi banditi, ansiosi di sistemare le loro nullità al posto delle attuali, già sdraiate ai loro piedi senza bisogno di cambi della guardia. Se contasse almeno il “merito”, di cui al famoso ministero, Fuortes non verrebbe promosso al San Carlo, ma licenziato per scarso rendimento, visti la deprimente qualità dei programmi Rai, il vomitevole servilismo dei tg più velinari di sempre e il crollo di ascolti a vantaggio di Mediaset (che pure fa orrore). Stiamo parlando del genio che Repubblica salutò come l’uomo della “rivoluzione” e del “nuovo corso”, che aveva “imposto il ‘lei’ a chiunque, dall’ultimo degli uscieri ai top manager. Una rottura di prassi consolidate che la dice lunga sul nuovo corso del servizio pubblico. E sulla mission ricevuta da Draghi”. Il fenomeno che giurava, restando serio: “I partiti non bussano alla mia porta”. Ma solo perché bussava lui da loro.