il Fatto Quotidiano, 5 maggio 2023
La beatificazione di Cuffaro in un documentario
Un documentario “sull’uomo più potente della Sicilia”, condannato per aver favorito Cosa Nostra, in cui però di mafia si parla poco. È stato presentato ieri a Palermo il doc 1768 giorni sull’ex governatore Salvatore Cuffaro, Totò Vasa Vasa, girato da Marco Gallo in sette anni. Una storia di “resistenza”, “resilienza”, “rinascita”, viene spiegato nella presentazione, dove si racconta il percorso dell’ex governatore condannato a sette anni per favoreggiamento e rivelazione di segreto con l’aggravante di aver aiutato Cosa Nostra. Eppure quella parola, “mafia”, nel documentario è appena accennata. Certo non ci si poteva aspettare di vedere la Mafia è bianca, il docufilm girato da Stefano Maria Bianchi e Alberto Nerazzini proprio su Cuffaro. Ma mancano i riferimenti all’imprenditore Michele Aiello e Giuseppe Guttadauro detto u dutturi e boss di Brancaccio, entrambi condannati insieme a Cuffaro nell’inchiesta sulle “talpe alla Dda di Palermo”. Sul grande schermo, Totò Vasa Vasa dice che la mafia fa schifo, e che “non c’è stata la volontà di favorirla”.
Il Politeama è gremito di gente. All’esterno c’è persino il carro di Santa Rosalia, quasi a proteggere l’ex governatore. Poco distante, i manifesti affissi dal collettivo artistico Offline, già diventati virali per la locandina “Forza mafia” e che in estate hanno fatto infuriare Cuffaro per i manifesti irriverenti “Democrazia Collusa”. In occasione della proiezione, Offline ha pubblicato un manifesto con la scritta “1768”, ispirata all’opera 1984 di George Orwell, dove si vedono i polsi incrociati con le manette, e tra i protagonisti Cuffaro e il medico-boss Guttadauro. L’altra, invece, su sfondo blu, la foto dell’ex governatore con l’aureola: “Riabilitato… e presto beatificato”. “Rispetto la Costituzione, anche per chi ha fatto questi manifesti e mi attacca”, chiosa Cuffaro.
Mentre alcune ammiratrici gli portano due vistosi mazzi di rose rosse, Cuffaro entra in sala a braccetto con l’ex governatore Raffaele Lombardo. Entrambi accomunati da un percorso nella Democrazia Cristiana e da un processo giudiziario per mafia. Totò condannato a Palermo, Raffaele assolto a Catania. Poco dopo arriva anche il terzo governatore, quello attuale, Renato Schifani. “È inutile parlare di Totò, se non ci fosse occorrerebbe inventarlo – dice Schifani in sala –. Abbiamo condiviso anche momenti difficili. L’esperienza carceraria non lo ha provato, penso che non avesse bisogno di essere rieducato”. In sala ci sono tanti amici, come l’ex ministro Saverio Romano e l’ex deputato regionale Francesco Cascio. Il documentario racconta la scalata e la caduta di Cuffaro, partendo da Raffadali, con le interviste ai fratelli Silvio e Giuseppe, la madre Ida, il figlio Raffaele, passando alle immagini di repertorio con i trionfi elettorali al fianco di Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Miccichè. Poi la prima condanna, in cui si esalta la caduta dell’aggravante alla mafia, ed è citata la famosa foto con i cannoli. “Li stavo solo spostando, non li ho portati io”, racconta Cuffaro. La musica cambia e diventa più triste e angosciosa quando si parla della condanna definitiva e del carcere, l’aggravante di aver favorito Cosa Nostra torna in secondo grado ed è confermata in Cassazione, ma tant’è.
Le interviste alle volontarie del penitenziario di Rebibbia raccontano il percorso del detenuto. Dopo la proiezione, Cuffaro racconta della lettera ricevuta da papa Benedetto XVI sull’importanza della “libertà”. Infine, l’impegno dell’ex governatore con Stefano Cirillo per l’associazione “Aiutiamo il Burundi onlus”, che nel 2012 ha costruito un ospedale a Rusengo, al confine con la Tanzania. “Quando vado in Burundi mi danno la speranza”, racconta Cuffaro.
A chi gli chiede di ricandidarsi risponde: “La riabilitazione mi dà il diritto di scegliere di non candidarmi, il mio tempo per la politica da candidato è finito per sempre”. Ma da non candidato è appena ricominciato.