la Repubblica, 4 maggio 2023
Intervista a Robert Harris
Robert Harris, uno dei massimi scrittori inglesi viventi e autore tra gli altri di Pompei, Il Ghostwriter, Fatherland e
Monaco guarderà in tv l’incoronazione di re Carlo sabato? «Certo, sarà l’unica della mia vita!».
E cosa la interesserà di più?
«Il gran mix di sfarzo antico, politicamente corretto e screzi in famiglia. Ce n’è per tutti…».
Ma un evento del genere ha ancora senso oggi?
«Sono grandi occasioni simboliche, riuniscono il Paese.
A tal proposito, nel 1953, l’incoronazione di Elisabetta II fu fondamentale nel Dopoguerra.
Ma sono eventi importanti anche perché riallacciano il passato con il presente, dandoci un senso di continuità storica: il passato non deve essere mai dimenticato. Ma l’incoronazioneha pure un altro pregio».
Quale?
«Ci ricorda che lo Stato britannico è separato dalla politica, la quale non può eleggere il sovrano. Questo è un gran merito della nostra monarchia costituzionale.
Altrimenti ci saremmo ritrovati anche qui Johnson in versione Trump».
Il suo ultimo romanzo, “Oblio e Perdono” (Mondadori), parla dell’unico esperimento “repubblicano” in Inghilterra: tra il 1660 e il 1670, dopo la guerra civile, quando re Carlo I altro rimando – viene giustiziato, la monarchia abolita e si annuncia il “Commonwealth”, o Repubblica di Inghilterra, prima della restaurazione. Oggi il futuro dei Windsor è più fosco, dopo l’addio a Elisabetta?
«Difficile scommettere contro un’istituzione durata così tanti secoli per vari motivi, come l’essere un’isola o non essere conquistati per un millennio. La monarchia qui è ancora molto forte. Certo, dovrà cambiare, soprattutto nella condivisione delle sue ricchezze. Ma non vedo, in futuro, cosa possa sostituirla nel Regno Unito.
Persino in Australia non sanno ancora come rimpiazzarla».
La monarchia britannica e questa incoronazione sonoanche una distrazione per un Regno Unito in crisi continua, dalla Brexit al caos economico e politico?
«Nella forte instabilità degli ultimi anni, causata dalla Brexit e dal partito conservatore, la monarchia è stata la roccia di questo Paese. Lo ha tenuto unito anche quando era letteralmente spaccato in due, e anche quando il timone è passato a Carlo, la cui transizione è stata più fluida del previsto. La monarchia ha fornito una cruciale coesionenazionale, mentre il resto sembrava sgretolarsi».
Ma cosa ne pensa di Carlo, dopo otto mesi da re e a due giorni dall’incoronazione?
«È partito con il piede giusto, senza errori. Anche se è contrario alle leggi anti-migranti del governo e chiede più impegno nella lotta contro il cambiamento climatico, non è mai andato in conflitto con l’esecutivo. Ha capito che non è più un principe, ma un re».
Però Carlo non sembra fare
breccia tra i giovani, secondo i sondaggi.
«Quando si è giovani si è più radicali e idealisti. Quando si matura, diventa però evidente come le cose non siano così semplici. In tal senso, pure le fortune del principe Harry, senza più cartucce, mi sembrano al ribasso. Da giovane, anche io ero repubblicano e sono sempre stato di centro-sinistra: allora per me la monarchia rappresentava un oltraggio all’uguaglianza e alla democrazia. Ma poi hocapito che quello costituzionale britannico è un buon compromesso».
Perché?
«È un ottimo garante della libertà individuale, non permette ai politici di diventare troppo potenti. Sinora ha funzionato bene, altrimenti non sarebbe durata così tanto.
L’incoronazione di sabato non sarà solo la celebrazione di una singola persona, ma di un Paese intero e della sua storia».