Corriere della Sera, 5 maggio 2023
Il ritorno di Cat Stevens
Il cantante uscirà a giugno con il suo nuovo disco, «King of a Land» e, poco dopo, tornerà dopo nove anni a esibirsi in Italia: «Penso di essere italiano anche nel mio dna»
Il ritorno di Yusuf/Cat Stevens: «Sono grato di essere ancora vivo. Ho visto due volte la morte in faccia e sono cambiato»
Se fosse un re, il primo decreto di Yusuf/Cat Stevens sarebbe «liberare ogni uomo e ogni donna». Lo ha scritto presentando il suo nuovo disco, King of a Land, in uscita il 16 giugno e torna a rifletterci ora. «Ci sono dei limiti quando si parla di libertà, lo vediamo anche ora, con la Russia: c’è sempre qualcuno che vuole dominare qualcun altro. Io posso parlare di una dimensione idealistica e di altruismo come prorogativa perché sono un artista: magari queste parole non cambieranno le cose, ma chissà mai che invece possano aiutare».
A giugno uscirà il suo disco e tornerà a esibirsi (anche in Italia, a Roma, dopo nove anni). Cosa significa per lei?
«L’album e il tour significano per prima cosa un sacco di lavoro. Sono fortunato ad essere ancora in grado di fare tutto (ha 74 anni, ndr.). Ho appena saputo della morte Linda Lewis: queste cose danno una prospettiva diversa. Sono grato per poter ancora comunicare, attraverso un album che include messaggi importanti: è una sorta di dichiarazione d’intenti».
Ha anche mandato un manifesto a Re Carlo.
«La monarchia rappresenta un simbolo di unità nazionale, anche se non sono pochi quelli che ne vorrebbero la fine. Il mio manifesto dice al Re di non dimenticare che è un servo in primo luogo di Dio e poi della gente. Tutto mentre i politici bisticciano: dovrebbero fare in modo di dire delle cose vere e non delle bugie».
L’industria musicale è molto cambiata. Che ne pensa?
«Trovo molto difficile concentrarsi quando si sente musica in streaming: per me è come uno tzunami, devo ammetterlo. Mi rifugio negli anni 70 e ascolto cose bellissime... se penso che adesso c’è addirittura l’intelligenza artificiale, chissà cosa succederà. Ma sono contento che le mie canzoni siano su Spotify e che vengano anche tanto sentite».
Nel 1973 ha pubblicato «Foreigner Suite», un brano lungo 18 minuti. Perché?
«Ho scritto quella canzone perché volevo uccidere Cat Stevens, il mio “prima” e far emergere il mio “dopo”. Era un segnale per i discografici: allora ho potuto farlo perchè ero potente, primo in classifica. Ma ero davvero spaventato da tutto quel successo».
«Father and son» resta intramontabile. Come mai?
«È la canzone più fruttuosa che abbia mai scritto, lo so. È interessante oggi pensare che è nata perché volevo comporre qualcosa sulla Rivoluzione russa. Assurdo, è come se fosse un eterno ritorno. Parlando di rapporto padre e figlio, sono grato a mio padre e a mio figlio, che mi ha spinto a ritirare fuori la chitarra».
Nella sua vita, ha visto la morte da vicino.
«Racconto tutto nel libro che uscirà presto. È successo durante la tubercolosi, nel lungo periodo in ospedale, in cui il mio corpo stava cedendo: lì George Harrison mi fu di grane ispirazione. Ma è successo anche una seconda volta: stavo annegando nell’oceano Pacifico, sono stato faccia a faccia con la morte. In quella occasione ho realizzato che c’è una potenza superiore a cui devi connetterti. E devi sempre essere fedele alle promesse che fai: saremo giudicati per le cose che abbiamo promesso e non mantenuto».
Cosa pensa di chi, come Rogers Waters, difende Putin?
«Bisogna sempre stare molto attenti a quello che si dice perché le parole possono diventare benzina sul fuoco. Per quanto mi riguarda, la pace è il mio primo obiettivo».
Felice di tornare in Italia?
«Felicissimo. Amo l’Italia: se vedete qualche buco nel Colosseo sono stato io a portarmene via dei pezzi (scherza)... E sono convinto di avere l’Italia anche nel mio dna».