il Fatto Quotidiano, 4 maggio 2023
Intervista a Valerio Aprea
Valerio Aprea è recidivo: A casa tutti bene – Seconda stagione, la serie di Gabriele Muccino da domani su Sky. Cachet a parte, perché?
(Ride) Quando c’è un sequel non puoi sottrarti, e poi quando una serie riesce nel modo in cui questa è riuscita… che volere di meglio?
Era uno dei volti – se non il volto – del compianto Mattia Torre: che ci azzecca Muccino?
Bellissima domanda. Dopo dodici anni in America, Gabriele non conosceva nulla di attori italiani, né di Boris né di Mattia. Ha avuto modo di scoprirlo, ed è impazzito: a teatro ha visto Perfetta con Geppi Cucciari, poi le varie cose che gli ho segnalato. Ha colto tutto quel che c’era da cogliere di Torre, e per me è stata una gioia.
Affinità?
Per cifra e linguaggio quasi nulla, ma Gabriele e Mattia condividono qualità, sapienza ed eccellenza nel proprio operato che per chi fa il mio lavoro rappresentano una fortuna. Sono entrambi portatori di un talento a cui mi sono abbeverato. Premesso che sono un mucciniano della prima ora, Gabriele ha una direzione d’attori senza pari.
Anche lei ha un fratello Silvio, ovvero condivide la visione pessimistica della famiglia?
Le rispondo con il sottotitolo del capolavoro di Mattia 4 5 6: La famiglia è morta.
Quindi spartiscono pure la poetica, Torre e Muccino.
È vero! Mattia vedeva nel nucleo familiare la matrice dei mali umani, Gabriele uguale, con una differenza: lui racconta il proprio vissuto, una perenne autobiografia, Mattia più per sentito dire, giacché era figlio unico. E fortunato di esserlo, diceva.
Il ricordo più bello di Mattia Torre?
C’è l’imbarazzo della scelta… la fame di vita. Oltre al talento ineguagliabile, oggi mi manca l’amico.
Soffre di Alzheimer in A casa tutti bene. Come s’è preparato?
Ho conosciuto forme di demenza da molto vicino, e vi ho attinto a piene mani, cercando di restituire qualcosa di emblematico e significativo.
Il suo Sandro Mariani invita la moglie Beatrice (Milena Mancini) a rifarsi una vita con un altro: è proprio finzione, eh?
L’atto d’amore più d’amore che c’è. Per amore compiamo atti di apparente disamore, la vicenda di Sandro e Beatrice dimostra come ciò che può sembrare allontanamento, distacco è invero il non plus ultra della cura, della premura. Spesso è necessario violentarsi per volere davvero bene all’altro.
Le serie Boris e A casa tutti bene: il cinema non ha saputo riconoscerla fino in fondo, o sbaglio?
Non sono io a doverlo dire.
Neri Marcorè sostiene che Schlein e Bonaccini pari sono.
Non mi piace parlare di politica perché faccio l’attore… Mi spiego, il primo atto politico è nel proprio vissuto, nel proprio lavoro: ciò che si sceglie di fare e di non fare, e come. Non mi sento autorizzato, essendo attore, a dire la mia sul mondo e la politica: se facessi altro, mi si chiederebbe un’opinione? Rispondo col mio operato, non sono un maître à penser.
Nondimeno, da Quando di Veltroni a Moretti fino al sequel di Ferie d’agosto di Paolo Virzì, la sinistra è ormai un genere cinematografico, e forse solo quello. Concilia?
Non so, che dovrei dire, che la sinistra sta al cinema e non nella realtà?
Il sol dell’avvenire l’ha visto?
Mi ha devastato. Parla a me di me, come mai un film di Moretti – li ho visti tutti – ha fatto. Per la prima volta mi sono sentito io al centro: parla di me a me il film che forse parla di più di lui a lui, a Nanni. Mi ha commosso quanto la sua opera più autoanalitica e autocritica mi riguardi.
Ci spieghi, Aprea.
Sono nato e cresciuto con i suoi film, e di fronte a questo capitolo per certi versi conclusivo – all’ultima scena ho pianto tutte le lacrime – noi adepti, noi affezionati ci riconosciamo. Nel sentire, nel vedere le cose, nell’ironia, il sarcasmo e il cinismo: siamo una collettività. L’analisi politica de Il sol dell’avvenire ci può stare, ma l’atto politico più profondo di Moretti sta nell’intercettare le anime altrui e modificarle. E dunque modificare la realtà: questo è più importante di qualsivoglia dichiarazione di appartenenza politica.
Parlando di anime, sono venticinque anni che fa cinema: Piccole anime, regia di Giacomo Ciarrapico, 1998.
Ammazza!
La sua anima chi l’ha fatta crescere?
Le persone più strette, più care che ho avuto, naturalmente Mattia. E poi però anche autonomamente, credo che ognuno di noi si ritrovi un’anima che è alimento di se stessa. Nel bene e nel male, anzi, più nel male.
A casa tutti bene associa famiglia e crime: un ritratto fedele del nostro Paese?
L’Italia come tutti, ma più di tanti altri, gioca le proprie sorti tra questi due macro-fuochi: nucleo familiare e malaffare. Disonestà, violenza, prevaricazione e raggiro sembrerebbero in antitesi, ma con i poeti dell’anti-famiglia Torre e Muccino tutto torna: quale luogo migliore della famiglia per raccontare il crimine?