il Giornale, 5 maggio 2023
Gli speculatori della pasta
Macchero’, ma quanto me costi. Tanto. Troppo. Nel solo marzo il 17,5 per cento in più rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Un rincaro apparentemente ingiustificato in considerazione del fatto che in questo anno il prezzo della materia prima è calato e i costi dell’energia, dopo un’impennata dovuta allo scoppio della guerra in Ucraina, si è decisamente normalizzato. Insomma, c’è qualcosa che non va. E il giallo dei bucatini ha spinto il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso a dar mandato al Garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo, di convocare la Commissione di allerta rapida per analizzare la dinamica del prezzo del alimento più amato dagli italiani. Un evento a suo modo storico, perché quella prevista a Palazzo Piacentini per le ore 14,30 dell’11 maggio sarà la prima riunione della suddetta commissione, creata con il decreto trasparenza. E non basta: il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida intende «riattivare quanto prima la Commissione sperimentale nazionale per il grano duro, non escludendo di procedere alla costituzione di una Commissione Unica Nazionale, per rafforzare il dialogo tra gli attori della filiera e per la formazione di un prezzo condiviso a livello nazionale». La pasta non è soltanto un prodotto di uso quotidiano in Italia, con 23,5 chili consumati mediamente da ogni italiano nell’anno. È anche una voce importante del made in Italy agroalimentare, un settore in cui secondo un report del 2022 di Allianz Trade operano 7.500 addetti, con 200mila aziende agricole fornitrici di grano duro, 350 molini per la prima trasformazione e circa 120 aziende di trasformazione finale. L’Italia si accaparra circa un quarto della produzione mondiale annua, che «fattura» circa 20 miliardi di euro in totale. Un settore fondamentale ma da mesi in fibrillazione a causa di speculazioni internazionali e di oscillazioni nel prezzo delle varie commodity. Ma i conti non tornano, come fa notare Coldiretti, secondo cui il grano duro per la pasta viene pagato in Italia circa 38 centesimi al chilo a un valore che non copre i costi di produzione, con un calo di oltre il 30 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, ciò che mette a rischio le semine ma anche la sovranità alimentare del Paese, visto che le superfici agricole coltivate a frumento duro, secondo le prime previsioni del Masaf per il 2023, sono in flessione del 2 per cento rispetto all’anno precedente. Una distorsione che riguarda anche le tasche dei consumatori, che pagano un chilo di spaghetti 2,3 euro a Milano, 2,2 euro a Roma, 1,85 a Napoli, 1,49 a Palermo, mentre le quotazioni del grano sono pressoché uniformi lungo tutta la Penisolazza anche sulla base della nuova normativa sulle pratiche sleali a tutela delle imprese che coltivano grano. Sono arrabbiate e preoccupate anche le altre associazioni di difesa dei consumatori. Codacons annuncia per oggi la presentazione di un esposto all’Antitrust relativo ai listini al dettaglio della pasta in Italia, prefigurando «pratiche commerciali scorrette e violazione delle norme in tema di diritti dei consumatori». «Attendiamo fatti. Urge una riduzione dei prezzi. Temiamo, viste le denunce ripetute fatte nei secoli, che la moral suasion serva molto a poco, anche se ovviamente speriamo di sbagliarci», dice il presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, Massimiliano Dona, secondo cui «fino a che la speculazione non sarà definita come una pratica scorretta, si avranno sempre le armi spuntate contro i prezzi troppo alti, salvo vi siano prove di abusi di posizioni dominanti o di intese restrittive della concorrenza».